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QUANDO IL FUTURO DIVENTA INCERTO

a cura di Lidia Fassio
 

La crisi degli ultimi anni sta inesorabilmente facendo vedere i suoi effetti. E’ di questi giorni l’esito di una ricerca dalla quale si evince che, nel mondo occidentale, è in forte aumento l’uso di psicofarmaci ed antidepressivi così come il ricorso agli specialisti per trovare sollievo ad ansie e paure a cui non si sa far fronte, almeno, non con gli strumenti personali che ognuno ha in dotazione.
Tutto sembra dar ragione a James Hillman che già nel 1992 sosteneva che dopo cent’anni di psicanalisi il mondo andava sempre peggio.
Abbiamo avuto tantissimo sul piano materiale in questi ultimi 50 anni ma siamo diventati più fragili e, forse anche più sensibili ma, certamente, meno capaci di far fronte ai cambiamenti (che non siano di ordine tecnologico) e agli  spauracchi che accompagnano l’inizio del terzo millennio.
Il mondo va lentamente deteriorandosi e tutti sono impegnati a mantenere il tenore di vita degli anni passati facendo fronte agli stessi impegni in presenza di nuove difficoltà cercando sempre più efficienza e produttività senza mai prestare attenzione all’anima che si sta gradualmente ammalando giacchè non trovando accoglienza, si fa notare con depressioni ed ansie stimolate dalla percezione di  un futuro sempre più incerto dove le sicurezze acquisite lasciano il posto alla precarietà.

Non si può far a meno di notare il declino che sta attaccando ogni cosa: la politica, l’economia, il lavoro ma soprattutto i valori personali che si sono disgregati e dissolti al punto da essere effimeri e meno percepibili e non più in grado di sostenere aprendo così le porte all’abisso interiore. Siamo insofferenti a molte delle cose che facciamo e portiamo avanti ogni giorni senza trovare la forza di dire basta e di comprendere le ragioni di tanta paura del futuro e cerchiamo di aggrapparci alle sicurezze effimere che ancora esistono bloccando così l’incontro con la nostra essenza, quella che permetterebbe di trovare  energie e motivazioni per una vera rinascita personale e collettiva.

In questo clima di precarietà le paure si insinuano sotterranee, contaminano e si impossessano della vita personale, alimentate da un’informazione sempre più aggressiva tendente a mostrare solamente i lati peggiori della situazione il che annienta la speranza di un traghettamento di questa fase senza grandi sconvolgimenti.
Ovunque volgiamo gli occhi si leggono corruzione, violenza, senso di instabilità e nonsenso proprio laddove bisognerebbe scovare la positività e ciò che ancora ha valore; certo, in quest’atmosfera non possiamo non vedere che esistono persone che credono che, proprio nella criticità più forte, l’uomo è in grado di superare sé stesso accedendo ai suoi più remoti tesori e cercano di sensibilizzare chi non vede queste possibilità, rendendo più fecondo il tessuto sociale, magari lavorando in sordina e in controtendenza rispetto alle urla e all’arroganza con cui l’informazione ufficiale bombarda i nostri occhi e le nostre orecchie con scandali, violenza, paura e drammi.

Non c’è da stupirsi se, in questo stato di cose, molte persone finiscono per cercare consolazione negli antidepressivi, negli psicofarmaci, in altre forme di “fuga” che, non sono certo risolutive, ma consentono di non sentire l’eccessivo dolore derivante dal senso di impotenza e di frustrazione. 
La voglia di sfuggire è la prima risposta, quella più reattiva, anche se si tratta di un “falso” rimedio, che non fa che alimentare il problema in quanto impedisce di accedere a nuove risorse interne che aiuterebbero veramente a non impantanarsi nella vita ma ad affrontare i veri problemi che giungono da un mancato utilizzo della forza e del potere personale che, di conseguenza vengono proiettati all’esterno su chi, in realtà, non dovrebbe averli.
Certo, quando il futuro si fa incerto non è sempre facile avere risposte adeguate ed oggi stanno emergendo fragilità collettive che mettono in luce le inadeguatezze e gli errori del nostro sistema di vita che stimolano e incrementano quelle individuali per cui traballano le sicurezze che si ritenevano acquisite mettendo veramente a rischio la stabilità materiale e psicologica di molti di noi.

