Saturno







Lidia Fassio


Certe tematiche saturniane sono molto comuni, ma troppo spesso non sufficientemente analizzate. Forse perché nella nostra società – che è patriarcale e quindi sensibile a temi quali il rigore, l’obbedienza, le regole – le dinamiche in qualche modo legate al “Grande Vecchio” vengono viste come qualità, mentre altre, salutari e necessarie per raggiungere una reale autonomia psicologica, sono quelle che hanno creato la reputazione di “Grande Malefico”.

Sia chiaro, non è mia intenzione tornare a collocare Saturno in un ambito di negatività e di ombra, tutt’altro. Saturno ha qualità estremamente positive e fornisce ampie potenzialità alla crescita personale, tuttavia alcuni suoi aspetti meritano a mio avviso un approfondimento ed una maggiore comprensione.

Saturno ha una doppia faccia e una doppia funzione, ed è proprio questa duplicità che va approfondita. Liz Green lo paragona a Giano Bifronte, e lo colloca come Signore della Soglia, però non chiarisce questo concetto di bi-frontalità, né il motivo per cui lo associa alla simbologia del pianeta.

Saturno è stato per migliaia di anni l’ultimo dei pianeti conosciuti: ha quindi segnato i confini del nostro sistema solare e, ovviamente, del nostro sistema psichico. Infatti, affinché un certo tipo di sistema possa perdurare, ha bisogno di trovare un riscontro in qualcosa di materiale e biologico. Saturno era effettivamente a guardia del nostro sistema solare, della sua “soglia”, ma era anche lì a stabilire i confini della mente dell’uomo. Gli aspetti umani che non si comprendevano, l’irrazionalità, la follia, i comportamenti strani, venivano affidati ancora alla “possessione demoniaca”, quindi proiettati come cause esterne ed estranee alla persona.

Certo, tutto ciò fa ipotizzare che fino al XVIII secolo ci fosse bisogno di continuare a strutturare ed a perfezionare gli schemi razionali della mente; in un certo senso c’era bisogno che l’Io si rafforzasse, per essere in grado di concepire ciò che sarebbe arrivato poi. Negli ultimi due secoli, infatti, ben tre pianeti oltre Saturno sono stati scoperti, e tutti tre hanno fornito alla collettività e al singolo potenzialità assolutamente sconosciute fino a quel momento, generando veri e propri sconvolgimenti per l’uomo, che scopre di avere un inconscio, una parte interiore potentissima, in grado di determinarlo e dominarlo, ma anche in grado di farlo crescere e diventare più consapevole e completo. Tutto ciò che prima era visto come un destino esterno (Saturno era il Signore del Destino) ora non lo è più, e l’uomo comincia a comprendere che il destino è nelle sue mani, affidato alla consapevolezza e al libero arbitrio (altro simbolo saturniano) che può sviluppare dentro di sé. Tutte le forze transpersonali che il mito aveva ritenuto esterne appartengono ora all’uomo, sono possibilità della sua mente, anche se non si può dire che il suo Io ne sia padrone, almeno non ancora. Ci vorrà tempo perché ciò diventi una potenzialità di tutti gli esseri umani; tuttavia, da quel momento in poi Saturno è diventato qualcosa di più di un semplice Guardiano della Soglia, e probabilmente tra le sue funzioni troviamo anche quella di decidere chi o cosa lasciare entrare o uscire dalla sua Soglia…

Questa funzione è molto chiara nella strutturazione del Super-Io, il Guardiano psichico legato al Grande Vecchio e che, quando tutto procede normalmente, è un vero e proprio aiutante dell’Io, qualcosa che gli dà una mano contro certe forze o certi impulsi che potrebbero sbaragliare una coscienza non sufficientemente forte. In tal senso, Saturno comincia a mostrarsi più chiaramente nelle due facce di Giano: ha infatti uno sguardo rivolto verso l’interno del sistema cosciente, e favorisce il rafforzamento della struttura psichica; ma ha anche uno sguardo rivolto all’esterno, verso quel mondo a cui concede accesso con gradualità, fatica e disciplina qualora il soggetto sia pronto, riservandosi di sbarrargli la strada inesorabilmente in caso contrario.

