ASTROLOGIA IN LINEA
ASTROMAGAZINE - RUBRICHE - Tutti al cinema

PAOLO SORRENTINO : DESTINAZIONE OSCAR!

a cura di Francesco Astore
 

L’ultimo film di Paolo Sorrentino, il notissimo “La grande bellezza”, film celebrato o discusso, odiato e amato nel suo Paese d’origine, è adesso approdato negli Stati Uniti ed è stato accolto con grande entusiasmo, così come la sua uscita in Gran Bretagna lo ha visto molto acclamato da pubblico e critica. Secondo il rinomato The Guardian, “questo è il miglior film di Sorrentino”. Per il Times, “la gioia di questo film è nella sua grandiosità”. Ancora, per l’Indipendent: “un grande city movie che si avvicina al capolavoro” e il Daily Telegraph: “uno scintillante colpo di cinema che vi farà scoppiare il cuore”.

Adesso, dopo i prestigiosi giudizi d’oltremanica, il traguardo finale che si propone di raggiungere l’opera cinematografica è l’Oscar, cui è stato candidato dalla commissione italiana. Dovrà affrontare una vera corsa a ostacoli e vedersela con altri 76 film che ambiscono a conquistare la scintillante statuetta. Prima di arrivare a essere proclamati vincitori, è difatti necessario entrare nella esigua cinquina dei film selezionati. Il verdetto dei “fantastici cinque” sarà emesso dall’Academy of Motion and Picture Arts and Sciences il prossimo 16 gennaio 2014. Dopo essere entrati in questa rosa dei cinque si procederà poi all’ultima e definitiva selezione. L’Italia non fa parte della famosa cinquina di eletti dal 2005, quando vi entrò con “La bestia nel cuore” di Cristina Comencini. Si combatterà una dura battaglia, lo ha confermato anche lo stesso regista in una recente intervista: “Sarà molto difficile, lo so, ma faremo di tutto per arrivare alla serata degli Oscar”. Consapevole, dunque, che già essere presente nella cinquina è un punto d’arrivo da non disprezzare affatto. La fatidica notte degli Oscar è prevista invece per il 2 marzo 2014.

“La grande bellezza” è un film corale per la partecipazione intensa dei talentuosi attori che lo animano, molto articolato, tanto da richiedere di esser visto una seconda volta per essere compreso appieno. Film di grande impegno morale, filosofico e senz’altro spirituale, al quale il regista ha dedicato molta della sua passione per il Cinema. “La grande bellezza” si rivela il classico film d’autore, in cui Sorrentino scrive anche la sceneggiatura insieme a Umberto Contarello.

Non si fatica certo a riconoscer nel film quella Roma di eccessi, edonista, magica e dissoluta, spudorata e malinconica, che rappresenta sinteticamente l’intero costume del Belpaese, un modus vivendi italiano. Intreccio tra i poteri politico-clericali, diffuso malaffare, groviglio di snobismi e ambizioni sbagliate: questa “Babilonia disperata”, come l’ha definita Natalia Aspesi nella sua recensione del film, non smette di abbagliare con l’immortale incanto artistico e la schiettezza dei suoi bassifondi. Una Babilonia disperata di eterne contraddizioni che continua a esercitare la sua magnetica attrattiva e a stupire tutti gli spettatori passati, presenti e futuri.

È stato più volte detto e scritto che questo film sembra riecheggiare il capolavoro di Federico Fellini, “La dolce vita”, girato a Roma 54 anni fa. Diremmo meglio: quel che il regista riminese aveva messo in scena mostrando le luci (ma anche le ombre), di una società epicurea e decadente, è portata qui alle estreme conseguenze, degenerando molto spesso nel contemporaneo kitsch. Interessante anche lo sguardo di Sorrentino rivolto al celebre “La terrazza”del maestro Ettore Scola, girato nel 1980.
Intanto la trama che, in tutta sincerità, è impossibile da riassumere poiché intessuta da varie vicende che si incastrano quasi come in un sistema di scatole cinesi. Tutte sono costruite intorno all’esistenza del personaggio principale della storia, lo scrittore Jep Gambardella, interpretato dal grandissimo Toni Servillo. Gratificato da un unico, brillante successo pubblicato negli anni della giovinezza (L’apparato umano), Gambardella vive per molti anni di rendita, adagiandosi sul comfort di un’esistenza pigra e priva di veri stimoli creativi. Frequenta feste e salotti, cullato solo da un vacuo leitmotiv: il culto dell’effimero. “Non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste, io volevo avere il potere di farle fallire!”.

