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PSICOSOMATICA DELLA PAURA

a cura di Lidia Fassio
 

La psicosomatica ha il grande pregio di mettere in relazione situazioni psicologiche a mutamenti fisiologici; in particolare le emozioni sono le principali responsabili di questi cambiamenti poiché, nel loro significato più profondo, hanno proprio lo scopo di “emo agere, ovvero di agire sul sangue” in modo da essere comunque percepite.
Le emozioni, oltre che preziose informazioni sono anche “impulsi ad agire” e per questo sono molto efficaci; appartengono al sistema limbico – il nostro secondo cervello – che apporta informazioni importanti legate all’evitamento del dolore.

La paura è stata studiata da tantissimi medici e psicologici e tutti hanno concordato sul fatto che crea movimenti interni potenti anche perché, a differenza di altre emozioni, è prettamente collegata alla nostra sopravvivenza per cui ha meccanismi più efficaci per farsi ascoltare.
Si tratta quindi di un altro sistema legato alla “conoscenza” di noi stessi che andrà ad interagire con la corteccia cerebrale lavorando in sintonia; sono due diverse “menti” che danno origine ai sistemi emozionale e razionale che spesso sono visti come dicotomici mentre, in realtà, devono lavorare insieme per la salute della persona.

Le radici del nostro sistema emozionale affondano nell’olfatto che è l’organo di senso più chiaro e diretto, quello che riceve e analizza gli odori. Come ben sappiamo, soprattutto dall’osservazione degli animali, la paura agisce sui nostri neurotrasmettitori che emettono sostanze particolari, molto riconoscibili da essi attraverso il potentissimo fiuto.
Il sistema limbico possiede due centri: quello della memoria e quello dell’apprendimento: insieme hanno permesso l’evoluzione dell’uomo apprendendo dagli avvenimenti accaduti e rispondendo in maniera via via più complessa ma anche più adattiva. La comparsa della corteccia cerebrale ha permesso nel tempo di imparare a non reagire in modo automatico e rigido agli stimoli, scegliendo strade mutevoli e differenziate sulla base di ciò che si ha di fronte: questo terzo cervello si è rivelato estremamente vantaggioso per gli esseri umani, tuttavia, convivono due sistemi con una loro indipendenza e, nei casi in cui le emozioni non siano debitamente riconosciute, analizzate e contenute, risultano pressanti ed imperative rispetto al sistema razionale soprattutto in alcune questioni – come quelle legate al cuore e ai sentimenti – che restano sottomesse al sistema limbico fino al punto da influenzare il pensiero e il ragionamento.
Questo perché, contrariamente a quanto si è pensato per secoli, quando siamo preda di emozioni molto intense, i segnali non vengono inviati alle aree della corteccia che è preposta ad analizzarle bensì, vanno direttamente all’amigdala, una piccola formazione presente nell’encefalo che può rispondere prima che gli input vengano riconosciuti, analizzati e registrati dalla neocorteccia.
Questo significa che l’amigdala può decidere risposte che possono sfuggire totalmente al controllo della parte razionale con la sua sofisticazione.

Come funziona la paura sull’organismo

La paura si avverte prima di tutto sul cuore: infatti, non appena proviamo questa emozione, il ritmo cardiaco aumenta; contemporaneamente c’è l’attivazione dei muscoli e l’incalzare del ritmo respiratorio e, infine, viene avvertita anche a livello intestinale; la paura agisce a tre diversi livelli:

sul sistema nervoso simpatico
sul sistema ormonale
sui nuclei sottocorticali

Il sistema nervoso simpatico viene attivato in tutti gli stati di emergenza al fine di mettere in azione le sinapsi che possono così trasportare i neurotrasmettitori in particolare noradrenalina e adrenalina che agiscono direttamente sul cervello e sui comportamenti.
Negli animali è molto visibile questo gioco attraverso lo stato di agitazione, la tensione muscolare e il raddrizzarsi del pelo; negli uomini ci sono le stesse reazioni anche se non si vede più il movimento dei capelli e dei peli, c’è poi la dilatazione delle pupille e delle orecchie perché il corpo mette in condizione di vedere e sentire meglio.
Un’altra conseguenza è l’alzarsi immediato della pressione sanguigna che consente di essere pronti alla reazione che può essere correre, scappare oppure attaccare, operazioni che richiedono la tensione di tutti i  muscoli. Tutto ciò, per l’organismo, significa stato di grande stress.
I surreni entrano in azione per l’intervento diretto del sistema nervoso e dell’ipofisi che è l’unica ghiandola a secrezione interna che controlla tutte le altre che, invece, sono periferiche. L’ipofisi secerne l’ACTH, un ormone che stimola i surreni a produrre la sostanza che può portare, a seconda della situazione, a reazioni di blocco e immobilizzazione, oppure alla fuga o all’attacco (che comportano movimento). Questo significa che ci sono centri diversi per l’immobilizzazione o per l’attacco o la fuga e, la risposta dipende molto dallo stato di salute del soggetto e dal fatto che si trovi o meno in un ambito conosciuto nonchè da ciò che si è appreso rispetto all’uso dell’aggressività.

