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STANLEY KUBRICK

a cura di Luna
 
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Se qualcuno mi chiedesse qual’è la miglior scoperta degli ultimi 100 anni risponderei senza indugio: Il cinema. Sia chiaro, la stampa è ancora più importante, la moderna medicina, la tecnologia, il benessere, hanno il mio incondizionato rispetto, ma il cinema è una vera passione. Molti sono i personaggi cinematografici di cui vorrei parlare, e lo farò, ma credo che al primo posto vada messo il vero precursore del cinema moderno: il regista Stanley Kubrick. Se qualcuno non ricorda esattamente cosa ha diretto elencherò solo qualche titolo : “Orizzonti di gloria”, “Il dottor stranamore”, “Shining”, “Lolita”, “Odissea 2001 nello spazio”, “Full metal jacket”, “Arancia meccanica”, “Eyes Wide Shut”. Non c’è bisogno di essere un cinefilo per sapere che sono tutti capolavori.

Kubrick è stato indubbiamente un uomo molto complesso, pieno di sfaccettature diverse fra di loro, ma tutte affascinanti. In questi giorni a Milano si è aperta (16 aprile – 4 luglio 2010) una mostra fotografica che comprende 200 foto inedite del regista, scattate quando regista ancora non era. Infatti lui nasce prima come un grande osservatore e poi come fotografo ed infine.. il grande artista che è diventato. Ma andiamo per gradi, perchè è talmente poliedrico il personaggio che servirà mettere un minimo di ordine.

 

Figlio di un medico ebreo, Stanley nasce a Manhattan il 26.07.1928. Non fatevi illusioni, all’epoca quel quartiere di New York era considerato periferico. Nulla da segnalare nel corso dell’infanzia se non una sua assoluta intolleranza nei confronti della scuola e degli insegnanti, da lui ritenuti incapaci di creare stimoli e curiosità. Spesso e volentieri, infatti, marinerà la scuola per andare al cinema vicino. Pare non si sia perso un solo film, durante la sua giovinezza. Più tardi il New York Times scriverà su di lui un articolo dal titolo: “da cinefilo a cineasta”. A 16 anni riceve in regalo (o in prestito, qui le fonti discordano) una macchina fotografica dal padre, e lui inizia a immortalare qualsiasi cosa lo colpisca. Alla morte di Roosevelt cerca di vendere la foto di un edicolante, immerso nella tristezza per la morte del suo presidente, dietro una montagna di quotidiani che annunciano il funerale dello stesso. Il quotidiano locale l’acquista per 25 dollari e successivamente lo assume in pianta stabile come fotografo. E’ stato il più giovane fotoreporter della storia editoriale americana. A 20 anni era già considerato da tutti i colleghi un autentico veterano. Quello che è successo dopo è noto a tutti. Comicia con dei cortometraggi e via, via, arriverà ad essere il mostro sacro che conosciamo. Fermiamoci un attimo e usiamo l’astrologia: qual è il segno che vuole, ad ogni costo, lasciare un’impronta indelebile del proprio passaggio su questa terra? Il suo, il Leone. Può farlo attraverso i figli, o qualunque genere di creazione che però possa resistere anche dopo la propria morte. Le fotografie, i film, rimangono per sempre. Fissano un’attimo di vita, una sfumatura, il battito di un’emozione. Certo anche i libri lo fanno, ma è diverso. In una fotografia tu hai davanti la realtà di una persona, di un oggetto, di una situazione e ne rubi l’anima, l’essenza stessa, rendendola immortale. La sua famosa maniacalità nel girare i films denota proprio il suo bisogno di trasmettere attraverso la pellicola un preciso stato d’animo e di passarlo allo spettatore nella sua complessità. Durante le riprese di “eyes wide shut” fece rifare una scena interpretata da Tom Cruise ben 93 volte, ed episodi simili sono raccontati da quasi tutti i suoi collaboratori. Faceva impazzire gli attori, li sfiniva, ma tutti, e dico, tutti, raccontano di aver imparato a recitare meglio attraverso la sua ossessiva ricerca della perfezione. Lui non ha girato tantissimi film, ma in ognuno di questi ha rivelato un lato umano nelle sue infinite sfaccettature. L’adolescenza precoce di Lolita, la bestialità umana in Orizzonti di Gloria e successivamente in Full Metal Jacket, la ricerca dell’infinito e la solitudine che ne consegue in Odissea 2001 nello spazio, l’amore e le sue complessità malate di Eyes wide shut, la follia lucida omicida in Shining, la violenza fine a sé stessa di Arancia Meccanica, l’antimilitarismo e lo sfottò alla guerra del dottor stranamore. Kubrick sfoglia le emozioni umane, come se fossero pagine di un libro e le trasmette fotogramma per fotogramma in una cruda esposizione delle stesse.