Compiuti 65 anni è ancora all’apice di un glamour fatto di futili quanto prestigiose frequentazioni, di notti grondanti una fatua mondanità cui seguono giornate di una quiete un po’ onanistica che ripaga la stanchezza, dopo tante mattane. A questo punto il personaggio volatile, seducente e cinicamente sospeso su una Città Eterna dagli splendidi scenari, si svuota, perde nerbo, comincia a fare bilanci sul tempo sprecato, sulla incapacità di riproporsi come scrittore (“È così triste essere bravi, si rischia di diventare abili”). Riflette sugli anni della giovinezza lontana, sul suo primo e, come si intuisce, unico grande amore di ragazzo, Elisa, ormai perduto per sempre. A rafforzare la convinzione della crisi nel personaggio Gambardella è la platea delle compagnie, delle amicizie affettuose o superficiali che girano intorno a lui o che imprevedibilmente il destino gli para dinnanzi. Ciascuna di esse, a suo modo, è coinvolta nel far percepire uno stato di confusa precarietà nell’animo del protagonista. Dallo scrittore teatrale Romano, interpretato da Carlo Verdone, alla ricerca di una notorietà che stenta ad arrivare, fino all’amica radical chic, impegnata in battaglie politiche poco coerenti, Stefania, impersonata da Galatea Ranzi. Dalla misteriosa spogliarellista dal cuore tenero e dalla salute precaria con cui condividere ultimi momenti di intesa sentimentale, ovvero la Ramona a cui Sabrina Ferilli presta le sembianze, alla caporedattrice nana, materna e affettuosa, Dadina, ovvero l’attrice Giovanna Vignola. La notizia della morte per malattia della rimpianta Elisa, fa piombare Jep nello scoramento totale ponendolo di fronte alla fugacità della vita e alla ricerca di un’ancora spirituale che lo strappi finalmente dal vuoto di senso in cui continua a galleggiare da molto tempo. “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Finisce tutto così, con la morte. Prima però c’era la vita, nascosta dal bla, bla, bla …”.

In questo contesto assume una straordinaria rappresentazione della realtà attuale la parata di tante macchiette, caratterizzanti quella rincorsa al superfluo che è il male di cui la nostra società contemporanea è afflitta. Nella scena iniziale del compleanno di Jep, una strepitosa e ironica Serena Grandi porge gli auguri: “Auguri Jep! Auguri tesoro! Auguri Roma!”. Al tempio dell’estetica, un chirurgo-guru dispensa le sue magie per consentire il miracolo di corpi e volti dalle forme sempre fresche e smaglianti. Performance esasperate di artisti impegnati e “di nicchia” si accompagnano a uno snervante desiderio di eccentricità e alla smania del presenzialismo nei cosiddetti eventi esclusivi romani. In questo pieno decadimento dei valori, a far brillare un’esile fiammella di speranza ci pensa un singolare personaggio, una suora, detta “la Santa” (Giusi Merli), seppure improvvisi sprazzi di raccoglimento spirituale siano già apparsi nel film nei passi silenziosi di monache che si muovono sullo sfondo della Roma, cuore della cristianità. La fama della Santa la precede prima del suo arrivo, come ogni personaggio mediatico che si rispetti, ma lei sembra non curarsene affatto. Modellata in maniera impressionante su Madre Teresa di Calcutta, benedetta dalla divina grazia, la Santa fa della povertà il suo vessillo e della memoria il nutrimento per la sua anima: “La povertà non si può raccontare, va vissuta. Mangio soltanto radici, perché le radici sono importanti…!”. È grazie all’incontro con questa singolare creatura che Jep riprende i contatti con quell’idealismo che l’aveva pervaso molti anni prima da ragazzo e, in seguito, quando era stato toccato dal genio della scrittura. Il film si conclude con un Jep sul viale del tramonto che riprende lo slancio necessario per ritornare a scrivere.

È quasi obbligatorio cercare di scoprire quali combinazioni astrologiche abbiano contribuito al successo di un film tanto poliedrico, variopinto, ricco di inventiva, pure ironico, con un velo di malinconica amarezza steso su Roma e su quel Paese intero di cui la città si gloria essere la capitale.

