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MAMMA, PERCHÉ PROPRIO TU?

a cura di Lidia Fassio
 
Molti, … anzi troppi sono ormai i casi di madri che improvvisamente, in un raptus di follia, uccidono i loro bambini.
Sempre più ci si chiede cosa c’è dietro a quel gesto insano così innaturale ed inaccettabile anche perché, quando i casi cominciano ad essere tanti, significa che si è degradato qualcosa nell’inconscio “collettivo” e preme in maniera esasperata su quello “personale” con la finalità di trovare una “soluzione”.
C’è la sensazione che molte persone non riescano a reggere lo stress che la vita di oggi impone e così, ci svegliamo un mattino e scopriamo attoniti che la “normalissima” signora della porta accanto ha esploso irrazionalmente il suo disagio e il suo dolore, portato addosso per tanto tempo ma circoscritto alla famiglia che, o non è stata in grado di comprendere la pericolosità della situazione , oppure – come in molti dei casi di questo periodo - non ha avuto adeguate risposte proprio da chi sarebbe stato preposto ad aiutare e sostenere.

Certo, nella nostra opulenta e tecnologica società è inaccettabile pensare che una bimbetta possa morire di stenti nell’indifferenza più assoluta, o che un’altra finisca dentro la lavatrice perché nessuno mai ha intuito il pericolo che entrambe stavano correndo con le loro madri che, sicuramente erano già troppo malate per affrontare il loro vivere quotidiano.

Cosa sta succedendo al mitico “paese di mamma”? Cos’è che può spingere una donna attenta ed amorevole a fare a pezzi il suo bambino con il coltello da cucina? E perché nessuno subdora nulla? Da dove arriva tanta distrazione o indifferenza?
La percezione comune è che sussistano ancora troppe diffidenze nel chiedere aiuto ai servizi sociali e psicologici, oppure che l’assistenza spesso non sia giusta ed appropriata in grado cioè di “farsi carico” del disagio di una famiglia in modo serio e competente e responsabile.

Resta un’idea di distanza e di asetticità a cui si aggiungono paura e sconforto; le madri che stanno male temono di perdere figli e rispettabilità perché è ancora troppo forte il pregiudizio nei confronti dell’assistenza pubblica e della psicologia che, tuttora, viene percepita come l’ultima spiaggia per “malati di mente” anziché come un’oasi a cui affidarsi con serenità e fiducia.

Così, mentre nel nostro paese si moltiplicano gli interventi mirati, i servizi terapeutici per tutte le problematiche, ci accorgiamo con stupore e rabbia che nessun familiare o estraneo si era mai rivolto ai servizi quando, in pressoché tutti i casi, la donna in questione era depressa da tempo e molte persone erano a conoscenza del suo stato, oppure – laddove si erano rivolti - non avevano avuto l’attenzione necessaria.
Certo, la depressione è una malattia molto grave e quello che sconcerta è che con tutta l’informazione a disposizione, sia ancora sottovalutata quando non addirittura considerata alla stregua di un difetto di volontà e di reattività del malato.

C’è però un’altra domanda che è importante farsi: perché le madri? Perché così tante? E perché così attanagliate dalla solitudine anche quando hanno mariti, parenti e colleghi con cui regolarmente condividono la loro giornata?
Le risposte probabilmente sono tante e molto sfaccettate, tuttavia forse quella più immediata potrebbe essere ricercata nel fallimento delle relazioni affettive e nella mancanza di una reale condivisione che crei quella sensazione di intimità tale da consentire anche l’espressione di disagi profondi; vi è poi un’altra tesi, drammatica ma sicuramente veritiera, che vede la donna di oggi sempre più lacerata tra il suo essere madre e il suo bisogno di autorealizzazione, schiacciata da ruoli poliedrici che poi non riesce a portare avanti se non a prezzo di grandissimo stress che striscia sottilmente dietro ad un ipercontrollo che può saltare da un momento all’altro.

Ciò che colpisce la nostra psiche sono le descrizioni che vengono fatte di queste donne: “perfette, molto attente, ordinate..” oggi tutto deve essere perfetto, rapido ed efficiente; si fanno i figli e poi non ci sono per la madre le condizioni di supporto necessarie e così, mentre il parto viene affrontato con tutte le attenzioni, nessuno pensa ai fragili equilibri psicologici che si possono insinuare nella fase successiva che comporta l’intenso e totalizzante rapporto con il figlio, così semplice ed istintivo per alcune e così complesso ed angosciante per altre.

Eppure la lunga fase evolutiva di un bambino coincide sempre con un senso di vuoto e di annullamento della madre che finisce per sentirsi sopraffatta dall’impegno e dalla responsabilità e al tempo stesso, in colpa per non essere all’altezza di far fronte ad un compito difficilissimo ma universalmente considerato naturale e semplice da assolvere.

I casi delle madri assassine urtano ferocemente le nostre coscienze e proprio per questo non devono cadere nell’oblio e neppure nell’accusa, tanto comoda per continuare a non vedere dove il collettivo e il sociale sono carenti e non supportano la speranza.
E’ tempo di chiudere anche con la legge del “capro espiatorio” o del “mostro”; ciò che accade al singolo è strettamente in relazione con il mondo che lo circonda e nessuno può sentirsi escluso da questo.

La violenza delle madri sui loro bambini ha a che fare con un forte e sempre crescente disagio che le donne provano tentando da un lato di soddisfare un ruolo tanto antico quando indispensabile e, dall’altro adattandosi a stereotipi che la portano lontano dalla sua vera essenza, da quel “femminile” in grado di nutrire e far crescere.
Oggi si sono fatti sicuramente dei grandi passi avanti; le donne trovano spazio in ruoli importanti, di potere, tuttavia, questi sono e restano ruoli maschili a cui la donna si adatta amputando la sua natura “eros”; inoltre, in molti casi le donne sono ancora vittime del bisogno di adeguarsi a stereotipi sociali scelti da altri che le imprigionano e le snaturano senza che vi sia una consapevolezza reale del prezzo che pagano.

La depressione è una malattia terribile, ma sul piano simbolico ha a che fare con l’assenza di verità interiore, con il non poter essere sé stessi, e con una potente rabbia repressa; questo stato di cose pian piano scollega dalle motivazioni, dall’autenticità , dalla vitalità fino a compromettere il senso stesso della vita.

Astrologicamente sembrerebbe trattarsi della vendetta del grande archetipo lunare, vituperato per secoli sia nella natura che nelle donne; possiamo però anche ipotizzare che XENA, il pianeta da poco avvistato nel nostro cielo – simbolo della Grande Madre nutrente e accogliente – stia cominciando a manifestare il suo dissenso esasperando il disagio proprio nelle donne che ancora si sentono oppresse, prive di un proprio ruolo o scopo e, per questo piene di rabbia e distruttività poiché scarsamente in contatto con la profonda ed istintiva sorgente della loro femminilità: forse oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ritrovare contatto con la GRANDE DEA l’unica che può trasformare la distruttività in creatività. Dice Whitmont: “nella sua forma estrema la Dea non riconosciuta potrebbe anche distruggere definitivamente noi e i nostri figli in un olocausto di portata mondiale”.



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