Senza dubbio, la sovraproduzione ormonale è importante  in caso di attacco ma non può essere continua poiché tende a squilibrare l’intero sistema ormonale.
In un neonato tutte le reazioni sono al di fuori della coscienza mentre, nell’adulto, interviene anche la corteccia cerebrale che in teoria, dovrebbe servire ad elaborare strategie di azione tuttavia, in molti casi, la paura consapevolizzata genera anche la paura di avere paura come accade negli attacchi di panico.

Chiaramente sappiamo bene dalla psicanalisi che l’uomo moderno non è solo preda delle paure esterne ed oggettive, ma spesso è in balia di paure interne, tipicamente soggettive per cui può mettere in moto gli stessi meccanismi senza che vi sia un “nemico” reale individuato. Le paure interne sono molto più perniciose di quelle esterne in quanto, dalle seconde si può fuggire, mentre dalle altre no.
Nel bambino spesso si verificano paure interne quali quella di perdere l’oggetto amato, quella di restare solo o di essere con estranei per cui i meccanismi si attivano a causa delle grosse tensioni che si verificano e che generano l’ansia che è la normale risposta dell’Io quando non riesce a trovare una via di uscita alla sensazione di pericolo che avverte. In queste condizioni è proprio la madre che interviene con le sue capacità a sedare l’ansia ma, se questo non avviene o è saltuario e insufficiente, le paure possono prendere il sopravvento fino a produrre angoscia, fobie e sintomi somatici.
La funzione materna è importantissima anche nell’insegnare al bambino a reagire correttamente agli stimoli di allarme che, in questo modo, vengono riconosciuti e discriminati.

In condizioni normali il bambino crescendo riesce a dominare senza grandi difficoltà gli stimoli della paura sia perché ha appreso molte informazioni sia perché è in grado di autorassicurarsi sulla base di ciò che la madre ha insegnato quindi, innalza notevolmente il suo livello di tolleranza.
Certo con la crescita cambiano anche le paure ma, salvo casi veramente limite, imparerà ad utilizzare le sue capacità cognitive per far fronte alle paure.

In condizioni difficili dovute sia ad ambienti fortemente minacciosi e traumatici che abbiano creato ipersensibilità e stati di vigilanza costanti, sia all’incapacità della madre di agire in modo da aiutare il bambino a comprendere i suoi stati d’animo e a rassicurarsi,  le paure possono continuare a dominare il suo mondo lasciandolo insicuro ed impotente di fronte alle necessità della vita.

Qualora le paure persistano costantemente nella vita non possono non esserci effetti collaterali dovuti allo stato di stress che permane costante anche perché questo richiama in continuazione un superlavoro da parte di molti apparati che finiscono per scompensare l’equilibrio fisiologico.
Dal punto di vista psicologico le paure non risolte generano angoscia e finiscono per portare a nevrosi bloccanti o ad aggressività reattiva in cui il soggetto si difende attaccando qualunque situazione sia percepita come intrusiva rispetto a sé o ai suoi spazi.

La nevrosi è una vera e propria patologia dovuta ad una mancanza di adattamento a causa della rimozione della natura pulsionale dovuta all’introiezione di norme morali molto rigide. In questo caso le paure sono ovviamente solo interne ma si associano a molti sensi di colpa che aumentano il disagio fino a diventare vere e proprie fobie.

E’ quindi imperativo affrontare le paure esagerate  perché il loro scopo è quello di far reagire istintivamente e in modo indiscriminato oppure di limitare,  ridurre l’efficienza e la partecipazione al mondo. Risultano quindi fortemente invalidanti sul piano dello sviluppo di un’identità adulta. Chi ha paura subisce continue regressioni allo stato infantile nel tentativo di arginare il dolore e la sofferenza che produce.

Sul piano fisico la continua tensione muscolare finisce per non permettere più stati di quiete e questo agisce direttamente sul sistema nervoso (sempre in sovraccarico), su quello immunitario che non può fare la sua funzione normale perché costantemente sotto pressione e, infine, sul sistema cardiovascolare che reagisce con rialzi pressori inutili e con tachicardie che, a lungo andare, possono anche danneggiare il cuore. Anche la continua produzione di neurotrasmettitori addetti a superare stati di estremo allarme mette in difficoltà gli organi che sono preposti alla loro elaborazione ed espulsione oltre che richiamare il sistema endocrino a continue, quanto inutili, compensazioni.

La consapevolezza e la parte cognitiva si rivelano molto utili nell’affrontare gli stati di paura fino ad imparare a gestirla prendendone anche le distanze. Oggi ci sono molte terapie, anche brevi, che possono aiutare questi soggetti a venire a capo dei loro problemi.




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