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I TRAPIANTI

a cura di Lidia Fasisio
 

Le possibilità che offrono le branche più moderne e sofisticate della medicina sembrano appoggiare, ed anzi, sostenere l’illusorio desiderio dell’eterna giovinezza che oggi è vivo più che mai.

Indubbiamente, fino a cinquant’anni fa sembrava impossibile poter sostituire un organo, poi via via, il sogno e la fantasia sono diventati realtà.

Se è vero che i “trapianti” oggi si fanno quotidianamente, è altresì vero che la loro storia parte dall’inizio del secolo e precisamente da che un chirurgo francese nel 1915 riuscì a mettere a punto una tecnica per suturare i vasi e le arterie in modo da poterli collegare ad un organismo estraneo. Alexis Carrel, fu anche insignito del premio Nobel per la sua tecnica che,anche se lui ne era inconsapevole, aprì la porta ai “trapianti odierni”.

 

Ci sono voluti più di 40 anni per arrivare ad uno studio che portasse un contributo vero all’annoso problema del rigetto del sistema immunitario con cui il ricercatore si confrontò dopo aver trapiantato la cute a pazienti che erano state devastate da un incendio durante i bombardamenti di Londra; in ogni caso fu poi Peter Medawar a porre le basi della moderna immunologia, fondamentali per operare qualunque trapianto.

 

Il primo trapianto fu quello del polmone ed avvenne nel 1963 : è interessante come la tecnica moderna dei trapianti esordì proprio quando URANO entrò definitivamente nel segno della Vergine: questo ingresso segnò da un lato la capacità di trovare delle tecniche altamente sofisticate nel sostituire organi; dall’altro trovò anche modalità nuove che presupponevano la conoscenza del sistema immunitario in modo da poter aggirare le sue intolleranze ad organi non compatibili geneticamente; infine, la contemporanea posizione di Plutone, anch’esso in Vergine, creò una reale possibilità di superare la morte.. attraverso la sostituzione di un organo malato con uno sano con un inequivocabile sincronismo “vita – morte” .

 

La riflessione che voglio sottoporre oggi in questa piccola rubrica di psicosomatica riguarda per lo più l’etica e il senso spirituale della vita, due fattori strettamente collegati. In effetti, se la vita e la malattia vengono viste esclusivamente dal punto di vista “meccanico”, il trapianto non solo ha senso, ma diventa assolutamente indispensabile oltre che egoisticamente risolutorio; (inutile dire che il trapianto è un fatto Plutoniano in quanto reca in sé qualcosa di paradossale: infatti, è proprio dalla morte di una persona che nasce la possibilità di rinnovare e risanare la vita di un’altra: come non vedere questo simbolo nella suo più potente legame vita-morte); se però guardiamo alla malattia – come ben ci suggerisce l’astrologia – come ad un sistema di informazione innato attraverso cui il Sé cerca di mettersi in contatto con l’Io per portare alla sua conoscenza qualcosa che non viene percepito ad altro livello, allora ci accorgiamo che c’è qualcosa che non sembra essere così “vero” nel trapianto che, anzi, sembra assolutamente illusorio anch’esso.

 

Intendiamoci io non voglio fare una valutazione del tipo “trapianto si – trapianto no e neppure voglio dare un valore alle persone che lo prendono o  non lo prenderebbero mai in considerazione, la mia è una semplice interrogazione sul fatto che se la malattia ha il compito di portarci ad un altro livello evolutivo, rispetto a quello in cui ci trova, allora, il trapianto può avere senso esclusivamente se abbiamo anche compreso e modificato l’atteggiamento psicologico che ha portato al danno all’organo, in caso contrario, l’organo sano trapiantato, sarà annientato anch’esso dalla malattia visto che non ha portato a cambiamenti sostanziali.

 

Nelle filosofie orientali dove c’è un legame profondo con la reincarnazione, il trapianto viene visto con estremo sospetto proprio perché per loro non ha  alcun senso sostituire un organo se non si cambia l’atteggiamento interiore che è  il solo a “risanare” la malattia esistente.

In effetti, astrologicamente parlando la malattia viene simboleggiata in casa VIa, casa di frammentazione dove spesso si mantengono schemi mentali che danno origine a grandi divisioni dal senso di totalità; la guarigione viene invece da sempre simboleggiata nella casa XIIA che indica il ritorno al senso di totalità…

Se prendiamo in considerazione questo simbolismo possiamo allora azzardare l’ipotesi che la guarigione sia un fattore personale – abbastanza indipendente dalla medicina, dagli operatori e dalla cura – ma dipendente invece da una capacità di “ri-contattare” qualcosa da cui si era scollegati precedentemente.

 

Oggi, noi occidentali vediamo invece il corpo non come parte di un’unità con la psiche e l’anima ma piuttosto come una “macchina” che deve funzionare, non importa come… l’importante è che non dia problemi per cui, quando qualcosa non va, c’è sempre la possibilità di poter sostituire il “pezzo che si è consumato, o guastato”.

 

Le riflessioni che scaturiscono da questo problema sono due e, a mio avviso, racchiudono qualcosa di fondamentale riguardo ai “trapianti”.

 

La prima riflessione mi porta a riprendere in mano il discorso che una persona che è in attesa di trapianto, la cui vita dipende dalla possibilità di poter avere un organo sano in tempi ottimali, suo malgrado, e magari anche del tutto inconsciamente, si trova ad essere “dipendente” dalla morte di un altro individuo; in questa condizione, non è fantasmatico pensare che la persona che sta per morire a causa dell’attesa di un organo non giunga egoisticamente a sperare nella morte di qualcuno; considerando che il “pensiero” è energia, non penso che questo pensiero possa essere considerato positivo;

 

la seconda riguarda invece un aspetto più prettamente biologico e genetico: se il sistema immunitario di un trapiantato continua per tutta la vita a combattere un organo che considera “estraneo” e di conseguenza “pericoloso” per cui bisogna praticamente “sopprimere” le sue difese per evitare il “rigetto”, come non vedere in tutto questo un atto contro la natura umana?




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