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ADDIO TATA

a cura di Luna
 
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“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”. Nelson Mandela ha sognato un’Africa diversa, ha sperato, lottato, sofferto, ma non si è mai arreso… e ha vinto.
Ha vinto su una visione ingiusta, ha vinto contro i pochi che schiavizzano i molti, ha vinto contro la stupidità e la presunzione di un mondo che si credeva superiore ad un altro, ha vinto contro il passare del tempo che invece di distruggerlo lo ha rinvigorito.

Pensando a Madiba, alla sua vita, alla sua morte, mi è venuta in mente una leggenda, o teoria che dir si voglia: La leggenda dei 36 giusti: "Si racconta che in qualsiasi momento della storia dell'umanità ci siano sempre 36 Giusti al mondo. Nessuno sa chi siano, nemmeno loro stessi, ma sanno riconoscere le sofferenze e se ne fanno carico, perché sono nati Giusti e non possono ammettere l'ingiustizia. E' per amor loro che Dio non distrugge il mondo."

Credo ci sia del vero in questa teoria. Pensiamo solo alla nostra epoca. Nomi come il Mahatma Gandhi o Martin Luther King, oppure Madre Teresa di Calcutta, e anche John Fitzgerald Kennedy, per non parlare di Padre Pio da Petralcina e Karol Wojtyla (solo per citare i più famosi). Per un personale senso di giustizia devo citare anche personaggi molto meno noti come il nostro connazionale Giorgio Perlasca, un emerito sconosciuto che da solo riuscì a salvare migliaia di ebrei in Polonia. Come lui Oskar Schindler un imprenditore tedesco che durante la dittatura di Hitler si rivelò molto poco nazista e così tanto sensibile da rischiare la propria vita per proteggere quella di moltissime persone la cui sola colpa era quella di appartenere alla più vituperata delle religioni.
Cosa spinge queste persone a fare quello che hanno fatto? Cosa li porta a sacrificare se stessi e chi li circonda per un bene più grande, quello di  molti, troppi uomini e donne che per un motivo o per un altro sono soggiogati da leggi, politiche, religioni,colore della pelle o visioni e filosofie diverse dalle loro?

Ho cercato quelle che hanno spinto Nelson Mandela a diventare il Padre del Sud Africa. Le ho cercate nella sua infanzia, perché è in quel periodo storico che avviene la prima formazione del nostro patrimonio caratteriale, ereditato in parte dai genitori e successivamente dalle leggi sociali e non, che caratterizzano il luogo dove si vivono i primi anni della propria vita.

Nelson Rolihlahla Mandela è nato a Mvezo, un villaggio vicino Mthatha, nel Transkei, in Sud Africa, il 18 luglio del 1918 alle 14.54. Il padre Gadla Henry Mphakanyiswa era il capo del villaggio. L’attribuzione della carica proveniva direttamente dal Re della Tribù Thembu, ma necessitava della ratifica del Governo. Dopo pochi anni, il padre venne destituito dall’importante incarico perché si ribellò al Governo stesso rispondendo ad una convocazione: “Non vengo,  mi sto impegnando a lottare”. Una testardaggine ed un coraggio che, successivamente, Nelson dimostrerà di aver ereditato da lui. A causa della sua dissidenza (e della sua fatica a riconoscere le leggi del governo e non quelle della propria tribù) gli verranno espropriati prima il titolo, poi i beni e le terre, mettendo così sul lastrico tutta la famiglia. La madre decide quindi di trasferirsi a Qunu a nord di Mvezo dove risiedevano amici e parenti che potevano aiutarli a vivere. Madiba trascorre il più bel periodo della propria vita con loro. Viene affidato alla famiglia reale Thembu che gli permetterà di vivere una vita dignitosa ed anche di poter intraprendere gli studi.