Una delle paure più striscianti del mondo di oggi è quella di perdere il lavoro e, di conseguenza, il benessere, il proprio stato sociale e tutto ciò che si è costruito precedentemente: ognuno di noi conta su ciò che deriva dalle capacità e dall’impegno personali e sa che, senza lavoro, la situazione può farsi veramente disperata in un mondo che chiede sempre di più da ogni singolo individuo, soprattutto sul piano contributivo. Il lavoro è uno dei grandi temi di questi tempi e, molte delle cose che erano state date per scontate negli anni ’60,  vengono ora messe in discussione e non rappresentano più una certezza.
In effetti oggi non è detto che siano sufficiente le capacità e le esperienze acquisite giacché, diminuendo l’offerta, chi si trova fuori dal ciclo lavorativo rischia di non rientrare più.

In questi giorni abbiamo letto sui giornali di alcune persone che si sono suicidate perché non riuscivano più a far fronte ai loro impegni: per alcuni si è trattato della perdita del lavoro, per altri invece, di una sensibile diminuzione dello stesso il che li ha portati, nell’arco di poco tempo, in una  situazione di debito non più colmabile e lo spauracchio del fallimento.
Di fronte a cose di questo genere non è difficile pensare agli sconvolgimenti psicologici: ridimensionare il proprio tenore di vita, affrontare la famiglia e i figli dicendo loro che la vita dovrà necessariamente cambiare di molto e, infine, ammettere di avere pendenze economiche difficili da onorare dal momento in cui il lavoro non è più quello di prima o, in alcuni casi, non c’è più.

Il lungo quadrato di Urano e Plutone che si formerà in maniera precisa e lunga quest’anno, riproponendosi però ancora nel 2013 e nel 2014 ci sta mettendo di fronte a situazioni molto complesse in cui i bisogni di cambiamento e di rinnovamento sono evidenti ma, non per questo facili; inoltre, nell’arco di questa lunga fase di trasformazione, iniziata ormai da qualche anno ma in via di appesantimento negli ultimi due, non sappiamo bene chi verrà toccato in modo particolare dalla crisi che è sicuramente legata al cambiamento di sistema sia economico che finanziario che di vita; sappiamo che sul piano collettivo i transiti sono più che mai impegnativi ma, alcuni individui, si trovano a fare i conti con questi aspetti che toccano anche punti sensibili del loro tema personale il che li investirà in modo più evidente e più diretto rispetto ad altri che, invece, li vivranno più attraverso il “sociale”.

Perdere il lavoro è un impatto difficile per chiunque e le conseguenze non sono solamente sul piano materiale, anche se questo spesso è l’effetto più evidente ed immediato, ma sono potentissime anche dal punto di vista personale; in effetti ci sono studi di psicologia sociale che mettono in evidenza che non c’è nulla che incida più pesantemente sull’intero assetto psichico giacchè, chi si trova in questa situazione, non può far altro che sentire all’interno un gran senso di fallimento e di distruzione che va aumentando proporzionalmente nel tempo se non  riesce a riciclarsi e a trovare qualcosa di alternativo nell’arco di qualche mese.
Un tempo sembrava che fossero solamente le classi più disagiate a subire gli effetti dei grandi tagli, della recessione e della mancata espansione sul piano economico ma, oggi, ci troviamo di fronte a persone che stanno perdendo la loro azienda nella quale hanno investito magari una vita o, ancor peggio, che è stata ereditata dai loro padri come un bene di famiglia che non possono più portare avanti; ci sono poi i dirigenti e i manager che hanno lavorato una vita e che si ritrovano improvvisamente fuori da un’azienda e che, il nostro sistema ritiene troppo “vecchi” per essere riciclati in un nuovo ruolo benché ancora troppo “giovani” per quanto riguarda gli impegni presi sul piano personale.
Il fatto di fare i figli sempre più tardi porta le persone a privilegiare la realizzazione professionale e a spostare di molto l’aspetto procreativo trovandosi così nella mezza età con dei figli ancora piccoli che hanno bisogno di un lungo tempo e di notevoli risorse prima di potersi affrancare dalla famiglia. 
Per un padre che ha avuto la possibilità di studiare e di realizzarsi è molto difficile pensare che i loro figli non abbiano le stesse opportunità per cui, al senso di frustrazione derivante dalla perdita del lavoro, si aggiunge un profondissimo senso di colpa e di fallimento rispetto al ruolo a cui, gli uomini di ogni generazione, sono chiamati: il sostegno della famiglia.

