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VASCO ROSSI : SENZA PAROLE

a cura di Luna
 
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Ho un libro nero. Bello, ben impaginato, copertina satinata, insomma, piacevole a vedersi. All’interno di questo libro ci sono i testi di tutte le canzoni del più noto cantautore rocker italiano. Un idolo per le folle di ogni età. Un mito. L’eroe di almeno un paio di generazioni. Quando però passo a leggere quelle parole, e le leggo con attenzione, mi vengono un sacco di dubbi. Ma cos’è questa confusione, questa sgrammaticatura, questo no-sense pressoché assoluto? Se tolgo la voce e la musica, quelle parole diventano inesorabilmente assurde, infantili, a volte ridicole.
Stranamente stò parlando del mio cantante preferito. Stò parlando di un uomo che se canta, tinge di colori assoluti il mondo di chi lo ascolta. Sto parlando di Vasco Rossi!!! E allora, la frase stupida diventa poesia, il no-sense diventa saggezza, la follia diventa verità. Un’alchimia inspiegabile, una magia nuova, un’insieme voce-parole-musica che raramente trova rivali nel mondo della canzone italiana.
Eppure, nelle rare interviste rilasciate dall’artista, ci vorrebbe la pagina 777 per capire cosa dice. Non solo per le parole ma anche per il senso che dovrebbero avere. Vasco sembra essersi appena svegliato, un po’ fuso e confuso, non presente, non pervenuto. Viene voglia di cambiare canale, di cambiare storia, di cambiare cantante. Ma allora, mi chiedo, perché quando sale su un palco, quando prende in mano un microfono, diventa  gigantesco, immenso, sublime? Perché se canta “Sally” ci vengono i brividi? Perché se canta “Senza parole” ci sentiamo parte integrante della canzone? Perché se canta “Liberi, Liberi” diventiamo improvvisamente consapevoli di aver fallito qualcosa?

Perché lui è Vasco Rossi. Nato a Zocca (Modena) il 7 febbraio 1952 alle ore 20.30. Perché la cicogna è stata dirottata da un destino beffardo che, invece di depositarlo nel paese dei liberi, nella terra dell’impossibile, l’ha messo nella culla della Signora Novella Corsi, una casalinga amante della musica e del di lei marito Giovanni Carlo, professione camionista. Un padre che ha conosciuto l’orrore dei campi di concentramento, dove ha visto l’amico Vasco, compagno di prigionia, morire di stenti e di fatica. Da questo triste episodio il nostro Vasco nazionale eredita il nome di battesimo.
Vasco cresce in una famiglia che lo circonda di affetto, una famiglia composta da tante, forse troppe, donne: madre, zie e nonne. Viene subito mandato a studiare canto dal Maestro Bononcini, e comincia ad amare il mondo della musica. A soli 13 anni vince “L’Usignolo d’oro”, un concorso canoro modenese. A 14 si unisce  alla prima Band musicale chiamata “Killer”, nome un po’ forte, successivamente trasformato in “Little Boys”. Una volta finita la scuola media, viene iscritto all’Istituto dei Salesiani di Modena, il S. Giuseppe. Purtroppo Vasco non sopporterà la ferrea disciplina dei religiosi (siamo nel 1967, un’epoca dove le bacchettate sulle mani erano regola e non eccezione), ed il fatto che i compagni di istituto lo dileggino per le sue origini “montanare” inciderà negativamente sul carattere del cantante. Si chiude in sé stesso, si immusonisce, si ribella, scappa, e la famiglia si vede costretta a cambiargli scuola. Frequenterà il Tanari, un Istituto Tecnico Commerciale dove consegue il diploma. Il complesso derivatogli dalla derisione degli insegnanti e dei compagni del S. Giuseppe non riesce però a superarlo del tutto e qualcuno racconta che anche ora, in età decisamente adulta, emerga in alcune circostanze.

In questo periodo Vasco vive a Bologna, dove, come in tutti gli altri grossi centri urbani, si respira aria di ribellione, di rivoluzione studentesca e non. Si dichiara filo-anarchico, ma sostanzialmente la politica non gli interessa un granchè, non si conoscono infatti sue partecipazioni attive alla lotta che la sua generazione ha portato avanti con rabbia in quegli anni così turbolenti. Ad un certo punto si interessa di teatro e vorrebbe iscriversi al DAMS per frequentare il corso di teatro alternativo. Il padre però non sente ragioni e lui, nel 1972 si sentirà costretto ad iscriversi all’Università al corso di Economia e Commercio. Si mette proprio d’impegno ed i primi risultati sono molto buoni, ma un po’ alla volta capisce che non è quella la sua strada e dopo 2 anni abbandona questo ramo per iscriversi alla facolta di pedagogia, molto più in linea con le sue caratteristiche e predisposizioni. Ma anche in questo caso abbandona il tutto a soli 8 esami dalla Laurea.
E’ proprio in questo periodo che Rossi, convinto dall’eterno amico Marco Gherardi, aprirà “Punto Radio”, una radio libera come tante altre che spuntavano come funghi in quegli anni. Qui Vasco comincia a farsi le ossa come dee-jay, diventando un po’ alla volta, uno dei più richiesti per le serate nelle discoteche più importanti dell’Emilia Romagna. Conosce in questo modo personaggi che costituiranno il suo trampolino di lancio nel mondo della canzone: Massimo Riva, Maurizio Solieri, Gaetano Curreri, Red Ronnie.
Nel 1977 incide il primo 45 giri contenente i brani “Jenny” e “Silvia”. Nel 1978 esce il suo primo album “Ma cosa vuoi che sia una canzone” venduto praticamente solo in Emilia Romagna. Il successo però comincia ad intravedersi nel 1979 con l’uscita dell’album “Non siamo mica gli americani” contenente il famosissimo brano “Alba Chiara”.

