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JUNG E I TAROCCHI

a cura di Giovanni Pelosini
 

Durante i miei primi anni di studio dei fenomeni psichici e paranormali approfondii la conoscenza tecnica dell’Astrologia e dei Tarocchi. Negli anni ’60 e ’70 avevo sviluppato un approccio scientifico alla conoscenza della realtà, ma mi mantenevo distante da ogni spiegazione dei fenomeni che fosse semplicistica, o che si fondasse su presunte verità assolute e indiscutibili.

In particolare, nei miei primi studi astrologici da autodidatta, trovavo inspiegabili le connessioni fra la data di nascita di un individuo e il suo carattere. Quale misteriosa e sfuggente causa celeste poteva influire sugli atteggiamenti umani? Quali effetti sui nostri comportamenti potevano essere generati dai moti dei lontanissimi pianeti del sistema solare in riferimento alle ancora più lontane stelle della fascia zodiacale?

Inizialmente mi tranquillizzò il pensiero che, comunque, qualunque fenomeno naturale avviene anche a prescindere dalla comprensione o dalla sanzione umana: i corpi erano attirati dal centro della terra anche prima che Newton studiasse la gravità, la trasmissione dei caratteri ereditari funzionava perfettamente anche prima che Mendel formulasse le sue leggi, e il DNA era a doppia elica miliardi di anni prima che Watson e Crick lo scoprissero.

Tuttavia l’evidente mancanza di prove dell’esistenza di influssi celesti sulle tipologie e sui comportamenti umani continuava per me a rimanere un mistero da indagare.
Sì, certo, la Luna, per la sua estrema vicinanza, era responsabile di vari fenomeni terrestri conosciuti come le maree, e plausibilmente poteva essere un fattore di cui tenere conto in diversi comportamenti umani. Nello stesso modo il Sole, per il semplice fatto di essere una stella relativamente vicina, poteva essere logicamente la causa di variabili fisiologiche e/o comportamentali, dal momento che le sue radiazioni producono certamente effetti sulla Terra. Rimaneva però il dubbio di quale tipo di influssi misteriosi potesse mai avere, per esempio, un pianeta distante come Urano.

Inoltre, al di là di spiegazioni di tipo meramente esoterico, niente poteva farmi comprendere perché, di fronte a una domanda, le carte dei Tarocchi erano in grado di dare risposte adeguate e precise con il loro linguaggio simbolico.

Empiricamente il fatto mi era ben noto: come l’astrologia, il sistema tarologico funzionava bene e puntualmente. Tuttavia una spiegazione teoretica era necessaria dal punto di vista filosofico, e questa mi giunse grazie alla lettura del pensiero di Carl Gustav Jung.

Quanto segue è una sintesi di alcuni capitoli di G. Pelosini, Tarocchi, gli Specchi dell’Infinito, Hermatena, maggio 2016.   

La sincronicità

Nel secolo scorso Jung era all’intelligente ricerca di una teoria che potesse collegare i fenomeni psichici con quelli fisici, la qual cosa fu uno dei motivi del suo distacco da Freud. Già molto avanti nei suoi studi, ebbe la ventura di incontrare la straordinaria mente speculativa di Pauli, futuro Premio Nobel per la fisica. Insieme elaborarono la teoria della sincronicità: la prima convincente spiegazione moderna dei fenomeni fisici collegati agli archetipi.

Ma in che modo la sincronicità ha a che fare con l’uso mantico dei Tarocchi?

Studiare razionalmente i fenomeni naturali solo dal punto di vista della nota legge di causa-effetto è fortemente limitativo, specialmente nell’ambito del pensiero e delle relazioni umane, che molto si avvalgono del concetto di “significato”. Tale significato può essere una delle connessioni sfuggenti alle logiche solo materialiste, per le quali certi fenomeni come la cartomanzia o l’astrologia appaiono del tutto prive di senso.