Emblematico il destino di un film che nasce proprio in una fase delicatissima per la nostra patria, in costante attesa di potersi ripulire da un costume di scandali, da quotidiane commistioni tra politica e malaffare, da un trash morale e materiale che la sta soffocando inesorabilmente. Per questo il film di Sorrentino si richiama ma resta comunque estremamente distante da quel punto di partenza che sempre Roma celebrava a cavallo degli anni ’50 e ’60, ovvero “La dolce vita” felliniana. Quello sembra ora essere stato un punto di partenza da dove si aprivano speranze e si coltivavano illusioni, mentre questo nuovo tempo pare invece un punto d’arrivo dove i progetti si sono impantanati, le aspirazioni sono fallite.

Non è stato possibile, purtroppo, rintracciare l’ora di nascita del regista partenopeo. L’analisi che farò seguirà la metodologia dei gradi dello Zodiaco dove sono ospitati i pianeti, essendo Paolo Sorrentino nato appunto a Napoli il 31 maggio 1970. La sua carriera vede splendere opere cinematografiche del calibro de “Il Divo”, girato nel 2008 e dedicato alla figura di Giulio Andreotti, con cui ha conquistato il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes nello stesso anno.

Sorrentino ha il Sole nei Gemelli, segno del teatro, al trigono di Urano nella Bilancia, segno del senso estetico.
“La grande bellezza”si compone di tanti diversi frame collegati tra loro e tutti ruotanti attorno al fulcro della storia, rappresentato come si è visto, dalla vicenda dello scrittore Jep Gambardella.
Non è forse il Sole nei gradi di Mercurio (tempo rapido) e Urano nei gradi di Venere (raffinatezza artistica), a definire e spiegare il tratto dominante, la peculiare tecnica di tanti frammenti ruotanti attorno a un nucleo, che è l’autentico stile registico dell’autore?
Non dimentichiamo ancora che i gradi zodiacali dove si trova Urano sono quelli di una delle espressioni artistiche tra le più eccelse: la poesia.
Ora, non è forse anche questo accento poetico un ingrediente preciso di cui si compone la sostanza di quelli stessi frame?
Tanti segmenti, tante pièce teatrali, tutti di influenza mercuriale che, apparentemente sgranati, riescono a intrecciarsi creando il mondo superficiale, decadente dell’instancabile viveur Jep.

Ma l’agile messaggero, il veloce Mercurio di cui abbiamo visto gli effetti indiretti, quale segno realmente occupa nel tema natale del cineasta napoletano?
È nel Toro, nei gradi centrali, dove forma una congiunzione con Saturno. Una riflessione attenta che passa attraverso fasi di lenta e paziente assimilazione sta alla base del percorso di progettazione dei suoi film. Nei gradi centrali del Toro, si trova il punto in cui Giove ha la sua simbolica esaltazione, pianeta che corrisponde all’immagine, alla luce del cinema stesso. L’attenzione ai grandi maestri del passato, alla tradizione italiana da cui partono “solide radici” e verso cui Sorrentino, costantemente, guarda, è senz’altro da leggersi in quel Saturno in Toro così legato a un territorio e alla sua fertile tradizione.

Venere, pianeta dell’Arte, che il film celebra nella magnificenza di Roma, si trova nel segno zodiacale della sua esaltazione, ovvero in Cancro, a esibire la potenza dell’emozione artistica: è ospitata sui gradi della Luna, fonte di tutte le emozioni. Venere nel punto della massima elevazione simbolica zodiacale sembra voler contrapporre un’ultima speranza di fronte all’incombente disagio estetico-morale, nel cantare una bellezza (artistica, la bellezza di una città come Roma) che sembra avvicinare l’uomo alla divinità. La dimensione onirica ora struggente, ora vagamente allucinatoria, su cui il film in molti passaggi indugia, è dunque da far risalire a questa Venere (espressione artistica) ospitata sui gradi zodiacali della Luna cancerina (sogno, nostalgia, miraggio).

Tra gli aspetti formati dal pianeta, però, non possiamo fare a meno di registrare il duro quadrato a Urano. Ricordando che Venere nel Cancro corrisponde al romanzo, possiamo facilmente dedurre come le critiche mosse al film sulla scarsa continuità della trama possano risalire a questa sua personale configurazione astrologica. Che è tuttavia una dei tratti portanti del cinema di Sorrentino, sposandosi con la peculiarità dei “pezzi” apparentemente staccati, ma organicamente collegati a un unico tutto, su cui si è già detto.
Il quadrato Venere in Cancro (come amore) Urano in Bilancia (come cambiamento drastico e produzione artistica) nel tema del regista rivela alcuni nodi centrali della trama: la disillusione, la brusca interruzione amorosa che tanto condizionerà poi l’anima inquieta dello scrittore, insieme alla sua mancanza d’ispirazione letteraria.

