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LA REGINA DEGLI SCACCHI HA MERCURIO IN SCORPIONE

a cura di Elena Cartotto
 

“Quelle come te non hanno vita facile. Da una parte il talento, dall’altra il prezzo da pagare. Avrai il tuo momento di gloria, ma quanto durerà? Hai così tanta rabbia dentro, devi fare attenzione”. Queste le parole lapidarie del signor Schaibel appassionato scacchista e anziano custode dell’orfanotrofio dove Beth Harmon, la protagonista de “La regina degli scacchi”, passerà infanzia e preadolescenza.

La nuova miniserie lanciata da Netflix il 23 ottobre 2020 sta avendo un grande riscontro di pubblico, forse perché oltre a essere ben girata e interpretata da bravi attori consente allo spettatore di gustare diversi livelli di lettura. Uno ruota proprio intorno alla tematica del talento, concetto che, in un’epoca ammodernata come la nostra figlia di una crescente robotizzazione, stremata da abuso di immagini e spasmodica ricerca di consenso, sembra perdere valore. Senza rendercene conto abbiamo inculcato alle nuove generazioni l’idea che del talento si possa fare a meno: conta essere guardati, ottenere un generico successo. Poco importa se per averlo occorre piegarsi a impietose logiche politiche o di mercato: si può arrivare ovunque, essere chiunque, basta ottenere un like in più sui social, partecipare ad un reality, vendersi al miglior offerente. La cultura è un optional, la passione autentica può perfino essere un deterrente: nel nuovo millennio della globalizzazione compulsiva dove l’uguaglianza più che attraverso uguali diritti, umani e civili, si esprime mediante una perversa omologazione dei cervelli, il talento è pericoloso, finanche eversivo. L’intelligenza autentica come quella che Beth dimostra ampiamente di possedere, non cerca, invece, di piacere e conformarsi, ma di nutrirsi con letture, esperienze, nell’ottica di migliorare e accrescersi. Il successo è una conseguenza, non un presupposto come accade oggi dove vediamo costantemente emerite nullità diventare qualcuno prima ancora di aver prodotto qualcosa.

“La regina degli scacchi” disponibile in streaming su Neflix e diretta da Scott Frank, nasce dal romanzo del 1983 di Walter Tevis “The Queen’s Gambit”, ossia gambetto di donna. Questa espressione indica una particolare apertura degli scacchi: viene offerto un pedone sul lato di donna, quello ovest della scacchiera, all’avversario al fine di ottenere un vantaggio in partita nonostante la possibile perdita del pezzo.

Beth Harmon nasce alla fine degli anni’40 del secolo scorso e nelle sette puntate della serie la vediamo crescere e trasformarsi da essere fragile senza punti di riferimento, a campionessa mondiale di una disciplina, gli scacchi, da sempre isola felice per soli uomini. 

Beth è orfana, figlia di un padre che non ha potuto conoscere e di una madre intelligente, ma fuori dagli schemi che un giorno muore, per scelta o destino, e la lascia sola al mondo. La conosciamo così, sul ciglio di una strada mentre attende, dopo un devastante incidente stradale, di essere portata dalle autorità verso la sua nuova vita in orfanotrofio. È femmina, rossa di capelli, terribilmente intelligente e con l’ossessione degli scacchi: in sostanza è l’incarnazione di un anatema per il mondo patriarcale pre rivoluzione sessuale. Timida, chiusa, vittima di un trauma di abbandono che non riesce a superare e forse affetta da una leggera sindrome di Asperger, Beth cerca di controllare ogni cosa per non ritornare ad essere un burattino nelle mani di un destino potente e apparentemente invincibile nella sua logica di improvvisazione. Si tiene lontana dalle relazioni umane e lavora sulla sua mente arrivando a proiettare nel suo cervello le infinite possibilità di una vita tradotta in partita, dove il gioco degli scacchi diventa l’unico modo per esistere nel presente e in prospettiva: “C’è tutto un mondo in quelle 64 case: posso dominarlo, posso controllarlo e se mi faccio male è solo colpa mia”. Non gesti di affetto, ma mosse studiate a tavolino, non ricerca di un posto al sole in società attraverso figli e matrimonio, come si conviene a una donna dell’epoca, ma vittoria sull’avversario. E questo è un secondo livello di lettura perché come le dirà qualcuno: “Devi essere una donna forte per poter stare da sola in un mondo in cui le persone si accontentano di tutto per poter dire di avere qualcosa”.