All’età di 9 anni Nelson vede morire il padre, il quale, già vessato dalle ritorsioni del governo dei bianchi, debilitato nel fisico e stanco nell’anima, contrae  una grave malattia polmonare che lo porta al decesso.
Il piccolo Mandela prende a questo punto due punti di riferimento ben precisi: il capo tribù e la chiesa cattolica. Ed è proprio la tribù che decide il suo futuro: dovrà diventare il Consigliere del Re. Mentre i suoi coetanei vengono mandati a lavorare nelle miniere d’oro del Reef, lui entra nel Clarkebury Boarding Institute, il più importante istituto per la formazione degli africani nel Thembuland. A 19 anni si iscrive al Weyland College di  Fort Beaufort, un rinomato istituto africano dove le regole per gli studenti erano a dir poco ferree, ma Nelson non ha problemi ad adattarvisi. Studia molto, impara molto, vive molto. E’ un ragazzo, vivace ed intelligente, ma ancora non ha chiaro fino in fondo la realtà della questione razziale. Non ci si può dimenticare che, tutto sommato, lui ha, fino a quel momento, vissuto una vita privilegiata rispetto agli altri uomini di colore del Sud Africa. Paradossalmente Mandela fa la prove generali della sua capacità di ribellarsi alle ingiustizie non contro il potere dei bianchi, ma contro le leggi della propria tribù.
Come da tradizione il Re impone a Nelson di sposarsi con una donna a lui sconosciuta. E’ prassi comune presso la sua gente, ma il ragazzo non lo accetta e fugge a Johannesburg con l’amico d’infanzia Justice, al quale era toccata la stessa sorte.
Senza danaro ed altri mezzi di sussistenza Madiba e Justice trovano lavoro presso le miniere del posto in qualità di impiegati e con quello stipendio si mantengono e riprendono gli studi di giurisprudenza presso l’Università di Fort Hale. Nelson inizia anche a fare praticantato presso alcuni studi legali.

In quel periodo conosce Walter Sisulo un importante esponente dell’ANC, che lo aiuta a diventare consapevole del terribile stato di quasi-schiavitù dei dipendenti neri ed indiani nelle miniere africane. Mandela si trasferisce per alcuni mesi nella casa dello stesso Sisulo e nella primavera del 1944, fonda con alcuni compagni di Università  (fra i quali Anton Lembede e Oliver Tambo) la Lega Giovanile dell’ ANC. Sarà la rivolta degli indiani nel 1946 a  rendere Nelson pienamente consapevole di vivere in uno stato dove la discriminazione razziale è imperante ed intollerabile. Gli indiani iniziarono uno sciopero contro lo stipendio da fame e  le condizioni di vita disumane. Combatterono per ben 2 anni contro lo stato e l’apartheid. Ci furono torture, massacri, ritorsioni pesantissime contro il popolo indiano. Tutto questo provocò nei componenti dell’ANC, di cui faceva parte Madiba, grande ammirazione e spirito di emulazione per lo spirito organizzativo e pragmatico di quei rivoltosi asiatici.

Da questo periodo in poi Mandela diventerà passo, dopo passo il leader della lotta contro l’Apartheid. Non si può dire che ci sia stata una sola “scintilla” ad accendere il sacro fuoco della ribellione e della lotta per l’uguaglianza e per la giustizia di Mandela. Presumo ci sia stata una somma di fattori che abbiano via, via contribuito all’innesco di una bomba ad orologeria che si  era già formata alla destituzione del padre da ricco capo villaggio a nullatenente costretto a rifugiarsi dai parenti per sopravvivere. Una pesante eredità quella del padre, peraltro ben sfruttata da Nelson. Un padre capo tribù che dà vita ad un figlio che diventerà il capo di un’intera nazione.

Il resto della sua vita è noto a tutti, la prigionia, l’esilio, il saper aspettare. Sembra che durante quei lunghi 27 (quasi 28) anni di detenzione sia stata una poesia di William Ernest Henley “Invictus” (Invincibile) a tenere compagnia al grande uomo. Un mantra che lui ripeteva in continuazione per darsi forza, per poter sopravvivere. Leggendola, l’ho trovata perfetta per ciò che ha vissuto il nostro eroe: “Dal profondo della notte che mi avvolge, buia come un pozzo che va da un polo all’altro, ringrazio qualunque Dio esista per l’indomabile anima mia. Nella feroce stretta delle circostanze non mi sono mai tirato indietro né ho gridato. Sotto i colpi d’ascia della sorte, il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo d’ira e di lacrime si profila il solo orrore delle ombre, e ancora la minaccia degli anni mi trova e mi troverà senza paura. Non importa quanto sia stretto il passaggio, quanto piena di castighi la vita, io sono il padrone del mio destino. Io sono il capitano della mia anima.”