Alla legge di causa-effetto Jung affiancò la teoria della sincronicità: «Io impiego […] il concetto generale di sincronicità nell’accezione speciale di coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso o un analogo contenuto significativo. Uso quindi il termine ‘sincronicità’ in opposizione a ‘sincronismo’, che rappresenta la semplice contemporaneità di due eventi» (C. G. Jung, La sincronicità).

Nella mia esperienza questi due eventi potevano benissimo essere rappresentati dalla domanda posta ai Tarocchi e dall’estrazione (non) casuale di alcune carte come risposta sincronistica da interpretare. Ma soprattutto questa coincidenza temporale di eventi acausali mostrava una straordinaria analogia di significato, dando un senso all’operazione cartomantica, che così usciva dalla fumosa atmosfera magica priva di ogni spiegazione logica. Di più, la teoria della sincronicità mi consentì di analizzare tutta l’ampia gamma di fenomeni cosiddetti paranormali con un approccio di taglio razionale.

La natura simbolica della connessione fra una situazione psichica (soggettiva) e un evento esterno (oggettivo) mi apriva infine alla ricerca successiva sul senso profondo delle immagini dei Tarocchi e della mia stessa esistenza.

Tutto è Uno

L’estrazione di una carta è una “coincidenza significativa”, cioè una corrispondenza sincronistica fra quella che è considerata la realtà ordinaria e il campo universale delle infinite possibilità. Jung parlò di accesso spontaneo e occasionale a questo mondo inconscio, localizzato nell’incerto confine fra mente e materia. Il tramite dei Tarocchi rende questo passaggio cosciente e naturale, richiamando quell’unica entità cosmica che gli alchimisti avevano chiamato Unus Mundus.

Per il tarologo riuscire a percepire l’unità nella molteplicità delle cose significa vedere in modo multidimensionale, e dimostrare la realtà psichica dell’inconscio collettivo junghiano in una dimensione non locale e non temporale che tutto comprende.

L’inconscio collettivo può essere immaginato come un campo psichico cosmico che pervade tutto l’universo e tutti gli esseri che lo compongono, e può essere in qualche modo assimilato a ciò che in Oriente è misticamente chiamato Akasha. Pauli lo chiamò “matrice invisibile collante del mondo”. Noi lo possiamo immaginare come un campo universale psichico nel quale le informazioni si conservano e si propagano collegando fra loro tutti i componenti, simbolicamente rappresentati dai Tarocchi.

Il metodo mantico

Tornando a Jung, l’ipotesi dell’esistenza dell’inconscio collettivo fornì uno spazio di azione nel quale era plausibile che agisse la cartomanzia, priva di ogni retaggio di occultismo pseudomagico, e finalmente libera dai pregiudizi della limitata (e limitante) visione positivista ottocentesca.

«Esistono certi metodi intuitivi (i cosiddetti metodi mantici) che procedono sostanzialmente dal fattore psichico, ma che presuppongono come ovvia la realtà della sincronicità. […] in tutte le tecniche divinatorie, ossia intuitive, il metodo è basato sul principio del nesso acasuale o sincronistico» (C. G. Jung, La sincronicità).

Il primo tipo di sincronicità ipotizzato da Jung è, infatti, quello della contemporaneità di un evento psichico e di un evento esterno: proprio come la corrispondenza fra una domanda e la risposta simbolica di una o più carte estratte dal mazzo.
Il secondo e il terzo tipo di sincronicità si verificano quando l’evento esterno si svolge a distanza di spazio o di tempo, dando una spiegazione di diversi fenomeni paranormali variamente implicati.

In breve la sincronicità junghiana rappresenta ancora oggi l’unico tentativo razionale e scientifico di spiegare logicamente la significatività degli eventi osservati in ambito tarologico e, più in generale, mantico, dando un senso anche a molti diversi fenomeni altrimenti inspiegabili: tutta la metafisica, la psicosomatica, la parapsicologia, il senso di antichi percorsi iniziatici e filosofici come l’alchimia, la stessa natura psichica e fisica del cosmo oltre i limitanti concetti di spazio e tempo.