L’incanto pittorico è forse esemplificato in una delle scene più evocative del film: degli aironi richiamati misteriosamente dalla Santa sul terrazzo di Jep. La maestria di saper dipingere questi scenari, compresi gli angoli romani, le vedute notturne della capitale, le terrazze e le scalinate, possiamo leggerla nel Cielo del regista dai gradi zodiacali della pittura occupati. Gli ultimi gradi della Bilancia, sede della pittura, ospitano infatti uno spettacolare Giove-immagine beneficato da un trigono di Marte alla fine dei Gemelli.

L’impossibilità di possedere l’ora di nascita non ci consente un’analisi approfondita della Luna che ad ogni modo si dovrebbe installare nel primo segno dello Zodiaco, l’Ariete (a meno di un’ora di nascita avvenuta dopo le 22 e 15).
I passaggi bruschi, drastici, le impennate che si susseguono nel film dopo momenti di quiete, sembrano soddisfare un bisogno impellente, da parte dell’autore, di variare gli stimoli visivi e sensoriali, quasi per rinvigorire la tela degli avvenimenti raccontati. Questo modo di procedere sembra per l’appunto seguire i suggerimenti di un’infuocata e intemperante Luna in Ariete.

Foltissima la squadra di attori che anima il film, mettendo da parte Toni Servillo (di cui abbiamo trattato il tema natale), tra di loro sembra quasi ingaggiarsi una sfida di bravura. Impossibile citarli tutti, da Carlo Buccirosso a Iaia Forte, da Isabella Ferrari a Pamela Villoresi e poi Roberto Herlitza, Franco Graziosi, Giorgio Pasotti. Alcuni si limitano a fugaci apparizioni, come la splendida Fanny Ardant, quasi a ribadire l’aria di bellezza che spira sul film.

Vale la pena ricordare Sabrina Ferilli che dà una prova di recitazione estremamente convincente, al pieno della sua maturità artistica e, col vantaggio della sua più genuina romanità, offre un ritratto di densa umanità. Nata a Roma il 28 giugno 1964 alle ore 21,05, è una Cancro con ascendente Capricorno e Luna in Aquario. Facile identificare l’attitudine alla recitazione complici Venere e Marte entrambi nel segno del teatro, i Gemelli. La vis popolana, la veracità che spesso caratterizzano i personaggi interpretati dalla procace Sabrina è invece descritta dai valori Cancro (Sole e Mercurio nel segno) e dalla Luna (sintesi della femminilità) ospitata nella protagonistica casa prima.

Altro attore che spicca nell’opera cinematografica per la penetrante caratterizzazione del personaggio è Carlo Verdone, nato anch’egli a Roma il 17 novembre 1951 alle ore 10,20, Scorpione ascendente Capricorno e Luna in Cancro. L’attore sa immergersi con una profondità dolente nel cammino esistenziale del personaggio (Romano) che, dopo un unico successo teatrale conquistato anche grazie allo sprone avuto dall’amico Jep, abbandona la città dove era arrivato vari decenni prima colmo di speranze, per dirigersi pateticamente e realisticamente verso il paese natio in cui ricomincerà una nuova vita a lui più consona.

Per la cronaca, sia Sabrina Ferilli che Carlo Verdone hanno già ricevuto il Nastro d’Argento 2013 come migliori attori non protagonisti.

Il film, cui si accompagna una colonna sonora di tutto rispetto, si candida per vincere il premio Oscar ma, chissà se riuscirà a ottenere l’ambita statuetta. Il tema natale di Sorrentino incompleto di ora non ci consente di formulare ipotesi previsionali attendibili. Come si diceva, il film ha raccolto consensi entusiasti, ma anche dissensi indispettiti o addirittura feroci. Specie in Italia è stato etichettato come pretenzioso da alcuni critici cinematografici.

Senz’altro possiamo ammettere che non sia “perfetto”, anche se questa definizione per la nostra visione zodiacale-dialettica della realtà può essere considerata come un ulteriore valore aggiunto da sommare al prodotto creato dall’ingegno o dall’arte. La perfezione formale, il rispetto di canoni condivisi dalla generalità sono prerogativa della casa 6^ astrologica, settore in cui troviamo la condivisione delle masse per valori comuni. Per contro, l’imperfezione e l’incompiutezza sono invece patrimonio della casa 12^ astrologica, settore dove possiamo racchiudere uno dei tratti caratteristici del genio, spesso capito soltanto da pochi o del tutto incompreso.




Copyright (c) 2003 Astromagazine - la rivista di Astrologia in Linea - Tutti i diritti riservati