Beth Harmon è magistralmente interpretata dall’attrice, Ariete, Anya Taylor-Joy che riesce a giocare con le molte sfumature del suo personaggio: è a tratti intensa, raggelante, elegante, malinconica, lucida, mai banale. Costretta in orfanotrofio a prendere vitamine e tranquillanti per controllare l’umore, Beth crescerà con questa nebbia nel cervello a cui finirà per attribuire i suoi colpi di genio; da un lato impara a giocare a scacchi in una cantina col custode della scuola, dall’altro, complice la notte e gli psicofarmaci, sogna cavalli, torri e pedoni.

Nel secondo episodio scopriamo che Beth Harmon è nata a novembre. Molto probabilmente è uno Scorpione, più difficilmente un Sagittario: silenziosa, determinata, complessa, eccessiva, capace di governare i pezzi come fossero i soldati di un esercito in battaglia, vuole combattere e vincere, secondo la direttiva tipica di Marte uno dei governatori dello Scorpione. Ma più ancora del segno solare, qui sembra emergere in maniera evidente la posizione di Mercurio, certamente in Scorpione perché in questo segno, il pianeta dell’arguzia e dell’intelligenza è esaltato. Non a caso Lisa Morpurgo attribuiva proprio a Mercurio in Scorpione il genio degli scacchi. Chi ha questo Mercurio non può fare a meno di vedere l’esistenza come un’eterna partita da giocarsi sulle caselle bianche e nere perché la sua natura mentale lo porta a prevedere sempre le mosse dell’avversario con un’attitudine che può diventare spietata e perfino tortuosa quando Mercurio in Scorpione pensa di controbattere a mosse a cui nessuno sta pensando. Resta il fatto che un soggetto del genere è quasi impossibile da ingannare e, anzi, spesso si diverte a giocare al gatto col topo in attesa di distruggere il nemico quando meno se lo aspetta. Per una mente connotata da Mercurio in Scorpione, come ben descrive lo scrittore britannico Huxley: “La scacchiera è il mondo, i pezzi sono i fenomeni dell’universo, le regole del gioco sono le leggi della natura e l’altro giocatore è nascosto a noi”.

Il personaggio di Beth è fittizio, ma si dice abbia in sé caratteristiche sia dell’autore del romanzo che del grande campione Bobbie Fischer.

Dal suo papà letterario Walter Tevis, Pesci, anche lui soggiogato per un certo periodo da problemi con gli psicofarmaci e l’alcool, Beth pare aver ereditato l’opposizione Mercurio-Nettuno ben esplicativa di quello stordimento che spesso le dipendenze inducono, ma che su alcuni soggetti particolarmente dotati, può avere paradossalmente effetti creativi producendo visioni del mondo alternative e ricche di suggestioni.

Bobbie Fischer, altro Pesci, vinse invece, a soli 14 anni, il Campionato americano di scacchi per poi divenire campione del mondo nella famosa partita di scacchi chiamata l'incontro del secolo a Reykjavik nel 1972. Fu, come il personaggio di Beth, un introverso solitario ossessionato unicamente dagli scacchi. Anche a livello familiare la sua vita corre in parallelo con quella di Beth: la sua Luna in Toro in 10^, ossia in una posizione anti-tradizionale rispetto a quella consona per il luminare in casa 4^, è totalmente lesa da una croce a T con Marte e Plutone opposti fra loro. Un’altra infanzia, come quella di Beth, privata di fattori normali e tranquilli: è noto che non vi era chiarezza su chi fosse suo padre, che ebbe vari trasferimenti, che la madre fu seguita dall’FBI e ritenuta per un certo periodo una spia sovietica. Spinto probabilmente da un’ansia compensativa che lo spingeva al controllo, imparò a giocare a scacchi da solo all’età di sei anni leggendo le istruzioni contenute in una scacchiera. Fu considerato un bambino prodigio.

Ultima curiosità, Pesci è anche Scott Frank, ideatore e regista della serie, in una linea ideale che sembra voler ricondurre all’ultimo segno dello Zodiaco quel vivere fuori dalla norma e dalle consuetudini tipico dei geni che, però, pagano spesso pegno sviluppando comportamenti folli e autolesivi.




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