Tuttavia, se le cose non funzionano bene e l’inconscio manda stimoli che Saturno, da buon Guardiano, ritiene troppo pericolosi per la salvaguardia dell’Io, allora ha l’autorità per bloccarli. In questo caso il Super-Io diventa una struttura autonoma, che decide ciò che ritiene più opportuno senza consultare l’Io. E’ possibile vedere che, da una struttura portante – importantissima nell’infanzia – capace di garantire la sopravvivenza materiale e psichica con una serie di meccanismi di difesa, il Super Io può diventare anche un vero tiranno, elevandosi al di sopra dell’Io e facendone una vittima, prigioniera e priva di potere. Questo è il classico caso in cui, quando si raggiunge un’età di consapevolezza, è necessario destrutturare tutto ciò che il Super-Io ha costruito, altrimenti l’Io non potrà crescere né rafforzarsi per compiere il suo processo di individuazione.

Possiamo quindi dire di più. Saturno-Giano ha anche due anime: una collettiva, che si forma ed esprime durante l’infanzia; una individuale che va ricercata e sviluppata nella vita adulta.

Saturno incarna tutto ciò che è moralità, regole di vita, norme collettive che vengono impartite ai bambini fin dalla nascita e che sono introiettate come senso di autorità, come regole di convivenza e senso di struttura sociale (sarà proprio questo nucleo a formare il Super-Io); insieme a Mercurio stabilisce i confini, le regole ed i limiti che permettono l’inserimento nella realtà ordinaria rispettandone le convenzioni.

Tutto ciò funziona con un meccanismo di premio-punizione dapprima proiettato all’esterno, in quanto il bambino non l’ha ancora personalizzato, in seguito si formerà una sorta di giudice interno che gratificherà o punirà il bambino per le sue azioni. E’ quindi un’istanza che diventa una vera e propria funzione, in base alla quale il bambino valuterà e giudicherà il proprio comportamento partendo dai presupposti che gli sono stati insegnati come norme. Se però è stata impartita una disciplina ferrea ed autoritaria, in cui non è permesso discutere o negoziare, se i genitori hanno fatto leva sul senso di colpa o della gratitudine, è molto probabile che il bambino rimanga incapsulato in quei valori, che non sono suoi personali ma collettivi e genitoriali, perché non oserà ribellarsi e pian piano sacrificherà sempre di più la propria natura più autentica, fino a concedersi di interpretare il ruolo di Capro Espiatorio.

Saturno, a livello mitico, rappresenta uno dei primi Padri patriarcali: era Crono, un Dio di potere e di dominio che nel mondo greco assume più che altro il simbolismo di autorità, distacco, freddezza, nel senso che aveva uno scarso contatto con la vita (inghiottiva infatti i figli che Rea gli partoriva). A livello psicologico, si presenta dunque come colui che tarpa le possibilità dei figli.

Tuttavia – come ha acutamente sottolineato Lisa Morpurgo nel Convitato di Pietra – questo Dio incarna ancora un simbolismo matriarcale. E’ infatti un Dio di Terra (Saturno appartiene alla stirpe dei Titani, esseri mostruosi che abitavano nelle viscere della terra) ed ingoia le proprie creature: il simbolismo del cibo e del divoramento appartiene appunto al mondo matriarcale ed è sinonimo di castrazione. Ed è proprio questo che fa ai figli: li seppellisce impedendo che mostrino le proprie potenzialità.

Se ragioniamo su questo simbolismo psicologico, il mito è illuminante. Quando tocca un pianeta personale, Saturno blocca ed impedisce l’espressione di quel valore, esattamente come faceva con i figli e mosso dalla medesima ed unica cosa: la paura, che è infatti uno dei simboli del Saturno greco, e sicuramente un tema saturniano anche oggi. Contrariamente al padre Urano – che respingeva i figli in quanto mostruosi e lontani dall’idea-immagine di perfezione che lui se ne era fatto – Saturno divora i figli per paura di essere detronizzato e soppiantato, da menti, corpi ed ideologie più giovani, proprio come la profezia gli aveva predetto. Li divora ma poi affronta stoicamente il proprio destino, ben sapendo che non potrà sfuggirgli, dal momento che egli stesso aveva dovuto castrare suo padre. In questa occasione mostra tutta la sua rigidità, l’incapacità di modificare uno status quo ed una struttura mentale, manifestando tuttavia di mantenere ancora, nell’accettazione del destino, un legame con la ciclicità matriarcale dell’eterno ritorno delle cose.