Un aneddoto mi ha colpito fortemente riguardo la sua detenzione. I prigionieri non erano certo lasciati ammuffire in cella, ma venivano mandati a lavorare nelle cave di calce. Uno dei compagni di prigionia di Madiba disse che il risultato per avere lavorato in quelle cave, non era la cecità che si rischia subendo ogni giorno quel riflesso bianco. No, Mandela poteva ancora vedere, ma i dotti lacrimali danneggiati dalla polvere l’avevano lasciato incapace di piangere. Nel 1994 si sottopose a un intervento per sistemare le cose. Così poté tornare a piangere.

Come spesso mi è capitato analizzando i temi natali di grandi personaggi, trovo un Sole in Cancro. Da un certo punto di vista, è incredibile pensare che un segno così emotivo, umorale, passivo e femminile sia capace di tanto coraggio, di tanta abnegazione e di tanta costanza. Riflettiamo però sul discorso delle assi astrologiche: il Cancro è il lato ombra del Capricorno, e sotto, sotto, ne possiede le stesse caratteristiche. Certo, sono circostanze eccezionali a farle uscire dall’ombra, dal luogo segreto dove sono riposte, ma quando emergono sono incrollabili.
Non dimentichiamoci che il governatore del Cancro è la Luna ed il luminare rappresenta, nella sua eccezione più estesa, la Patria, il luogo di appartenenza, le radici emotive e sociali.
Il suo Sole è collocato in casa ottava (morte, trasformazione, potere, inconscio) posizione questa che indica lutti, nel suo caso un padre venuto a mancare anzitempo, ma ci parla anche di tutti i beni e le proprietà che gli vennero sottratti dal potere bianco. Un aspetto che ci rivela anche la difficoltà di Nelson a trovarsi, a capirsi, a far emergere la sua vera personalità.

Mandela non è mai stato particolarmente violento, il suo Marte Bilancia glielo impedisce, ma sicuramente un’ostinazione che rasenta il fanatismo lo ha posseduto per tutta la vita, ma in particolar modo durante la detenzione e, quando finalmente all’età di 70 anni è stato rilasciato ed ha potuto liberamente lottare per l’uguaglianza e la giustizia. Dichiarerà in seguito: “Quando sono uscito di prigione, questa era la mia missione: liberare sia gli oppressi che l’oppressore. Qualcuno dice che lo scopo è stato raggiunto”. Era un attivista e il fatto che Marte sia in casa 11, ci racconta che lui poteva solo lottare per il sociale, per l’interesse di tutti.  Il periodo di detenzione mi ha fatto sorridere (non mi si fraintenda). Quasi 28 anni di galera. 28 è il numero di anni necessario a Saturno per poter fare il giro completo dello zodiaco e per poter tornare su se stesso. La prigionia di Mandela è durata un intero ciclo di Saturno. Quando fu imprigionato Saturno transitava in Aquario e formava quadratura alla sua Luna Scorpione in 12^ casa (luoghi chiusi, ospedali, prigioni, solitudine, isolamento) e si opponeva al suo Mercurio in Leone in casa 9^ (Il lontano, i grandi viaggi, la vocazione, i progetti, la filosofia di vita). Saturno lo ha imprigionato, Saturno lo ha liberato. Guardo quel Mercurio Leone congiunto a Saturno e vedo il pensiero di un Re, un pensiero vincente, un pensiero che ha bisogno di tempo per potersi davvero esprimere. Serio, saggio, funzionale. Questo è un esempio della grandezza di questa mente e di quest’anima: “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l'amore, per il cuore umano, è più naturale dell'odio”.