Gli uomini sono stati forgiati da sempre per il lavoro, per il mantenimento e il sostentamento familiare e questo è profondamente radicato nella psiche collettiva ed individuale; fa parte di quei condizionamenti atavici difficili da smantellare nell’arco di poche generazioni e, anche se in parte oggi non è più così in quanto anche le donne stanno dando un forte contributo al benessere familiare, sul piano psicologico le cose sono ancora imprintate in maniera indelebile nel mondo maschile e questa è una delle ragioni per cui un uomo che si trova a perdere il lavoro e al venire meno a quella precisa aspettativa,  si trova ad affrontare una crisi molto più profonda di quella che affronterebbe una donna in un’analoga situazione. 
L’astrologia ci viene incontro nella comprensione di questi meccanismi: la realizzazione personale e professionale viene letta nel simbolo del Sole che è un archetipo maschile che si avvale di Marte (altro simbolo maschile) per raggiungere uno status sociale oltre che personale; tutto ciò in un uomo,  coincide anche con l’identità più profonda e con il senso di sè per cui, l’impossibilità di onorare questi due simboli, ha un impatto decisamente più devastante sull’Io di quanto non accade ad un soggetto femminile la cui identità è comunque investita sui simboli della Luna e di Venere. 

Ciò che sta accadendo in questi ultimi anni e che, forse, peggiorerà nei prossimi, è del tutto nuovo in quanto non si era  più verificato dal dopoguerra in poi per cui, le generazioni che hanno oggi dai 40 ai 50 anni, possono trovarsi in condizioni veramente complesse che non toccano solo l’aspetto materiale della questione ma, soprattutto, quello psicologico.

Per la prima volta le generazioni degli anni ‘50 e ‘60 si trovano a fare i conti con precarietà di vario tipo e con la possibilità di dover ridimensionare sensibilmente il loro tenore di vita, cosa che, fino a 10 anni fa, sembrava assolutamente impossibile.

Nonostante ciò che pensiamo, non far fronte agli impegni presi è qualcosa di profondo e di innato ed è interessante il fatto che da sempre, gli uomini, dovevano onorare i loro debiti nei confronti del mondo; in caso contrario non c’era solamente il disastro economico personale, ma la “perdita della faccia” che corrispondeva a perdere l’onore familiare e sociale e a non avere più alcuna credibilità.
Come ben sappiamo tra i  simboli del Toro casa II c’è anche “l’immagine  di sé” che però è molto più complesso di ciò che si crede. Il Toro è legato alle risorse personali, al valore di sé, ma anche all’immagine che si ha di fronte al clan; non poter pagare, non riuscire a sostenere la famiglia e fallire, significa “perdere la faccia” e non avere più onore il che, almeno un tempo, voleva dire non avere valore e non poter più accampare diritti.
Anche se siamo nell’era della tecnologia, tutto ciò è ancora molto vero giacchè, la legislazione che regola i fallimenti stabilisce che questo “reato” può far perdere i diritti civili ad un individuo. In effetti, gli assassini, gli stupratori e addirittura gli stragisti non perdono il diritto al voto, l’unica sentenza che comporta questa pena è, per l’appunto, il fallimento.
In effetti la legge sembra dire: “se non puoi mettere la tua faccia (e, chiaramente la tua firma)  di fronte ad un impegno, non esisti come persona e, soprattutto, non esisti a livello sociale”.

Questa è una delle motivazioni per cui, un imprenditore, un manager o un semplice capo famiglia che si trovi all’improvviso in queste circostanze può pensare, esattamente come accadeva un tempo, che la morte (casa VIII) possa essere l’unica risposta valida ad evitare la vergogna e il disonore che colpirebbe l’intero clan familiare e non solo sé stesso.
La dialettica II - VIII anche in questo caso si mostra interessante; tra quelli che si sono suicidati, vi sono alcuni imprenditori che, in realtà, si sono trovati impossibilitati ad onorare i loro impegni a causa di un fisco che, sempre più spesso, è cieco, sordo ed inadempiente nel pagare i suoi personali debiti mettendo in chiara difficoltà chi attende di vedersi restituire denaro legittimo e si trova in gravi difficoltà personali; lo stesso fisco (casa VIII) non si esime però  dal pretendere dal contribuente puntualità e precisione, allorchè vanta un credito.

Probabilmente assisteremo ancora a casi di questo genere che devono farci riflettere anche sul valore del simbolo astrologico; in effetti, in un clima di recessione economica, laddove le risorse diventano insufficienti mettendo in grave rischio le sicurezze (casa II),  entrano automaticamente in gioco simboli  che riguardano invece la casa VIII che, ovviamente, richiede di far fronte con “risorse interne” e “potere personale”, potenzialità che servono ad affrontare “la morte psicologica e sociale” a cui si va incontro; tuttavia, il simbolo è molto flessibile e, alcune persone, di fronte al disonore, alla perdita della faccia, optano per la soluzione più drastica che, tuttavia, sottrae la famiglia al disonore sociale cui andrebbe incontro.




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