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IN FUGA DALLA COLPA : ENNESIMA STRAGE ALLA MECCA

a cura di Sandra Zagatti
 

E’ accaduto ancora, con la stessa intensità e lo stesso, tragico, esito. Anche quest’anno, il simbolico rito della "lapidazione di Satana" alla Mecca, ultima tappa del tradizionale pellegrinaggio nei luoghi santi dell’Islam, si è concluso con una calca gigantesca e caotica, in cui sono morte 345 persone, asfissiate o calpestate. Più o meno altrettanti i feriti, in un bilancio che puntualmente lascia sconvolti e ripropone delicati interrogativi.

Ma partiamo dai fatti. Secondo la severa legge coranica, un musulmano deve compiere almeno una volta nella vita questo pellegrinaggio, se le condizioni fisiche glielo permettono. Pellegrinaggio che ogni anno si ripete, in occasione della "festa del sacrificio", che si conclude con un rito di grande impatto emozionale, quando i fedeli si accaniscono lanciando sette pietre contro tre steli che rappresentano il Male. Dopo questa "lapidazione di Satana" i pellegrini immolano un animale – un agnello, una pecora o un montone – la cui carne viene poi distribuita ai poveri; eseguito il sacrificio, si tagliano i capelli in parte o completamente, in segno di umiltà. Questa cerimonia si riconduce al mito di Abramo, che in quegli stessi luoghi dimostrò la propria assoluta obbedienza a Dio accettando di sacrificargli il figlio, che poi venne da Dio graziato e sostituito da un montone.

Le imponenti misure di sicurezza quest’anno erano particolarmente allertate per rischi sanitari e terroristici, ma è ben poco ciò che si può fare di fronte ad una valanga di pellegrini (stimati in quasi due milioni) che si lanciano nella medesima direzione, esaltati dal valore religioso del loro atto ed ancor più dal contaminante influsso che ogni folla in eccitazione produce… Basta poco, e la tragedia è inarrestabile.

Questa volta sembra che a provocare la ressa sia stata la caduta di bagagli da alcuni autobus in movimento sul ponte dei Jamarat (gli steli di pietra che rappresentano Satana), che avrebbero fatto inciampare le persone in corsa verso gli steli. Un banale incidente, che però ha avuto esiti devastanti. E in verità, anche dal punto di vista astrologico c’è ben poco di banale nella configurazione che il 12 gennaio ha rispecchiato questa tragedia, anche soltanto considerando la quadratura precisa di Marte a Nettuno, già opposto a Saturno. Perché, se è vero che l’irruenza e la furia possono essere incarnate da Marte, che incalza la "trance" nettuniana a distruggere il male a costo dell’autodistruzione, è altrettanto vero che il rigore di una tale tradizione, l’obbedienza alla legge ma anche il "soffocamento" e la mancanza di vie di fuga, parla il linguaggio di Saturno: forse quello peggiore, come la fuga è l’aspetto peggiore di Nettuno e la violenza quello di Marte, ma solo se inseriti in un contesto estremo come questo.

Non è stata l’unica volta. Ogni anno il bilancio di questa ricorrenza viene riportato dai giornali come un bollettino di guerra, eppure non ci abituiamo mai – e come potremmo? Ripercorrendo a ritroso gli ultimi anni, ed anche solo citando gli eventi più luttuosi, troviamo infatti drammatiche e tristi analogie che si ripetono…

Il 31 agosto 2005, mentre Marte inaugura la sua quadratura a Nettuno, 640 pellegrini sciiti perdono la vita finendo nel Tigri dopo il crollo di un ponte che non regge il peso della calca. Il 9 aprile 1998, con Marte congiunto a Saturno in Ariete e quadrato a Nettuno, 180 pellegrini muoiono durante l’annuale pellegrinaggio. Sempre in un medesimo pellegrinaggio, il 15 aprile 1997, 340 persone muoiono a causa di un incendio: il Sole è in Ariete, domicilio di Marte, e quadra Nettuno ancora in Capricorno, segno di Saturno, che è a sua volta in Ariete. Il 23 maggio 1994 sono 270 i pellegrini che rimangono uccisi, con Marte in Ariete che quadra Nettuno in Capricorno e con Saturno in Pesci, domicilio di Nettuno.

Ma la tragedia più grande che si ricordi in questo contesto avviene il 9 luglio 1990, quando ben 1426 pellegrini muoiono schiacciati, calpestati e soffocati in un tunnel che porta alla Mecca. Allora in Capricorno c’era la congiunzione di Urano, Nettuno e Saturno, opposti al Sole e quadrati a Marte.

