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DROGA DI MORTE O DROGA DI VITA?

a cura di Lidia Fassio
 

A cura di La cronaca di questi giorni è stata segnata dalla fotografia della celebre modella Kate Moss intenta a “sniffare” polvere bianca e, subito dopo, dalla morte di una ballerina brasiliana Ana Lucia Bezerra Bandeira per overdose di cocaina dopo un droga party in casa dell’attore Paolo Calissano.

La cosa che però più ha impressionato l’opinione pubblica è stata l’ipocrisia che ha accompagnato queste due storie, il fatto che tutti, dai giornali scandalistici alla cronaca più seria, sembravano aver “scoperto l’acqua calda” quando ormai da tantissimo tempo è noto che in certi ambienti la cocaina gira alla grande e viene assunta a cuor leggero, quasi che si trattasse di una vitamina che consente un maggior benessere.
Seguendo i vari telegiornali, i network e i talk show televisivi, è emerso un ritratto molto particolare di questo mondo ma l’assurdo è che se non fosse stato per la fama della Moss e se non ci fosse stato il dramma della morte della ballerina, la situazione avrebbe potuto continuare all’infinito come se si trattasse di un fatto normalissimo. Il motto dunque sembra essere “l’importante è che non accada nulla e che non si sappia troppo in giro …. poi, tutto si può fare”

Le domande che gli italiani sembrano porsi sono quattro:

la prima riguarda appunto l’ipocrisia che regna attorno alla cocaina che viene vista come un “peccato veniale” quando riguarda personaggi famosi e pubblici. In alcuni casi la “cocaina” sembra essersi trasformata in una “droga buona” al contrario della sorella “eroina” che è considerata universalmente e giustamente una “droga molto distruttiva”. Perché questa distinzione e da quando si è instillata nella mente delle persone in modo così balzano?

La seconda riguarda il perché non si cerca di combattere con tutte le forze – ed intendo anche quelle delle persone comuni – questo fenomeno che in realtà è sempre più preoccupante e che non solo non è in diminuzione, ma è in continuo aumento anche fra persone giovanissime: le statistiche sulle acque del Po sono veramente inquietanti: 4 kg di cocaina al giorno vengono consumati in città come Torino e Milano (il calcolo è stato fatto analizzando le acque dentro le quali vanno a finire i contenuti fognari). Le droghe sono tutte terribili perché portano con estrema facilità alla dipendenza e, pertanto, anche la cocaina produce grandissimi problemi di assuefazione poiché, tra l’altro, ha un effetto molto breve per cui vi è anche un più frequente bisogno di assunzione per poter riprovare quel senso di tonicità e lucidità che – in alcuni ambienti - sembra essere diventato indispensabile per sopportare lo stress da competizione.

La terza riguarda invece le motivazioni profonde di tanto consumo di droga: se andiamo a sommare i consumi di cocaina, di eroina, hashish, marijuana e delle più svariate droghe sintetiche che vengono vendute in discoteca e nei luoghi di ritrovo dei ragazzi, ci accorgiamo che pressoché il 30% della popolazione fa uso di stupefacenti – e la percentuale sale di molto se escludiamo i bambini e gli anziani – e a questo punto viene veramente da chiedersi dove stiamo andando e a quale velocità stiamo andando verso il baratro.

La quarta domanda, infine, riguarda l’incredibile aumento delle vendite dei super alcolici tra i giovanissimi che, tra l’altro, sono anche i più accreditati responsabili delle tristemente famose “stragi del sabato sera” che fanno numerose vittime e che generano schiere di paraplegici.

Cercherò di fare delle ipotesi sulla terza domanda che, a tutti gli effetti, mi sembra quella che necessita di risposte urgenti ed appropriate.
E’ indubbio che il fenomeno è troppo elevato per essere liquidato pensando che si tratti dei soliti quattro “balordi”; oggi sappiamo che sono moltissime le persone che fanno uso di “sostanze”, tra queste, giovani, meno giovani, disperati, persone considerate “arrivate” quali professionisti, medici, imprenditori…. quindi, un fenomeno che in pochi anni è diventato “di massa”; spesso tra di essi ci sono anche i nostri figli per cui bisogna necessariamente cercare di capire cosa cercano tutte queste persone e, cosa c’è di sbagliato nel nostro stile di vita tanto da portare ad una sorta di autodistruzione collettiva.

Tenterò alcune ipotesi.
La nostra è una società tecnicistica, razionalistica e meccanicistica: noi siamo il frutto della seconda rivoluzione industriale con tutte le sue “illusioni di felicità” che passano attraverso il mondo materiale e il consumismo, visto come “continuo bisogno di cose nuove” che, teoricamente dovrebbero placare ogni desiderio dell’uomo.
Nella nostra follia abbiamo pensato che “l’avere” potesse sostituire completamente “l’essere” e, quello che accade oggi ci dà clamorosamente torto.
Le motivazioni che portano alle dipendenze sembrano essere tre:

la prima consiste nei ritmi e nei valori della vita occidentale: tutto è frenetico spersonalizzante al punto da sconvolgere e logorare silenziosamente l’uomo alienandolo sempre più da sé stesso e dal reale significato della vita.
L’uomo viene travolto dalle cose ma, la perdita degli ideali e dei valori lo porta lontano dalla sua identità e questo lo conduce verso bisogni che non sono suoi e che solo apparentemente sembrano compensare il senso di vuoto e la solitudine interiore. I giovani in particolare, si incontrano per andare a ballare, per divertirsi, ma quasi mai per “condividere sentimenti e stati d’animo” perché poche sono ormai le occasioni per stare veramente insieme; la discoteca, e i locali hanno musica sempre a volumi molto alti e, oltre a “dis-unire”, richiamano all’uso di “sostanze da sballo” che allontanino la malinconia e l’insoddisfazione; tra l’altro si fa sempre più strada il concetto che il sabato e la domenica ci si debba “divertire per forza” e questo fa pensare ad un impellente bisogno di “sballare per perdere il contatto con la realtà” che viene sempre più percepita come noiosa, spersonalizzante e svilente.