Sempre in termini junghiani, una ben guidata ricerca tarologica umanistica ha la possibilità di aiutare nel riconoscimento dell’ombra, dell’ego e del vero Sé in chiave evolutiva e nel processo di individuazione.

Gli stessi eventi sincronistico-tarologici, una volta riconosciuti come tali sul percorso di consapevolezza intrapreso, diventano veri e propri stimoli psichici tesi al risveglio e all’espansione della coscienza individuale, allo sviluppo delle situazioni esistenziali cognitive ed evolutive dell’individuo e della specie.

Tutto ciò non viene a negare il noto principio di causa-effetto, ma anzi vi aggiunge l’altrettanto importante principio sincronistico, per una visione olistica del tutto, che riconosce la realtà spirituale dell’essere così come quella fisica.

Ecco che i Tarocchi, se opportunamente utilizzati, in quanto espressioni figurate degli archetipi, possono avere l’importante funzione narrativa dell’insieme integrato dei fenomeni fisici e psichici in questo universo apparentemente dualistico e molteplice in cui dominano contemporaneamente la causalità e la sincronicità.

Anche grazie a questa lunga e non sempre facile evoluzione del pensiero, iniziata nelle biblioteche alessandrine e riscoperta nel Rinascimento italiano, razionalizzata in senso psicologico nel secolo scorso, e confortata dalle più recenti teorie della fisica quantistica, abbiamo ancora a disposizione i Tarocchi: una straordinaria e funzionale macchina filosofica, meravigliosamente flessibile secondo le infinite combinazioni delle nostre inclinazioni, dei nostri talenti e perfino delle nostre credenze e di altri limiti della nostra mente. Un libro di sole immagini rievocante antiche filosofie gnostiche, ancora oggi specchi della realtà dualistica, fisica e psichica, del cosmo e dell’esistenza. 

Pauli e Jung

Lo scienziato Wolfgang Pauli, Premio Nobel per la fisica nel 1945, collaborò con Jung per ventitré anni. All’opera di queste due grandi menti si deve la teoria della sincronicità, frutto del pensiero scientifico quanto di quello umanistico (sempre che questa convenzionale suddivisione abbia un senso non arbitrario).

Le scoperte di Pauli si devono al metodo di ricerca induttivo quanto a quello deduttivo, alla soggettiva immaginazione quanto alla conoscenza dei fenomeni oggettivi. Nel ricco carteggio fra Pauli e Jung è arduo riconoscere gli scritti del professore di fisica da quelli dello studioso della psiche.

Furono proprio i simboli archetipi che emergevano dalla psiche di Pauli a portarlo prima alle cure del psicoterapeuta svizzero, e poi, una volta resi disponibili alla coscienza, alle sensazionali scoperte nel campo della fisica quantistica, pietre miliari di ciò che Heisenberg, Schroedinger, e Bohm elaborarono in seguito.

Per questi motivi, lo scienziato austriaco scrisse l’interessante saggio dal significativo titolo di Psiche e Natura, in cui, in perfetta sintonia con il pensiero dell’amico Jung, invitava a mediare armonicamente fra la realtà fisica e quella psichica per una integrata visione e comprensione del mondo.

Simboli e inconscio

I simboli dei Tarocchi sono eterni e universali: non sono legati al tempo, né allo spazio, né alla cultura, né alla morale degli individui o dei popoli. Tali archetipi fondamentali sono eternamente viventi perché trovano sempre nuove e diverse modalità espressive per farsi comprendere nei diversi contesti umani, declinandosi flessibilmente da secoli nella forma visiva e iconica dei Tarocchi di ogni tipo e stile.

