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NELLE VALLI HIMALAYANE ALLA RICERCA DEL BUDDHA

a cura di Paolo Crimaldi
 
Prosegue il nostro viaggio in Ladakh al fine di raggiungere il lato più estremo, ad ovest di questa regione, dove è situato il famoso monastero di Lamayuru, meta di pellegrini sia locali che occidentali poiché si pensa carico di energie in grado di metterci dinanzi al nostro karma e quindi di farcelo alleggerire.
Il viaggio da Leh dura circa sei-sette ore e lo si può fare solo con un fuoristrada percorrendo una strada piena di curve e quasi tutta in salita, molto trafficata soprattutto da mezzi dell’esercito indiano vista la vicinanza da un lato con la Cina e dall’altro con lo stato del Pakistan, anche se c’è il Kashmir a fare da cuscinetto.
La strada è molto bella e conserva un fascino che si può trovare solo nei libri di favole. Tutto appare avvolto da un atmosfera lunare e difficilmente si riesce a venire fuori da questo strano quanto conturbante incantesimo dei sensi, anche se ci provano i rumorosi autocarri dipinti in modo davvero folcloristico, tanto da ricordare i tipici carretti siciliani.
La strada costeggia uno dei fiumi sacri del subcontinente indiano, l’Indo, che visto dall’alto appare forte, solido, portentoso ma mai violento, mai che, anche solo per un istante, faccia pensare ad un pericolo; questo fiume ha qualcosa di speciale ed è come se vi si percepisse per intero la sua sacralità, la purezza dei picchi dal quale nasce e dove le leggende vogliono che vivano gli dei.
Lungo il percorso c’è un punto nel quale il tutto diventa ancora più emozionante, ovvero quando il Sankar, un suo affluente, confluisce in queste acque sacre, creando una strana mistura tra passato e futuro, vita e morte, notte e giorno, odio e amore. E’ una sensazione che è difficile da descrivere, ma vedere la acque altrettante portentose del Sankar, scure, cariche di detriti, marroni, terree immettersi nel colore cristallino dell’Indo è una emozione talmente profonda che merita il viaggio intero. In un certo senso fa pensare proprio all’idea della reincarnazione, al continuino fluire dell’anima da un corpo all’altro, partendo ogni volta pura pur avendo in se tutto il peso delle passate esistenze.

L’arrivo al monastero di Lamayuru, che secondo alcune fonti risale al decimo secolo d.C. anche se ricostruito diverse volte, non è particolarmente suggestivo. Stranamente il paesaggio che si è attraversato per giungere fin qui è molto più stupefacente… ma ad occhi attenti e a chi ha una forte sensibilità all’improvviso si dischiude un universo davvero speciale, fatto di odori forti ( dati perlopiù da lampade che sono alimentate a burro di yak) e di immagini terrificanti raffigurate attraverso statue e maschere. Infatti nelle stanze di questo monastero ci sono rappresentazioni di divinità e demoni cari al buddismo tibetano, e ancor più alla religione animista Bon con la quale è fortemente avviluppato, che servono a mettere il pellegrino in uno stato emotivo molto eccitato e carico di tensione che inevitabilmente lo porta a prendere consapevolezza dei propri errori e dei limiti che essi comportano bloccando il naturale processo di crescita spirituale, il motivo vero e il relativo sentiero (il dharma) che ha deciso di percorrere in questa esistenza.
Probabilmente chi si aspetta di vedere cose strabilianti resterà scontento, ma il viaggiatore che è pronto a recepire le energie del posto e a farle sue, allora non resterà affatto deluso ed anzi ne serberà un ricordo molto profondo, potendo beneficiare anche di un immenso cambiamento interiore.

Ritornando verso Leh in genere ci si ferma per la notte nel campo tendato di Uletpko. Il servizio è sicuramente non dei migliori e sarebbe consigliabile portare con se delle proprie lenzuola, magari quelle di carta, o un sacco a pelo, ma il disagio iniziale lascia il posto, soprattutto con il sopraggiungere delle notte, ad un altro piacevole shock emotivo, soprattutto per noi occidentali che viviamo nella grandi città: ovvero si ha la sensazione di poter toccare con le mani le stelle che avvolgono tutto ciò che sta al di sopra del nostro capo. Ma non è tutto perché c’è un suono suadente che fa da carillon e accompagna il nostro sonno: è l’Indo che sotto di noi continua il suo lungo e poderoso procedere verso il mare, trascinando via con se le emozioni, le energie e la purezza di queste valli che una volta attraversate non permetteranno più alla nostra anima di tornare ad essere quella di prima.




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