La seconda teoria riguarda l’allontanamento dai rituali religiosi collettivi: un tempo c’erano i culti di Bacco, di Diana, di Dioniso, i Saturnali, ecc. Gli antichi sembravano aver compreso molto bene che gli uomini avevano bisogno di tanto in tanto di incontrare “il mondo transpersonale e di … lasciarsi andare” ad esperienze diverse, a volte anche … “limite” e, proprio per questo, organizzavano rituali e feste a cui tutti potevano accedere; in pratica si poteva perdere il controllo in modo “organizzato e contenuto socialmente”.
L’uomo ha bisogno di questi “cambiamenti di stati di coscienza” almeno di tanto in tanto, soprattutto quando la sua vita diventa troppo monotona e ripetitiva e quando la sua “energia fisica e psichica” non trova canali entro i quali convogliarsi in maniera creativa e produttiva.

L’ultima riguarda proprio la mancanza di spiritualità. La nostra è una società dalla quale la spiritualità è stata bandita, anzi, chi ammette di avere un rapporto con il divino rischia di essere visto come un “animale in via di estinzione” per giunta, un po’ retrò... Proprio questa potrebbe essere la chiave di svolta.
Ogni uomo ha bisogno del rapporto con il trascendente: non si può vivere sempre e solo nell’ordinario e, forse, per troppo tempo ci siamo illusi di poter dare ai giovani cose da “consumare”, fino al punto in cui queste “hanno consumato tutto”.

Il senso spirituale della vita aiuta a coltivare i sogni e gli ideali, a “sentirsi uniti” e a trovare significato. I rituali che facevano parte del mondo spirituale consentivano di poter andare al di là dell’ Io-separato.
I giovani hanno bisogno di questo tipo di esperienza: alcuni riescono a trovarla nell’arte, negli ideali politici e sociali, altri nella relazione affettiva attraverso il rapporto d’amore e la sessualità che può portarli a vivere una dimensione di “allontanamento dall’ordinario”, percepibile nell’attimo in cui effettivamente si annulla lo stato di separazione tra l’Io e il Tu e si sperimenta anche l’unione con la sorgente creativa da cui proveniamo e di cui ognuno di noi è parte.

Tuttavia, anche queste esperienze non sono facili da ottenere o sono ridotte al minimo: l’arte è un fatto a cui hanno accesso pochissime persone, gli ideali sono ridotti a zero, la relazione è difficilissima ed infine, anche la sessualità sembra aver perduto proprio il suo scopo più nobile: è diventata anch’essa un atto meccanico “…da consumarsi in assenza di sentimenti”. Per questo sta diventando imperativo andare a riscoprire strade che al nostro mondo tecnologico e informatico sembrano “arcaiche e primitive” ma che, forse, potrebbero rappresentare la soluzione. Se non ritroviamo un contatto vero con noi stessi rischiamo di vivere “virtualmente” senza gratificazioni autentiche, desiderosi solo di annientare il senso di paura che ci attanaglia riempiendo con qualunque cosa il vuoto interiore che si manifesta sotto forma di ansia, depressione e mancanza di motivazioni.

Il pianeta Nettuno che sembrava essere stato bandito totalmente dalla nostra società sta ritornando in maniera trionfale ma, purtroppo, siccome non riusciamo ad accettare la sua parte luminosa, sta imperando al suo livello più basso dispiegando le sue ombre più dense.
Più che mai, soprattutto da quando è entrato nel segno dell’Acquario, sta preparando il terreno per quando giungerà al massimo della sua forza nel segno in cui ha il suo domicilio: i Pesci.
Giorno dopo giorno macinando grado su grado sembra ricordarci che non lo si può ignorare se non a prezzo di forme gravissime di “dipendenza”: riconoscere di essere uniti a qualcosa di più grande di noi, qualcosa che ci consente di giungere al di là della realtà limitata ed ordinaria può aiutare noi e i nostri giovani ad uscire dal gioco terribile della dipendenza che nasce dal senso di “vuoto primordiale” che sperimenta chi crede che la vita sia solo “materiale”; in questo caso si va verso un orrido sempre più profondo in cui si dibatte chi cerca di riempirlo in modo sbagliato attraverso inutili e dannosi palliativi.

Il grande Nettuno, ci ricorda che l’uomo è stato parte di un’unità da cui si è diviso ed è proprio da lì che origina il senso di nostalgia che lo porta a ricercare completezza per tutta la vita; Nettuno sembra dirci che la materia non esisterebbe senza uno spirito che le abbia dato vita e che non c’è anima senza che qualcuno “animi” ed è su questo che sta premendo più che mai; oggi, ritornare ad onorarlo come facevano gli antichi non significa regredire ma concedersi finalmente di approdare ad un senso di verità che possa placare il senso di vuoto e che, nel contempo, plachi le sue ire permettendoci di conoscere anche il suo volto “luminoso”.




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