Nel mito greco comunque non vi è traccia di alcune caratteristiche che oggi attribuiamo a Saturno e che ci sono state portate dal mito giudaico-cristiano, indubbiamente assai più patriarcale di quello greco. In particolare, per quanto possiamo vedere oggi nel suo simbolismo, incarna il patriarcato proprio nella sua Zona d’Ombra, dato che è l’autorità preposta alla rimozione, soprattutto dei simboli collettivi ed individuali legati al mondo femminile. Saturno infatti censura e nega le emozioni e gli istinti, li blocca nelle sue ferree leggi della logica senza considerare le leggi del cuore; non dimentichiamo tuttavia che è proprio la sua simbologia di autorità ad ostacolare o favorire l’indipendenza.

Saturno incarna un maschile originario e primitivo, scollegato dalla totalità: è la scissione, la dicotomia psichica che ha creato e crea la frattura che originariamente serve all’Io per dividersi e rafforzarsi. Lui ha la signoria sul tempo, ma il suo è un tempo lineare, che non consente ritorni e si oppone al tempo circolare della Luna, proprio cercando di estirparla dalla coscienza. Possiamo dunque ipotizzare che sia Saturno a spingere nell’Ombra tutti i contenuti che la coscienza trova inaccettabili perché non ancora forte e strutturata. Saturno quindi divide, spezza, separa parti di inconscio per elaborarle e portarle alla coscienza dell’Io, ma nel contempo esclude, supervisiona e rimuove ciò che considera pericoloso ed invasivo.

Tutto ciò ha un perfetto riferimento mitologico e si colloca nella fase di transizione dal sistema matriarcale a quello patriarcale, in cui questo Dio-simbolo ha avuto un ruolo fondamentale nel forgiare e strutturare la nuova acquisizione di realtà fino a giungere a simboli quali SENSO DI COLPA – SENSO DEL DOVERE – OBBLIGO – OBBEDIENZA, che nascono tutti dall’istanza del Super-Io ma che sono frutto di uno sbilanciamento del potere patriarcale.

Saturno rappresenta anche alcuni cardini dell’Era dei Pesci e del Cristianesimo, che si è affermato così potentemente proprio perché ne ha usato i simboli: ha gerarchizzato le vecchie strutture, ha potenziato l’immagine di un Dio punitivo che infliggeva perdite e sacrifici, ha eliminato l’elemento femminile, demonizzandolo e degradandolo a ruolo inferiore, lasciando intatto quello maschile. In pratica, nell’Antico Testamento avviene un crescendo di distruzione della potenza femminile che era invece fortemente radicata in quell’area geografica. Da quel punto in poi, tutti i simboli che prima erano sacri – il sangue, il maiale, la Grande Madre – diventano immagini di impurità, di degradazione e di inferiorità.

Per riuscire ad instaurare il concetto di autorità, di obbedienza e di gerarchia, si comincia a fare largo uso del senso di colpa, tra cui il più tipico è quello verso il padre, che fa sì che il figlio non sia mai libero e non giunga mai ad una vera identità; anzi, questa timorosa obbedienza al padre non consente al figlio di raggiungere un vero senso di autonomia, perché per farlo dovrebbe ribellarsi, accettando appunto di pagare con il senso di colpa. Se invece mantiene l’amore del padre, facendo ammenda, è condannato a rimanere figlio, perché il Vecchio Re non intende abdicare; contrariamente a quanto accade nel mito del Re dell’anno matriarcale, dove Zeus detronizza Urano e lo spedisce nel Tartaro.

Questo sembra essere il vero dilemma patriarcale, in cui l’Eroe non può più realizzarsi, non perché non ne abbia la forza ma perché non osa sconfiggere i padre, permettendo così la rinascita e la ripresa della vita. Qui il Vecchio Re non vuole morire, e il figlio ha tali sensi di colpa da giungere troppo spesso alla rinuncia, a cui segue la privazione dell’autonomia (tutti simboli saturniani, Casa decima – Capricorno), raggiungibile solo attraverso un TRADIMENTO che consiste nel voltare le spalle e farcela da solo, senza madre né padre, diventando adulto e genitore di sé stesso.

