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CHERNOBYL VENT'ANNI DOPO

a cura di Sandra Zagatti
 
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La sera del 25 aprile 1986, i tecnici della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, stavano testando il sistema di sicurezza del reattore n. 4, verificando il funzionamento delle turbine in condizioni critiche; per farlo avevano esclusi i sistemi di spegnimento automatico e di raffreddamento di emergenza del nocciolo, rendendolo poi instabile. Un esperimento del genere, al limite tra incompetenza ed incoscienza, oggi non sarebbe più ammesso, ma allora fu effettuato con una leggerezza inaudita: quando il reattore centuplicò la sua potenza nominale, l’acqua di raffreddamento cominciò a bollire, aumentando la pressione interna senza che nessuno sapesse intervenire, e tanto meno potesse averne il tempo; all’1.23 del 26 aprile il reattore esplose, distruggendo il nocciolo, l’edificio di contenimento, la sala macchine ed incendiando i contenitori di grafite; una gigantesca colonna di fumo trasportò in aria tonnellate di frammenti radioattivi, equivalenti a decine di Hiroshima, ma per ore nessuno si rese conto di cosa fosse accaduto e tanto meno le autorità diramarono l’allarme o attivarono procedure di emergenza a protezione della popolazione. Occorsero 10 giorni e 5000 tonnellate di sabbia, boro, dolomite e argilla sparse dagli elicotteri prima che l’incendio si spegnesse; e molti piloti morirono. Intanto, il 15% dei detriti era ricaduto sulla centrale; il 50% su un’area circostante di circa 3000 kmq (la futura “zona rossa”); il resto aveva seguito il vento fin sopra l’Europa, soprattutto quella settentrionale, e fu la Svezia, circa tre giorni dopo l’esplosione, a rilevare la radioattività e ad informare il mondo.

La stima dei danni di questo disastro è in corso tutt’oggi, tra dati contraddittori. Nell’immediato ci furono 31 morti, più centinaia di ricoverati in condizioni più o meno gravi. Cinque milioni di persone furono esposte al fallout radioattivo degli isotopi di iodio e cesio. Ma a queste già drammatiche cifre vanno aggiunte le migliaia di individui e soprattutto di bambini che, dopo anni, sono stati colpiti da tumori alla tiroide, per non parlare dei traumi psicologici di tutta la popolazione coinvolta, comprese i 150.000 abitanti costretti ad abbandonare le proprie case.

Il tema dell’esplosione presenta caratteristiche emblematiche. Innanzitutto l’opposizione tra Sole e Plutone, retrogrado e in domicilio: precisa al grado proprio il 26 aprile. Nello stesso giorno anche la Luna transitava in Scorpione, raggiungendo l’opposizione a Venere in Toro (posizione associata alla natura ma anche, fisicamente parlando, alla tiroide…). Da un certo punto di vista, la connotazione scorpionica del tema parla anche dei tentativi di nascondere la notizia, o comunque di ridimensionarne poi la gravità, da parte del governo sovietico; forse per non pagarne il prezzo o per proteggere la credibilità nazionale (Sole in Toro e IV casa). Certo le posizioni celesti erano valide per tutto il pianeta, il che comunque conferma l’impatto che quell’evento ebbe non soltanto a livello locale. Ma esattamente in quella zona e in quel momento preciso, proprio a Chernobyl all’1.23 del 26 aprile 1986, Urano stava sorgendo all’orizzonte: un’alba esplosiva che diventò notte mentre Plutone culminava.

Una configurazione indubbiamente inquietante, quella che il cielo offriva in quel periodo: non solo per la retrogradazione di tutti i pianeti lenti ma anche per il loro allineamento a 60° di distanza, aperto proprio da Plutone e a cui si accodò Marte, attendendo che i Luminari si posizionassero in gradi precisi per manifestarsi. Col senno del poi, la congiunzione Marte-Nettuno in Capricorno, trigona al Sole ma quadrata a Mercurio, ci ricorda soprattutto l’esaltazione economica di quei tempi, l’utopia di grandezza ed autosufficienza tanto irrazionale ed incontenibile quanto, allora, rassicurante. Lo stesso Giove in Pesci dalla seconda casa accenna alle aspettative di denaro e prestigio internazionale della politica nucleare sovietica, impreparata ma decisa a sfidare il potere occidentale sopravvalutando il proprio.

Giove era quadrato a Saturno, allora. I cicli dei due giganti del cielo sono ventennali, e infatti la loro quadratura si è riproposta in questi ultimi mesi. Inoltre, dopo vent’anni Plutone ha raggiunto i gradi di quell’Urano sull’orizzonte di Chernobyl, che a sua volta ha raggiunto i gradi di Giove. Ci sono appuntamenti in cielo come in terra; e non è un caso che proprio in prossimità dell’anniversario del più disastroso incidente nucleare della storia, si ricominci a parlare di quella forma di energia come alternativa ad un petrolio sempre più raro e prezioso. Certo è ben più spavaldo l’Urano attuale, con i trigoni di Marte e Giove, con l’appoggio di Nettuno in Acquario e delle speranze collettive riposte nella scienza per sanare i problemi del mondo! Speranze che tuttavia corrono ancora – e sempre di più – il rischio di essere illusioni, mentre il mondo occidentale non ha ridotto quello di venire ricattato, non solo o non tanto dai paesi arabi, quanto dal suo stesso irrefrenabile consumismo, dalla sua arroganza tecnologica, dalla sua bulimia economica…

L’Italia ha rinunciato al progetto nucleare ma comincia a non potersi più permettere il lusso ideologico di dipendere dall’importazione di energia; per altro, assediata dalle tante e vicinissime centrali europee, non sembra affatto al riparo da possibili ulteriori incidenti. Certo oggi le conoscenze tecniche e le normative di sicurezza sono imparagonabilmente maggiori rispetto a vent’anni fa; ma il nucleare fa ancora paura, e giustamente, come un demonio vestito da angelo che promette energia pacifica ma è un’ipoteca sul futuro ecologico e politico dei nostri discendenti. Tra l’altro, non sono poche le centrali obsolete che continuano a funzionare nei territori dell’ex Unione Sovietica e nella stessa Ucraina, quando esistono risorse energetiche davvero naturali e pulite (acqua, sole, vento), ancora in gran parte da sfruttare. Ma sono investimenti complessi, che non regalano un potere economico e soprattutto politico immediatamente spendibile, inoltre potrebbero coprire solo parzialmente il fabbisogno energetico crescente dei paesi industrializzati, e non c’è tempo…

Strano perché, di tempo, il nucleare ne ha in abbondanza. Sembra che siano sufficienti 600 anni perché gli elementi più pericolosi si stemperino nell’aria, nel terreno e nell’acqua, abbastanza da rendere ripopolabile la zona rossa. Ma la radiazione di fondo rimarrà per 48.000 anni: come un’impercettibile presenza, dalla pesante memoria.




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