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PASSAGGIO IN LADACK – PRIMA PARTE

a cura di Paolo Crimaldi
 
Arrivare in Ladack è un po’ come tornare indietro nel tempo e recuperare la nostra idea di oriente, di una terra ricca di colori, odori, atmosfere che in quasi tutta l’India e nello stesso Tibet è ormai quasi definitivamente scomparsa.
Il Ladack si trova nella parte nord-occidentale dell’India, arroccato sulla catena himalayana e non è caso se gran parte dei tour operator lo ha chiamato il “piccolo Tibet”. Effettivamente qui è possibile ritrovare gran parte della cultura tibetana quasi intatta, con tutti i suoi rituali, tempi e spazi che difficilmente possono essere dimenticati dal viaggiatore occidentale.
Incontrare un Lama per strada o all’interno di un monastero e poterci scambiare qualche parola in un inglese maccheronico non è così difficile e spesso la comunicazione avviene anche solo attraverso dei sorrisi, degli sguardi intensi che inevitabilmente portano ad una comunicazione telepatica a cui difficilmente può credere possibile chi non ha mai messo piede su questa terra così magica.
Del resto chiedere ad un Lama una Puja, ossia una piccola preghiera affinché il nostro karma si possa alleggerire è costume comune e viene offerta agli stranieri con la stessa partecipazione e gioia con cui lo si fa con i locali, tanto che in alcuni momenti non si avverte più il proprio essere occidentali, stranieri e si comprende appieno cosa intende il buddismo per compassione.
In questo paese gran parte della popolazione è di religione buddista mahayana, ossia seguono gli insegnamenti della corrente tibetana di questa religione e vedono nel Dalai Lama la loro guida spirituale.

In genere lo straniero arriva a Leh, la capitale, in aereo da Dehli con un volo che parte le primissime ore del mattino per cui è particolarmente emozionante vedere il sorgere del sole sulle sacre montagne himalayana, così come desta tenerezza osservare gli anziani ladaki recitare le loro preghiere durante il volo al fine di chiedere scusa alle divinità per il disturbo arrecato dall’aereo nel sorpassare un luogo così sacro e fino a qualche lustro fa addirittura inviolabile.
L’arrivo nell’aeroporto della capitale è abbastanza curioso, perché la pista di atterraggio si avvicina solo lontanamente all’idea che abbiamo delle nostre e non è raro vedere anche aggirarsi dei cani in attesa che l’aereo atterri. Ma il sorriso con cui si è accolti dal personale dell’aeroporto, in genere donne con gli abiti tradizionali, fa mettere subito da parte tutte le nostre perplessità e il respirare un aria così rarefatta, nonostante gli inevitabili problemi di acclimatamento, inizia veramente a metterci in contatto con una spiritualità differente dalla nostra, ne migliore ne peggiore, semplicemente diversa, nella quale poter trovare alcune risposte indispensabili per poter meglio comprendere e rendere vitale la propria.
Leh, nonostante sia la capitale, ha ancora l’atmosfera di un festoso paese di montagna, dove le strade sono in continua salita e discesa e la gente saluta in modo affabile. Si è anche fortemente travolti dagli odori, a volte un po’ troppo pungenti per noi occidentali, che però preludono ad una cucina semplice e non certamente raffinata ed elaborata come quella lasciata a Dehli e che si può trovare nel vicino Kashmir.
Le strade di Leh sono ricche di negozi, di proprietà perlopiù di kashmiri, i mercanti più abili dell’intera India, e si trova proprio di tutto, dalle statuine in bronzo raffiguranti le varie divinità del pantheon buddista tibetano, ai vari mala, rosari con i grani in legno, fino ai vari tipi d’incenso medicali prodotti con una pungente miscela di erbe secondo i rimedi dell’antica medicina tibetana.
Ma a dominare Leh c’è il Castello, un po’ fatiscente, ma dal quale dopo un faticoso inerpicarsi, si può però godere un panorama davvero mozzafiato.

Ma il Ladack non è la sua capitale, ma l’insieme di monasteri e villaggi che si trovano abbarbicati sulle montagne e che nascondono segreti e misteri che andremo a scoprire nei prossimi articoli.



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