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L’ETERNO RIMPIANTO DI UN AMORE

a cura di Lidia Fassio
 

Non tutti gli amori vengono vissuti interamente in modo gratificante e soddsfacente per entrambi; molti terminano in quanto hanno esaurito la loro funzione di scambio e i due partners si trovano all’improvviso in crisi senza strumenti per poterla affrontare o perché l’amore si è dissolto e non vi sono pià motivazioni che servano a tenere insieme la coppia, oppure perché non si conoscono le strategie per risolvere i problemi che via via si trovano sul tappeto e la relazione va verso un naturale esaurimento.

Allo stesso modo ci sono relazioni che si chiudono ed altre che perdurano anche se non vi siano giustificati sentimenti alla base tuttavia, finiscono per trascinarsi perché manca il coraggio di chiudere, oppure si è così insicuri da pensare di non essere in grado di poter continuare la vita senza un compagno. Queste sono le relazioni che vengono coperte di alibi di tutti i tipi: “i figli, la situazione economica, la paura di stare soli, ecc.”

Vi è però una categoria di persone che, invece, ha vissuto una relazione, magari nella giovinezza o comunque in una fase precedente della vita, da cui non è più riuscita a staccarsi finendo per idealizzarla ma, nello stesso tempo, restando impantanata in una situazione di rimpianto continuo per un amore (spesso platonico e quindi non vissuto nella realtà) che è terminato per motivazioni particolari (una morte improvvisa, un allontanamento, un impedimento a  continuare la relazione)  ma che, proprio per questo, è rimasto energeticamente intatto nella psiche, senza che il soggetto possa fare un’ elaborazione vivendo poi una normale fase di lutto che permetterebbe il distacco e l’apertura a nuove possibilità. L’eterno rimpianto ha prodotto un effetto “di fissazione psicologica” su quel particolare “unico partner” fino a trasformarlo nella mente in qualcosa di “santificato e di ideale” assolutamente perfetto che, di conseguenza, non può essere toccato, né rivisitato e, pertanto, mai neppure lontanamente eguagliato da un’altra persona.

Se da un lato sappiamo bene che non potrebbero esistere innamoramenti ed amori se non vi fosse la possibilità di idealizzare, in questi casi però, si può parlare di una vera e propria regressione infantile che risulta essere perfettamente funzionale a questa particolare categoria di persone poiché, da un lato, permette una fuga costante dal dolore del passato (che è la vera causa della fissazione; questo dolore non vissuto fino in fondo non ha consentito neppure un vero distacco, ma al posto sono entrati nostalgia e rimpianto uniti ad una falsazione dell’idea dell’altro) e, dall’altro, ha lo scopo di proteggere il soggetto da un’eventuale possibilità di rimettersi in gioco con un’altra persona in un’altra relazione poiché questo è sicuramente il tema portante di questi soggetti: l’incapacità di stare dentro ad una relazione vera e reale poiché c’è qualcosa di immaturo e di infantile.

E’ chiaro che stiamo parlando di persone che nutrono fantasie infantili poiché non sono in grado di affrontare la ferita narcisistica che hanno vissuto e, per difendersi continuano ad idealizzare e a considerare il partner “l’unico, il solo possibile” al punto da non poter neppure prendere in considerazione l’idea che potrebbe esserci qualcun altro al loro fianco, perché qualsiasi altra persona viene percepita come deludente e non all’altezza. In questa situazione psichica, chiunque li avvicini emotivamente viene automaticamente paragonato all’immagine idealizzata cronicizzata e, manco a dirlo, considerato perdente e non all’altezza.

Indubbiamente queste persone hanno un grandissimo problema sul piano relazionale e, non essendo  in grado di affrontarlo, hanno trovato questa particolare modalità di fuga che consente di stare – anche per una vita - in una dimensione temporale particolare “tra passato e futuro”: infatti,  da un lato sono ancorate ad un ideale che non c’è e che forse non c’è neppure mai stato (almeno non nella modalità in cui loro lo fantasticano) ma, nello stesso tempo, continuano apparentemente la loro vita illudendosi di essere in attesa di vivere un’altra occasione nel futuro, annullando così la possibilità di intravedere e lavorare sulle difficoltà reali che impediscono l’accesso ad una relazione adulta e matura.

Sappiamo bene che è proprio l’esperienza del distacco che porta gli individui a crescere e ad uscire dalla percezione di eternità e quella di temporalità: nelle separazioni, come nel lutto, è perciò  fondamentale l’esperienza della rabbia perché è da essa che giunge la forza di portare a conclusione il legame psicologico affrontando apertamente la ferita, creando le condizioni per la cauterizzazione.

In queste persone invece, manca quasi sempre il contatto con  la rabbia e, in assenza di essa, viene rimossa la sensazione di perdita in modo che non possano entrare nella coscienza le emozioni potentissime che devasterebbero l’equilibrio psichico: in questo modo, continuano a vivere come se il fatto o la perdita, non fossero mai  accaduti e restano in una sorta di sospensione “al di fuori dalla realtà”, un vero e proprio stato fantastico di idealizzazione in cui il tempo non può entrare perché è come se fossero colti da “incantesimo”.

Questa modalità difensiva è mantenuta in piedi a scapito di una reale crescita; come tutte le difese aveva un senso nel momento in cui è stata eretta perché ha sicuramente consentito di eludere il crollo psicologico che, all’epoca, sarebbe stato devastante ma, portata avanti nel tempo, fa vivere il soggetto in una situazione completamente fuori dalla realtà. In realtà si tratta di uno stato depressivo che costringe queste persone a rinunciare giorno dopo giorno a qualcosa che desiderano ardentemente e di cui avrebbero fortemente bisogno.

In questi soggetti permane una sorta di “fusione ideale” con la persona persa, eludendo quella di “separazione”; è proprio la relazione idealizzata che favorisce la “fantasia di simbiosi totale” che, nella realtà, non potrebbe esistere a meno di una totale perdita di sé. In queste persone è molto forte il desiderio di unità, di sentirsi interi e completi viene proiettato sul partner del passato.

Da un punto di vista astrologico è superfluo dire che le persone che più possono entrare in una patologia di questo tipo sono i nettuniani che hanno alcune modalità psicologiche che, in presenza di particolari problemi, possono cronicizzarsi.

Essi infatti sono particolarmente sensibili ai temi della “fusione paradisiaca”, ovvero una relazione ideale in cui non siano presenti separazione, dolore e neppure contaminazione del reale: per alcuni nettuniani la relazione è “perfezione assoluta” e sappiamo bene che nessuna relazione può reggere a lungo se esposta a questo tipo di proiezioni, ragion per cui, la relazione che si interrompe per motivazioni particolari (come la morte prematura del partner, oppure una sorta di delirio persecutorio che ne impedisca la struttura, tipo la famiglia che combatte quel particolare uomo o donna) può favorire l’instaurarsi di una fase di fissazione simbiotica fusionale del tutto funzionale a questo tipo di soggetto. La nostalgia regala, tra l’altro, la possibilità di continuare a vedere l’amato e la relazione come sono nella fantasia.

Sappiamo che Nettuno anela ad una fusione che però non è mai con una persona, bensì con l’infinito, con Dio, con il sé, ma, in assenza di questa consapevolezza, una relazione idealizzata del passato può servire allo scopo.

In particolare, aspetti Venere Nettuno, Luna Nettuno, oppure forti accentuazioni sul segno Pesci e/o sulla casa  dodicesima, soprattutto in presenza di lesioni possono bloccare un soggetto in una falsa idealizzazione di un amore del passato che consenta una fuga totale da una realtà assolutamente inaccettabile.




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