Questo passaggio filosofico tra mondo matriarcale e mondo patriarcale si compie proprio attraverso il Re, che prima aveva un regno di un solo anno, e che attraverso il proprio sacrificio (Seme) fecondava l’Uovo garantendo il rinnovamento della vita grazie al potere creativo femminile: ogni anno, dunque, risorgeva e rigenerava sé stesso, mentre nel patriarcato il Re diventa permanente e non obbedisce più al ciclo naturale. E’ proprio in questa passaggio che si imbatte nel fortissimo contrasto con il figlio (la lotta tra Urano e Saturno): nel mondo greco il padre perde, ma nel mondo giudaico è il figlio che deve morire e sacrificarsi ad un Super-Padre che non vuole arrendersi.

Il Dio-Iahvè, infatti, non è l’immagine di un Padre ma quella di un Patriarca, che castra l’autonomia e la vita del figlio per rimanere Re. Il figlio, di conseguenza, rimane un non-uomo, gravemente ferito nella propria identità, non perché non abbia un padre in cui identificarsi ma perché ha un Super-padre-patriarca che non può sconfiggere (temi che ruotano attorno agli aspetti Saturno-Sole o Saturno-Marte). Qui dunque si compie il passo successivo: sulla Croce ci va il Figlio, e questa rimane l’unica possibilità di individuazione, pur attraverso la sottomissione al Padre e l’identificazione nel suo medesimo principio. Per poter liberare la propria natura, Gesù non ha avuto altra scelta se non quella del sacrificio, altrimenti sarebbe rimasto eternamente Figlio.

Certamente l’errore non dipende dal Mito in sé, ma dall’interpretazione che se ne è fatta: rendendo positivi gli atteggiamenti di sottomissione ed obbedienza ai padri, si garantiva infatti la sottomissione e l’obbedienza ai Super-Padri della Chiesa. Tuttavia, finché i figli si sottometteranno, non riusciranno a vedere il padre come castratore (appunto come Saturno) mentre, se non si vogliono perdere, devono fare proprio come indicato nel vecchio mito (e come vuole il Re-Io), cioè “tradire” l’educazione ricevuta ed imposta, e lottare per la propria legge.

Ma come si è arrivati a tutto ciò?

I grandi profeti ebraici, che volevano instaurare una nuova religione con un solo Dio, Iahvè, si scontrarono con una religione ancora molto potente – quella della Grande Dea – ed anche più permissiva, più istintiva e naturale. Essi desideravano che Israele avesse un’unica identità, e per questo dovevano incutere terrore, rendendo Ombra tutto ciò che era femminile e sacro alla Dea, negando e rimovendo i suoi simboli perché non consentivano di fare ordine. A tal fine occorreva l’immagine di un Dio punitivo, che si inserisse lentamente nella coscienza attraverso il senso di colpa richiamato dalle infrazioni alla legge di Iahvè.

Tutto ciò si realizzò attraverso il rituale del Capro Espiatorio.

Originariamente il capro espiatorio era un simbolo risanante, simile alla nostra Eucaristia, in cui il corpo era quello di Dio, che veniva così incorporato. Il sacrificio che veniva offerto a Iahvè aveva dunque lo scopo di lavare tutte le colpe con il sangue del capro, così da ricongiungersi a Dio e ritrovare pace ed armonia. L’intero rituale veniva eseguito dal Gran Sacerdote, in veste di tramite tra il Divino e l’Umano.

In un’epoca successiva il rituale si complica molto, e i capri diventano due. Uno di questi, analogamente a quello più antico, veniva sacrificato all’interno dell’accampamento, della tribù, della città, con il fine già descritto di ricongiungersi a Dio ed ottenere il perdono dei peccati. Contemporaneamente però veniva eseguito un altro rituale, all’esterno dell’accampamento, oltre le mura, in cui un capro non veniva ucciso, ma legato ad un altare mentre il Gran Sacerdote elencava sopra la sua testa tutti i peccati del popolo d’Israele. Questo capro “riceveva” dunque i peccati non suoi, dopo di che veniva liberato ma condotto nel deserto e lì abbandonato.