Essi trovano otticamente il modo più naturale per raggiungere prima l’inconscio e quindi la coscienza di ciascun individuo, prescindendo dai suoi limiti personali e da quelli collettivi della sua società e del suo tempo. Da secoli i Tarocchi mantengono intatto il fascino delle iconografie medievali e la potenzialità narrativa, come i sogni più ispirati, i miti arcaici e le fiabe: le figure vibrano in corrispondenza all’inconscio di chi li osserva, stimolando visioni, sensi sopiti, ricordi atavici.

Con i Tarocchi si può perseguire la conoscenza di noi stessi, ottemperando al motto delfico “Conosci te stesso”, a quello ermetico “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della realtà che è una”, e all’insegnamento di Jung, teso a far realizzare il processo di individuazione sul sentiero di ricerca personale e di crescita evolutiva.

Psicologia del profondo

Jung, spinto dal dubbio e dalla curiosità di sapere, si spinse ben oltre i limiti imposti dalle conoscenze scientifiche del suo tempo, espandendo la sfera della sua coscienza al di là delle convenzioni e dei pregiudizi. Ancora oggi chi vuole conoscersi e autorealizzarsi deve ambire all’ampliamento dei confini delle proprie esperienze, riconoscendo di utilizzare solo in piccola parte le potenzialità creative umane. I simboli dei Tarocchi possono rappresentare i mezzi per uscire da noi stessi e trovare paradossalmente noi stessi, superando le contrapposizioni dualistiche, le molteplicità nelle quali si manifesta l’essere e la separazione apparente.

Il metodo psico-tarologico aiuta a «ricordare» (come diceva Platone), «risvegliarsi» (come dicevano Proclo e Keplero), andare oltre tutte le illusioni, tutto ciò che ci separa da noi stessi e dal resto del cosmo instaurando fittizie divisioni fra le apparenti molteplici manifestazioni dell’unica realtà. Per Jung si trattava di comprendere nel profondo il flusso della vita, di accedere, attraverso l’inconscio (che René Guénon preferiva chiamare “superconscio”), al significato di un evento o di una condizione soggettiva in un ambito oggettivo, superindividuale e cosmico.

In sintonia con il pensiero junghiano, i Tarocchi invitano a riconoscere l’unità di Tutto mediante la loro simbolica molteplicità delle forme, in continuazione con l’antico pensiero ermetico ellenistico “En to Pan” (Uno il Tutto), e con quello ancora più antico di origine vedica “Ekam sat” (Uno solo esiste), perpetuato da Padre Anthony Elenjimittam, come ebbi la fortuna e l’onore di apprendere direttamente da lui.

I Tarocchi secondo Jung

Jung è da ritenersi una figura fondamentale per lo sviluppo del pensiero tarologico contemporaneo, con l’analisi della psiche profonda, il concetto di inconscio collettivo e lo studio dei fenomeni sincronistici. Ma pochi sono a conoscenza di un suo interesse specifico per i Tarocchi.

Sono noti i suoi studi “scientifici” sui metodi mantici in generale, e sull’applicazione della sincronicità ai sistemi geomantici, all’Astrologia e al cinese I Ching, che fece tradurre presentandolo al mondo occidentale per la prima volta. Ma non altrettanto conosciuto è il suo studio sui Tarocchi, oggetto di sperimentazione di un gruppo di lavoro dal 1950 al 1954 presso il suo istituto di Zurigo.

Jung ebbe l’idea di sperimentare la conoscenza intuitiva archetipica nei processi simbolici della psiche tramite le immagini dei Tarocchi, ma lo studio non fu terminato per mancanza di tempo e risorse umane.

Purtroppo Jung non ebbe tempo di scrivere un’opera specifica sull’argomento, né di fare seminari in merito, ma, secondo la sua paziente Hanni Binder, Jung imparò una tecnica di utilizzo dei Tarocchi fra il 1950 e il 1952, e ciò non ci sorprende, essendo perfettamente in linea con il resto dei suoi studi e interessi.