Nel 1979 muore improvvisamente il padre stroncato da un infarto, e per qualche tempo Rossi pensa di abbandonare il mondo della musica stravolto dal senso di colpa per non aver seguito le indicazioni professionali desiderate per lui dal padre stesso.
Forse è causa di questo grande dolore, forse no, ma sta di fatto che è proprio dopo la morte del genitore che le canzoni di Vasco diventano più dure, più rock, più intense. Dal 1980 infatti iniziano anche le sue apparizioni televisive ed il cantante comincia a diventare una vera e propria star, un ribelle che canta una musica strana, diversa, una musica di rottura. Nel 1981 esce “Siamo solo noi” una canzone che diventerà un inno per quella generazione. Basta ascoltare il ritornello per capirlo:  “Siamo solo noi, che andiamo a letto la mattina presto e ci svegliamo con il mal di testa... Siamo solo noi, che non abbiamo vita regolare, che non ci sappiamo limitare... Siamo solo noi, quelli che non han più rispetto per niente, neanche per la mente... Siamo solo noi, quelli che poi muoiono presto, quelli che però è lo stesso...”.
Rimarrà nella storia musicale la sua esibizione al Festival di Sanremo del 1983, dove presentò l’arcinota “Voglio una vita spericolata”. Quasi al termine della performance, all’attacco dell’ultimo brano, Vasco, saluta tutti e abbandona il palcoscenico, mentre il playback prosegue imperterrito: “E poi ci troveremo come le star, a bere del whisky al "Roxy Bar", o forse non c'incontreremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai”. Uno dei tanti gesti ribelli del cantante che comincia a crearsi la fama di “maledetto”. In quel periodo, proprio quando il successo gli sorride da ogni parte, lui conduce una vita davvero spericolata. Anfetamine, alcool, droghe, lexotan, costituiscono i suoi colazione-pranzo-cena. Nel 1984 viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti non a scopo di lucro e rimane in carcere 22 giorni.
In seguito a questo scandalo Rossi diventa un’icona, una bandiera  per i giovani dell’epoca, ma proprio in quel momento lui sparisce per un paio d’anni (1985-1986).  Nell’ambiente si parla di depressione ed esaurimento nervoso, ma sarà lui stesso, in seguito, a raccontare che aveva bisogno di ritrovarsi, di capirsi. In quei due anni torna alle origini, riprende a frequentare gli amici d’infanzia di quella Zocca montanara, da lui tanto amata, ma di cui tanto si era vergognato.

Quando riappare in pubblico, nel 1987, è un uomo diverso, più profondo, più mite, più raccolto, un po’ più in pace con sé stesso. La sua vis artistica non conosce più limiti, la sua fama cresce in continuazione, ormai non bastano più teatri o forum a contenere i suoi fans, ormai per Vasco ci vogliono gli stadi. Nessuno come lui (almeno in Italia) è stato in grado di attirare tutte insieme 400.000 persone ad un proprio concerto.
Inutile l’elenco delle canzoni, degli album e dei concerti che il cantante ha scritto e cantato. Ha saputo “battere” colleghi prestigiosi come Battisti, De Andrè, Zucchero, Renato Zero, Cocciante, Bennato, Venditti, Guccini e molti altri ancora. Lui è unico, originale, anticonformista, lui è un Aquario.
Di che altro segno poteva essere un uomo così particolare, così contradditorio, così  diverso?