La dualità, il bene e il male, cominciano a farsi molto evidenti nella possibilità di addossare a qualcun altro le proprie colpe, vivendo tranquillamente all’interno delle proprie reti sociali sapendo che, all’esterno, c’è chi paga per noi... Infatti, mentre il sangue del primo capro purifica e riconcilia (e rappresenta quindi la forza positiva che un istinto sano sempre possiede quando ricontatta lo Spirito), il secondo capro viene invece bandito e porta con sé tutti i peccati, lontano dalla coscienza collettiva, in una vera e propria rimozione del senso di colpa. Esso rappresenta la libido, una forza necessaria e vitale ma da respingere: non a caso gli venivano scaricati addosso tutti i peccati banditi dal codice ebraico ed associabili ad energie minacciose per lo status quo: sessualità, aggressività, ribellione, cupidigia eccetera.

Queste energie negative venivano proiettate su un Dio di nome Azazel (legato all’istinto e al femminile), che gli ebrei ritenevano responsabile anche di indurre le donne al peccato e gli uomini alla guerra. Azazel significa letteralmente “roccia dura”, proprio per la solidità strutturale che doveva possedere per portarsi addosso questo carico. Era un Dio, ma nel tempo si trasformò sempre più nell’Ombra di Iahvè, consentendo al Dio ebraico di affrancarsi dalle dee matriarcali, dalla natura e dal “male”, e sancendo definitivamente la separazione tra maschile e femminile, conscio ed inconscio, bene e male, Dio e Satana.

Ovviamente, attraverso la modifica di un rituale si modifica anche l’aspetto psicologico del popolo che ne fa uso, altrimenti non sarebbe possibile la proiezione. Psicologicamente Azazel diventò un giudice, ipocrita e condannante: il braccio vendicativo di Dio e portatore della Sua ira. Incarnò la morale collettiva, fatta di leggi dogmatiche ed inflessibili, che distruggeva i suoi trasgressori ed annullava ogni traccia di autonomia etica. Nella psicologia individuale si traduce con il Super-Io castrante, che opera contro i valori umani in generale e contro la libido in particolare. E’ il Saturno-Marte che dapprima viene personificato dal Super-Padre-Patriarca che impedisce attraverso il disprezzo l’individuazione del figlio, e che poi diventa censore interno, consentendo solo due modi di essere:

1) Identificazione con il condannante

Qui ci sono scarse possibilità per il figlio, se non di diventare inflessibile con gli altri così come il padre lo è stato con lui, ed assumendo atteggiamenti di presunta superiorità, sprezzanti qualsiasi emozione che viene vista come debolezza. Il figlio diventa Dio: colui che ha fatto sacrifici, che si è redento e che non cade più nella tentazione del peccato.

Le persone che imboccano questa strada sono senza vita, non concedono nulla agli altri perché non si concedono nulla; sono scollegate da ogni sentimento, annegati nella sofferenza ed appagati solo di fronte a chi soffre e si snatura come loro.

2) Identificazione con la parte Ombra

In questa condizione c’è l’assenza totale di autostima, si svaluta e si nega il proprio modo di essere perché l’Io non si è mai sviluppato e quindi non esiste individualità. Al suo posto si è strutturata una Maschera (Persona) che cerca di uniformarsi alla morale collettiva (familiare-sociale) senza lasciare spazio ai bisogni personali. Forte è la paura del rifiuto e si cerca disperatamente un’appartenenza.

In entrambi i casi, comunque, l’aspetto giudicante e condannante di Azazel è visto come una virtù, una forma di ideale elevato di moralità che si traduce in un Super-Io sadico, che travolge ed annienta l’Io-vittima. Tuttavia l’Io, pur straziato e frammentato, non riesce a vivere secondo i canoni collettivi e quindi si sente sbagliato e non meritevole di amore, sperimentando quello che Freud chiamò il “senso di colpa primario”. A questo punto, nell’individuo insorge un inconscio ma fortissimo bisogno di espiazione, perché si sente inadeguato alla realtà ma non può mostrarsi fragile chiedendo protezione, e contemporaneamente non può ribellarsi perché si sentirebbe in colpa. Di fatto è bloccato e si sente come un bambino di fronte alla vita, perché il suo Io è ammalato, torturato, ormai insensibile.