 

Non dimentichiamoci poi del suo Sole  trigono a Urano un aspetto da manuale, visto che, come tutti gli uraniani lui ha precorso i tempi nel proprio campo. Pensate solo a “Odissea 2001 nello spazio”, lo girò nel 1968, non so se mi spiego, all’epoca girava ancora qualche carrozza trainata da cavalli lo sapete? E la nuovissima tecnica usata in “Arancia Meccanica”? Girò quasi sempre in esterni, con una piccola troupe, macchine molto leggere ed il suono era in presa diretta. Quello che Camerun ha fatto oggi con “Avatar” (una autentica rivoluzione tecnica nel campo cinematografico) Kubrick lo fece, con i mezzi dell’epoca, nel 1968. Un uraniano doc direi: rivoluzionario, diverso, originale, il prometeo del cinematografo.

 

Guardiamolo però soprattutto come essere umano e non solo come il genio della pellicola che è diventato. Si è sposato tre volte, e complessivamente ha avuto tre figli di cui due femmine con l’ultima moglie. Un’artista di origine tedesca. Ha sempre amato molto la sua famiglia ed i suoi figli. Tendenzialmente fedele, non gli è mai stato attribuito un flirt o un tradimento.. Era un uomo molto sensibile il nostro Stanley e, unito al bisogno di grandezza proprio del Leone, possedeva una porosità particolare nei confronti dell’opinione che gli altri si facevano di lui. Tendenzialmente narcisista (Sole congiunto a Venere, perdipiù in Leone), non sopportava le critiche, ma contemporaneamene proseguiva imperterrito sulla sua strada. Era anche gelosissimo del successo degli altri registi. Durante un’intervista, dopo la sua morte, Matthew Modine, l’attore protagonista di “Full Metal Jacket, raccontò: “Un giorno gli dissi: “Ho una barzelletta per te. Tu muori e...” “Non è divertente”, rispose. “Lascia che te la racconti. Dunque, anche Steven Spielberg muore.” “Steven muore? Questa sì che è divertente.” “Tu muori e vai in Paradiso. Anche Steven Spielberg è appena morto e viene accolto dall’Arcangelo Gabriele che gli dice: “Dio ha apprezzato moltissimo i tuoi film e vuole esser certo che ti troverai bene qui da noi. Per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, chiamami pure.” E Steven: “Vedi, mi sarebbe tanto piaciuto incontrare Stanley Kubrick. Pensi di poterlo fare?” Gabriele lo guarda e fa: “Ma Steven, con tutte le cose che potevi chiedermi, perché proprio questa? Lo sai che Stanley odia i meeting.” “Ma tu mi avevi detto che per qualsiasi cosa...” “Mi dispiace davvero, ma questo non mi è possibile.” Così, Gabriele lo accompagna in giro per il Paradiso e a un certo punto Steven vede un tizio con la barba che se ne va in giro in bicicletta e con la divisa militare. Allora Steven dice a Gabriele: “Mio Dio, guarda, quello è Stanley Kubrick! Possiamo salutarlo?” Gabriele prende da parte Steven e gli dice: “Quello non è Stanley Kubrick; è Dio e crede di essere Stanley Kubrick...”

Si trasferì in Inghilterra e qui vi rimase per tutta la vita. Odiava stare in mezzo alla gente ed aveva il sacro terrore dei voli aerei, ma quest’ultima fobia deriva dal fatto che fu vittima di un brutto incidente aereo quando, da giovane, pilotava piccoli monoposto.

 

Un giornalista dichiarò anche: “Dicono che aveva parecchie fobie, che non voleva viaggiare. La verità è che ha vissuto in un paradiso e non c’era ragione perché si muovesse.” Stanley Kubrick sapeva essere burbero e sembrava insensibile di fronte alle fatiche ed alle sofferenze degli altri, ma aveva invece grandi attenzioni nei confronti di tutto ciò che considerava “suo” (Marte e Giove in Toro).  La scelta di trasferirsi in una villa nella campagna inglese, isolato dal mondo, ma non dai suoi cari la dice lunga sulla sua vera natura. A mio avviso non odiava la gente, ne aveva paura, le stesse paure che, proiettandole nei suoi film, è riuscito, almeno in parte, ad esorcizzare. La sua Luna Scorpione in aspetto a Mercurio, Marte e Plutone parla delle sue ossessioni: quella di non piacere, di non essere all’altezza, di essere ferito, di non lasciare traccia di sé, ma ci parla anche della sua attitudine a nuotare nel torbido, nelle mille sfaccettature della psiche umana, con le sue infinite debolezze, ma anche con la sua magica capacità di rinascere dalle proprie ceneri. Kubrick muore per attacco cardiaco nel 1999, a 3 mesi dalla fine delle riprese di “Eyes wide shut”. Il grande maestro se ne è andato, ma se passate da Milano, andate a vedere la sua mostra fotografica, perchè a mio avviso, lì si esprime quella che Hillman definì “la teoria della ghianda”. In quella esposizione si vede benissimo il seme di ciò che Kubrick sarebbe diventato: un genio tormentato e tormentante, un inquieto, un ricercatore fanatico ed ossessivo, un attento osservatore della misera e della grandezza dell’animo umano. Tranquillo Stanley, tu la grandezza l’hai raggiunta e noi possiamo rivederla ogni volta che vogliamo grazie alle tue opere foto-cinematografiche.




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