Un uraniano autentico, poiché non solo Vasco è di fatto e di diritto dell’Aquario, ma ha anche Luna e Marte in contatto con il suo pianeta governatore: Urano. Da non dimenticare che la Luna in casa X°, se non è garanzia di fama e successo ne è una componente (astrologicamente parlando) fondamentale. Di sé stesso dice: “Non si diventa Vasco Rossi tutto in una volta”.  Ma allora, quand’è che Vasco è diventato il Blasco? Lui colloca la propria svolta stilistica nel 1982 con il 5° album “Vado al massimo”. Dirà in seguito: “Le parole mi venivano fuori così, sciolte. Sprazzi di pensieri, associazioni, i ricordi amari, gli errori, le illusioni e le solite paure che ti assalgono quando ti senti solo, di notte, con il buio.  Da allora ho abbandonato il racconto e sono entrato nella “fiction”.” In quel periodo aveva il transito del Nodo Nord in congiunzione alla sua Luna Cancro ed al suo Urano in casa X°. Saturno si ricongiungeva a sé stesso ed  insieme a Plutone trigonava il suo Sole ma quadrava la Luna ed Urano.
Una fase davvero determinante sia a livello astrologico, che, come è normale che sia, nella vita del cantante.
D’altronde lui non è di quelli che si arrendono, come evidenzia il suo potente Marte nello Scorpione. Un uomo in eterno conflitto, sempre in ansia, sempre con la corrente sottopelle, sempre in lotta con qualcosa o qualcuno, fosse anche sé stesso, ma mai domo, anzi, sempre capace di riemergere dalle sue crisi trasformato e più forte di prima. Il suo Mercurio Aquario, così brillante e geniale, è in quadratura  proprio con quel Marte, e l’inquietudine di Vasco ne è testimone. Racconta in un’intervista: “Mi diverto molto a prendermi in giro, a denudarmi davanti a tutti ed a confessare le mie debolezze ed i miei errori. Siamo esseri inutili ed imperfetti travestiti da saggi e arroganti artefici del nostro destino. Ci raccontiamo balle tutto il giorno.”

Anche quella Venere Capricorno, parla molto delle contraddizioni di Rossi. Una Venere dura, poco incline alle tenerezze, che però si scontra con la porosità empatica di quella Luna Cancerina che, anche se toccata da Urano e Saturno, sempre Luna in Cancro è.  Trovo in Vasco un grande deluso, un grande malinconico, un uomo dai tanti ricordi e troppi rimpianti. Riporto qui alcuni brani di “Liberi, Liberi” che, a mio avviso, è fortemente autobiografico: “Che cos’è stato, cos’è stato a cambiare così??? Mi son svegliato ed era… tutto qui! Vuoi sapere anche se soddisfatto di me, in fondo, in fondo lo sono mai stato? Soddisfatto di che, ma va bene anche se… se alla fine il passato è passato. Liberi, liberi siamo noi, però liberi da che cosa??? Chissà cos’è! E la voglia, la voglia di ridere, quella voglia che c’era allora chissà dov’è? Chissà dov’è?”

Il suo Ascendente in Vergine è apparentemente fuori luogo in un mito come lui, eppure ci stà benissimo nel caleidoscopio caratteriale del cantante. Animale da palcoscenico nella professione ed uomo timido e schivo nella vita privata. Ricordo la volta in cui fu premiato con il Telegatto. Venne ovviamente intervistato durante la consegna del premio, e lui rispose farfugliando qualcosa di incomprensibile, imbarazzato e desideroso di scappare a gambe levate da quel palco. Alcune riprese televisive mostrarono risatine pietose, nelle prime file del teatro, dove erano seduti personaggi illustri. Poi, Vasco prende in mano la chitarra e comincia a cantare in diretta “Sally”. Nel giro di 2 minuti, le telecamere inquadrarono gli ospiti (quelli dei risolini di prima…) con le lacrime agli occhi ed i fazzoletti in mano. Io non mi stupii di quella immensa commozione (ero stra-emozionata anche io) ma di come quell’uomo, passando dalla parola al canto avesse, in 120 secondi netti, inondato di pura emozione un pubblico non composto da gente “comune”, ma di “addetti ai lavori”, gente avvezza ad ogni genere di performance artistica; eppure, incapace di resistere alla magia emotiva di un cantautore senza pari. E’ d’obbligo citare anche il fatto che la componente nettuniana (musica, genio, follia, dipendenze varie) è evidente nel tema di Rossi. Il Sole, collocato in casa V, infatti forma un aspetto di trigono a Nettuno, giustificando così la irrequieta genialità dell’autore, ma anche le sue debolezze (alcool, droghe) e le difficoltà incontrate nel cercare di capire chi e cosa è.

Credo che Vasco sia un uomo ed un cantante unico, irripetibile, straordinario ed inimitabile. Credo che questo periodo storico sarà ancora una volta determinante nella sua vita artistica e personale, dato che si sono ripresentati alcuni transiti del 1982, un anno fondamentale dove lui è cambiato molto. Credo che una persona così nasca una volta ogni 100 anni. Credo che nonostante le sue notevoli ombre e chiaroscuri Vasco Rossi si sia meritato tutto quello che ha avuto, sia nel bene che nel male. Si è perso e ritrovato, è caduto e si è rialzato, un emblema, un esempio per giovani e adulti che in lui hanno trovato un po’ di sé stessi. Essere Vasco è un peso pesante da portare. Ha dovuto pagare un prezzo esorbitante per seguire la sua indole, la sua vocazione, per lasciare un indelebile segno del proprio passaggio. Non dimentichiamoci del suo Sole in 5°, la casa del Leone, la casa dell’identità, la casa di chi vuole essere protagonista nella vita e nella professione. Posso non condividere alcune sue caratteristiche ed alcune sue scelte (a livello umano), ma mi inchino di fronte ad un artista senza pari. Vasco non regala emozioni, Vasco è emozione pura. Vasco è se stesso. Punto. Grazie Blasco, e buon compleanno.




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