Questi soggetti sognano spesso bambini congelati o chiusi in casseforti di piombo, oppure che lottano per sopravvivere ma che loro non riescono ad aiutare… Ciò che sognano è il loro Io-bambino, ferito, disperso, che non riescono a contattare proprio perché congelato da un Super-Io rifiutante e da un totale senso di impotenza. Proprio come Azazel, essi non fanno concessioni né alla ribellione né all’impulsività: ogni cosa che affiora viene ricacciata nell’inconscio, e così l’Io si dicotomizza tra il ruolo di VITTIMA e quello verso il DOVERE, che in realtà protegge la parte vittima relegandola in una torre d’avorio, al cui interno rimangono congelati gli impulsi, i bisogni, l’aggressività, l’emotività e la forza vitale.

In questi casi si finisce col negare tutto, e per sopravvivere viene sviluppata una MASCHERA talmente forte da reggere – come Roccia Dura – tutto questo carico. Il problema è che è proprio questa maschera a fornire un senso di identità alternativo, per compensare l’Io-vittima tenuto in scacco. L’individuo è sorretto dal Super-Io giudicante e condannante, come un blocco a sé, completamente staccato dall’interiorità e quindi non integrato ma adattato perfettamente alle condizioni esterne. L’Io è estraneo e vaga nel deserto, così come Azazel… Ed ha un tale bisogno di essere accettato da giungere a comprare questa accettazione, sviluppando qualità come l’efficienza, la pazienza, il perfezionismo, il perbenismo e la competenza, cercando di diventare indispensabile agli altri ma in fondo condannandosi come se avesse venduto l’anima al diavolo: e di fatto vendendola alla collettività, mentre la sua individualità rimane abbandonata nel deserto.

Apparentemente è forte, stoico; con un misto di falsa passività e di falso orgoglio si ritiene un virtuoso martire. Ma all’interno si sente inadeguato ed impuro, e quindi deve continuamente rinforzare l’irreprensibilità della sua immagine esterna. L’Io è totalmente identificato con la propria Maschera, non ha sviluppato alcun senso di giudizio e di morale personale e non sa neppure che esistano valori individuali, perché fa riferimento solo a quelli collettivi: questo è uno degli aspetti più difficili di Saturno perché nella prima parte della vita richiede ai suoi protetti uno sforzo doppio rispetto agli altri.

Gli individui saturniani sono davvero “protetti” dal Grande Vecchio, perché a certe condizioni esterne, spesso proibitive (tipiche ad esempio delle quadrature di Saturno al Sole e/o a Marte), lui offre un modo per sopravvivere, fornisce meccanismi di difesa efficientissimi, che consentono alla struttura psichica di forgiarsi in qualche modo. E qui si consuma il paradosso: durante l’infanzia Saturno è veramente un protettore dell’Io troppo fragile per affrontare la vita, ma per proteggerlo lo imprigiona, lo cristallizza, così da impedirgli di avvertire la sofferenza e la paura, nonché il senso di solitudine e di alienazione per ciò che non ha e non può avere. E’ come se Saturno prendesse l’Io e lo chiudesse dentro una buca protetta da un muro di mattoni: così la Maschera cresce ma non cresce l’Io, perché la sua ferita non può cauterizzarsi se prima non viene riaperta e disinfettata. La Maschera sembra forte, matura e competente, ma in realtà è solo rigida. L’Io invece è vulnerabile ed alla ricerca della soddisfazione di bisogni infantili continuamente negati. Così, queste persone finiscono per sentirsi addosso l’Ombra della società (il peso del mondo sulle spalle…), sono spesso depressi e frustrati ed arrivano persino a desiderare la morte per porre fine al loro esilio.