Vogliamo parlare della sua Luna Scorpione? Così carismatica, profonda, intelligente, sensibile ma combattiva. Un’anima pronta ad accettare qualsiasi vessazione, sapendo però che prima o poi verrà anche il tempo della giustizia, dell’accettazione, del riconoscimento. Un’anima che anche se chiusa in gabbia (12^ casa) sa arricchirsi nutrendosi del tempo, perfezionando se stessa.
Mandela non si è mai vendicato, non ha mai nutrito emozioni e sentimenti egoici. Ha solo ed esclusivamente pensato al proprio popolo, a come liberarlo, a come istruirlo, a come farlo diventare migliore.
Tempo fa ho visto Invictus, dal titolo della poesia preferita di Mandela (quella sopracitata) .
Un film che raccontava come, una volta diventato Presidente del Sud Africa, ebbe la geniale idea di candidare la sua squadra nazionale ai Campionati Mondiali di Rugby che in quell’anno (1995) si tenevano proprio in Sudafrica. Mandela si pose l'obiettivo di riappacificare la popolazione del paese, ancora divisa dall'odio fra i neri e i bianchi afrikaner. Simbolo di questa spaccatura era la nazionale di rugby degli Springboks, emblema dell'orgoglio afrikaner e detestata dai neri, che proprio in seguito alla caduta del regime dell'apartheid viene riammessa nelle competizioni internazionali dopo un boicottaggio di circa un decennio. Mandela (interpretato da un magistrale Morgan Freeman) si interessa delle sorti della squadra, con la speranza che una eventuale vittoria contribuisca a rafforzare l'orgoglio nazionale e lo spirito di unità del paese. Quella squadra, capitanata da François Pienaar (Matt Damon) appartenente all’élite bianca, era, sportivamente parlando, piuttosto scarsa e sgangherata, ma una volta supportata dallo spirito che Nelson riuscì a infondere in quei giocatori (sia bianchi che di colore) incredibilmente riuscì a vincere il campionato. Mandela riuscì a riunire il popolo africano in un orgoglio sia sportivo che nazionale. Per la prima volta i neri riuscirono ad essere complici con quegli odiati bianchi che per centinaia di anni li avevano oppressi e schiavizzati.

Guardiamo la sua VII casa. La casa della relazione e delle società ma più in generale la casa in cui l’Io incontra il Tu. E’ una settima casa potente la sua, dato che troviamo all’interno della stessa Plutone, Giove e Venere. Chi ha Giove in questa casa considera la relazione un completamento necessario per la propria realizzazione personale. Si tende a trasmettere la proprio filosofia di vita al partner oppure, viceversa, ad adeguarsi a quella dello stesso. Ciò dipende dalla forza personale espressa dal cielo natale e, nel caso di Madiba, sappiamo come è andata. Tutte le sue donne lo hanno seguito senza badare alle conseguenze. 
Un Plutone in VII può essere tradotto anche con “sposerai il tuo nemico”. Nel corso della detenzione Nelson disse “Se vuoi far pace con il tuo nemico devi lavorarci insieme e solo allora diventerà tuo partner”. Quale migliore realizzazione per Plutone in VII ed una Venere congiunta al Discendente?
Probabilmente quella Venere congiunta al DS è anche complice dei 3 matrimoni di Nelson. Se consideriamo che 28 anni li dobbiamo sottrarre alla durata della sua vita affettivo-sentimentale, direi che è un bel record. Ma non siamo qui a parlare della parte privata della sua esistenza, di cui ci importa il giusto, stiamo parlando di un grande uomo, di un grande padre, di una guida di un intero popolo.

Non mi dimentico di parlare del suo Nodo Lunare Nord in Sagittario, anch’esso espresso in casa 12^.  Visto che il Nodo Nord ci indica la direzione da intraprendere in questa vita, direi che Nelson Mandela non ha sbagliato percorso. Ha illuminato la strada della sua gente, del suo popolo. Ha fatto da faro, da guida. Ha fornito un esempio su cui riflettere. Nel linguaggio Xhosa (lingua della tribù di Madiba) Rolihlahla (il suo vero nome africano) significa “Porta guai”. Fu il nonno a scegliere quel nome. Direi che ha perfettamente inquadrato il nipote. Ma quei guai sono stati tali solo per un modo di pensare, di agire e di governare lontano anni luce dalla giustizia, dall’umanità, dalla capacità di accettare il diverso da noi.

E’ una difficile eredità quella lasciata da Nelson Mandela, chiamato Madiba (titolo onorifico spettante agli anziani della tribù) e Tata (padre) dal suo popolo.
Guardo ciò che successo in India, dopo che Gandhi riuscì a liberarla dalla dominazione inglese e mi cascano le braccia vedendo quanto si sia allontanata dal sogno del Mahatma.
Sarà capace il Sudafrica di seguire fino in fondo ciò per cui lui ha così tenacemente lottato?
Forse ci vorrà ancora tanto tempo, ma è stato proprio Madiba ad insegnarci che si può anche aspettare (chiusi in una cella di 2 metri per due) moltissimi anni la realizzazione di un sogno, purché nel frattempo non imbruttiamo la nostra anima. Grazie Tata.




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