Nessuno, ovviamente, può prendersi il diritto di criticare una tradizione, ancor più se religiosa; tanto meno voglio farlo io, perché ritengo che le persone, quando si riuniscono per pregare, vadano sempre rispettate e tutelate, a prescindere dalla confessione che professano e dal nome con cui chiamano Dio. Ma tali e tante tragedie fanno pensare.

I pianeti coinvolti accennano potentemente ad una dinamica di dedizione incondizionata ma inconsapevole nonché, soprattutto, sostenuta da forti componenti proiettive. Saturno rappresenta la moralità, che tuttavia, quando è considerata esterna e vista quindi come "norma di legge", convenzione acquisita, da accettare senza discutere e tanto meno comprendere, diviene l’esatto contrario dell’etica personale, laddove il senso del dovere sostituisce ed annulla il senso della responsabilità, ed è legato a filo doppio (e stretto) a quello di colpa, nel caso di trasgressione. Una tale autorità, esterna e superiore, può incarnarsi nel padre, nella famiglia, nella società, nei maestri o nei riferimenti più rigidi della cultura in cui si cresce, ma trova la sua massima espressione nella figura di un Dio Padre ed anche Padrone, perchè dispensatore di vita e proprio per questo suo dispositore unico, sia sulla terra che oltre...

Sono dinamiche più psicologiche che morali o spirituali, quelle che alimentano ritualità come quella che stiamo trattando; le cui le cause, complesse ed antiche, rientrano tristemente in un bisogno di approvazione, consenso ed accettazione: in una ricerca di amore ineluttabilmente frustrata quanto ossessivamente perseguita, ma che non ha nulla di veramente autonomo e consapevole, che non ammette deroghe o ribellioni perché la scelta comportamentale è demandata al volere dell’autorità (Marte-Saturno), allo stesso modo in cui l’individualità è sacrificata al potere collettivo (Marte-Nettuno).

I sacrifici religiosi dell’antichità nacquero con lo scopo di favorire, attraverso l’emendamento delle proprie colpe, il ricongiungimento a Dio. Non è chiaro il processo che ha in seguito trasformato questa simbologia mediante un atto di allontanamento: non da Dio, almeno non nelle intenzioni, ma da sé stessi, dalla propria coscienza etica e spirituale. L’inserimento culturale della dualità è infatti ben rappresentato dal Capro Espiatorio che si affianca a quello sacrificato all’interno dell’accampamento e che veniva legato ad un’Ara eretta all’esterno delle mura mentre su di esso venivano enumerate – e trasferite – le colpe del popolo, abbandonandolo poi nel deserto. Un tale allontanamento diventò dunque una rimozione del peccato che rendeva superfluo, comunque non più necessario, il pentimento ed il perdono. Analogamente, per non essere giudicato e punito, il pellegrino ancora oggi diventa giudice, o meglio esecutore di una legge non sua ma che ha accettato "ad occhi chiusi" (come quelli che Abramo bendò a suo figlio) pur di meritare l’appartenenza alla tribù e rimanere così all’interno delle sue mura: confinanti, limitanti, ma anche rassicuranti come un abbraccio mai ricevuto.

Prima di rappresentare la dimensione spirituale nella sua più elevata simbologia, Nettuno parla di oceano: la massa in movimento costante che può trasformarsi in una tempesta caotica ed incontenibile, pericolosa; e parla del contagio psichico ed emozionale in cui ogni confine individuale si perde, sia esso fisico o morale, oppure razionale.

Quando Nettuno si scontra con il pianeta dei confini, Saturno, l’accostamento produce risultati estremi e se il pericolo in atto viene sottovalutato o addirittura sfidato dalla fierezza – o dall’ira sublimata – di Marte, allora può accadere il peggio: come di fatto è accaduto in questi casi. Che tuttavia sono solo esempi di una contraddizione più intima ed insieme più diffusa, perchè sostanzialmente umana e non certo planetaria. Finché ci illuderemo di trasferire fuori dai nostri confini di responsabilità le nostre colpe reali o presunte, allontanandole in un desertico altrove che dissolve invece di assolvere, non saremo mai veramente purificati e tanto meno liberi, ma imprigionati da mura sempre più inglobanti e soffocanti in cui fuggire a noi stessi; né combatteremo mai il "male" che si annida in noi finché tenteremo di abbattere il Diavolo, additandolo in qualcosa di esterno verso cui lanciare pietre di rabbia e di dolore.




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