Hanno insomma sviluppato appieno il complesso del Capro Espiatorio, perché:

- non hanno identità, né fiducia in sé stessi od autostima;

- sono caricati di un senso del dovere e di responsabilità che portano avanti per inerzia;

- non si sono sviluppati individualmente perché sono identificati nelle norme e regole della morale collettiva;

- per non tradire ciò che hanno ricevuto, hanno invece tradito sé stessi, fino a distaccarsi completamente dalla vita (non dimentichiamo che Marte si presenta come rabbia e frustrazione ma scatta quando vengono attaccati i nostri punti vitali: i saturniani però sono scollegati anche dalla rabbia e finiscono per non sentirla più);

- hanno negato l’Ombra e finiscono per incarnare i valori di autorità e di disciplina perché la loro esistenza dipende dalla convalida esterna;

- non sono in grado di affrontare la propria realtà emotiva e quindi utilizzano ruoli per affrontare gli altri e come barriere tra sé stessi e gli altri;

- il dovere, il decoro, l’obbligo morale e i parametri comportamentali si sostituiscono alla responsabilità personale e ai rapporti di sentimento, ed ogni situazione viene affrontata e risolta senza emozione, “ragionevolmente e praticamente”.

Perché si struttura questo complesso?

Questi soggetti hanno sperimentato nell’infanzia la sensazione di non essere meritevoli di amore, e quindi si sono fatti carico del senso di inadeguatezza e dell’idea di essere sbagliati ed incapaci. Sono bambini che si sentono in colpa per tutto, a volte persino di esistere.

I genitori hanno analoghi problemi: infatti le dinamiche saturniane vengono in un certo senso “passate” di generazione in generazione. Genitori del genere non sono in grado di entrare in rapporto con il proprio figlio: pretendono da lui ciò che nemmeno loro riescono a fare, ed anche dentro di loro c’è una scissione tra bene e male; si appoggiano ad ideali di perfezione tirannici ed esasperati, sconnettendosi dalle emozioni che provano e non tenendo conto dei bisogni del figlio ma solo delle richieste del mondo.

Chi sviluppa questo complesso, identificandosi con l’Ombra, è incapace di strutturare il proprio Io perché non è in condizione di elaborare ed assimilare le esperienze. In effetti i saturniani, contrariamente a quanto si scrive e si pensa, maturano tardissimo: maturare significa avere il coraggio ed accettare il rischio della sofferenza, ma perché ciò avvenga è necessario aver vissuto nell’infanzia l’esperienza della “dipendenza” unita ad un senso di “contenimento”, e questo ai saturniani è stato negato, per cui crescono scollegati dalla sofferenza, nella loro maschera rigida che li fa apparire maturi mentre sono solo vecchi, di atteggiamento e spesso di mentalità, privi di spontaneità e gioia di vivere.

Vorrei poi sfatare anche un’altra credenza astrologica, che considera i saturniani come persone dall’assoluta freddezza emotiva. Questo, come al solito, è solo l’effetto, ma è tale proprio per la loro potente fragilità e sensibilità: da cui devono difendersi, per non morire. I saturniani quindi non sono persone “non emotive” ma persone terrorizzate dall’emotività e scollegate da essa. Per uscire da questa empasse, devono ricomporre l’Io scisso e permettersi di provare emozioni, compreso quel dolore che hanno così a lungo represso. Devono ricominciare a fidarsi delle loro percezioni e smettere di dar credito alle valutazioni esterne, lasciando emergere la frustrazione, la ribellione ed il risentimento che si cela dietro ad una maschera virtuosa che inganna gli altri e loro stessi.

Lo scoglio di Saturno consiste nella personalizzazione. Soprattutto nel suo secondo ciclo chiede all’individuo di allontanarsi dal collettivo, ma a quel punto è necessario un lavoro di destrutturazione dei valori introiettati e la loro sostituzione con i valori personali. Saturno chiede che diventiamo responsabili di ciò che siamo veramente, di farci carico delle nostre scelte e delle nostre opinioni, nonché del nostro senso di realtà e di giustizia; diventerà crudele e terribile come Azazel se saremo falsi e troveremo alibi nel dire che sono gli altri a volere determinate cose da noi.

Il messaggio è chiarissimo a livello astrologico: la libertà – valore a cui Saturno ci conduce attraverso la decima casa e nel suo sostegno in Acquario – non può esistere se prima non sappiamo chi siamo e cosa vogliamo, se non abbiamo conosciuto i nostri personali limiti e valori. La libertà è il lusso che può concedersi solo la disciplina, cantava Bob Dylan negli anni ’60. Ma io credo che ciò sia valido soprattutto ora.


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