La stessa Binder conservò gli appunti di una breve e sintetica descrizione verbale che Jung le fece degli Arcani Maggiori e dei quattro semi dei Tarocchi: tali appunti manoscritti in tedesco sono conservati presso la Jung Institute Library di New York, e sono stati recentemente tradotti e pubblicati dalla studiosa americana Mary K. Greer. Nel dettaglio Jung insegnò ad alcuni allievi, fra i quali sembra che ci fosse anche una delle sue figlie, i significati simbolici essenziali dei ventidue Trionfi.

In questi appunti Jung spiegò le corrispondenze simboliche

del Bagatto (“Segno di forza, stabilità, sé”)
della Papessa (“Ella è in connessione con la luna. Saggezza occulta. Passiva, donna eterna”)
dell’Imperatrice (“L’azione femminile. Fecondità, Dea”)
dell’Imperatore (“Volontà, forza, realtà, dovere, luminosità”)
del Papa (“Volontà, religione, fato [forse intendendo ‘fede’], Sé, centro”)
degli Amanti (“Bellezza, bivio, via verso l’interno o verso l’esterno”)
del Carro (“Sta andando attivamente verso il suo destino. Ha un obiettivo, raggiungere la vittoria. Attività, estroversione, riempimento”)
della Giustizia (“Compensazione tra la natura e la forza di un uomo. Conflitto con la legge”)
dell’Eremita (“Saggezza simboleggiata dalla lampada. Protezione con il soprabito. Intelligenza, amore, introversione. Saggezza”)
della Ruota (“Fortuna/sfortuna”)
della Forza (“Libertà, forza”)
dell’Appeso (“Voltarsi indietro, impotente, sacrificio, esame, prova. Faccia contro il cielo [sic]”)
della Morte (“Morte e rigenerazione. L’Ego non dovrebbe prendere il posto, il Sé dovrebbe prendere il posto. Nuovo punto di vista, liberazione, fine”)
della Temperanza (“Movimento, coscienza, crescita naturale”)
del Diavolo (“Destino, ombra, emozione”)
della Torre (“Ospedale, carcere, colpito da fulmine. Sacrificio”)
della Stella (“Il Sé risplende, stelle del destino, notte, sogni. Speranza. Il Sé è nato nelle stelle. Unione con l’eterno”)
della Luna (“È notte. La porta dell’inconscio è aperta. La luce è indiretta”)
del Sole (“Il Sé sta controllando la situazione. Coscienza. Illuminazione”)
del Giudizio (“Nascita del Sé. Ispirazione. Liberazione”)
del Mondo (“Completamento, conclusione. Nel mondo, ma non dal mondo”)
e del Matto (“Un uomo che non si preoccupa della sua strada. Inizio e fine. Il matto non ha una casa in questo mondo; la casa è in cielo. Sognatore, parte mistica”).
 
A ulteriore conferma che l’interesse di Jung per l’argomento non fu né tardivo né superficiale, c’è la trascrizione di un seminario sull’immaginazione attiva che il filosofo tenne il 1° marzo 1933, nel quale i simboli dei Tarocchi furono intesi come archetipi di trasformazione, al pari di quelli già studiati in psicanalisi, mitologia e alchimia.

«[Le immagini dei Tarocchi] sono una sorta di idee archetipiche, di natura differenziata, che si mischiano con i componenti ordinari del flusso dell’inconscio, al quale si può quindi applicare un metodo intuitivo che ha lo scopo di comprendere il flusso della vita, e forse anche di predire eventi futuri, in ogni caso eventi che si prestano alla lettura delle condizioni del momento presente. […] L’uomo ha sempre sentito il bisogno di trovare un accesso attraverso l’inconscio al significato di una condizione presente, perché c’è una sorta di corrispondenza o una somiglianza fra la condizione prevalente e la condizione dell’inconscio collettivo» (C. Douglas, Visions: Notes of the Seminar given in 1930-1934 by C. G. Jung, 1997).




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