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ASTROMAGAZINE - RUBRICHE - Nel cuore del simbolo

SPIRITUALITÀ E RELIGIONI

a cura di Giovanni Pelosini
 

Non c’è dubbio che questa generazione stia vivendo un’epocale trasformazione nel modo in cui vengono percepiti l’etica, il senso del sacro, l’appartenenza etnica, quella religiosa, e l’intera geopolitica mondiale.

L’Europa occidentale ha vissuto per settanta anni senza guerre significative: solo gli anziani hanno memoria diretta delle devastazioni e del dolore provocati da un conflitto armato; solo gli anziani ricordano l’orrore dei bombardamenti, dei rastrellamenti, delle fucilazioni, delle deportazioni.
In questo lungo periodo di pace abbiamo forse dimenticato tutto quell’orrore? Di certo l’eco di guerre lontane non ha turbato più di tanto la nostra opulenta tranquillità. Eppure, non molti anni fa, l’odio mortale fra gruppi etnici e religiosi nei Balcani ha richiamato alla memoria il ricordo delle guerre di religione combattute in Europa fra il XVI e il XVIII secolo.

L’Occidente, che sembrava ormai quasi immune dal virus dell’odio razzista e della guerra, reagisce scomposto e diviso nel fronteggiare gli attacchi terroristici di chi ha scelto proprio la nostra civiltà come nemico da abbattere, insieme alla sicurezza, il benessere e la pace che erano stati conquistati così a duro prezzo.
Siamo di nuovo di fronte a uno scontro di civiltà e a una barbara guerra di religione, come se gli ultimi secoli fossero passati invano?
Qualcuno dichiara, senza mezzi termini, che questa è una vera e propria guerra, seppur anomala nella forma, con gli schieramenti confusi dai complessi mosaici etnico-religiosi mediorientali, e non trasparenti a causa degli interessi internazionali.

Al di là di questi interessi economici e geopolitici, che sono i veri artefici di ogni conflitto, si prospetta ancora una volta una guerra di religione?  

Mi piace distinguere fra i termini “religione” e “spiritualità”, che sono entrambi attinenti alla IX casa astrologica, insieme alla filosofia e al senso del sacro. Nel campo dello spirito non può esserci spazio per l’odio, né l’umanità può essere divisa in “buoni” e “cattivi”, o classificata in “noi” e “loro”. Del resto, non posso che supporre che qualsiasi religione debba proporre un sistema organico per sviluppare la spiritualità personale e, per quanto possibile, condividerla.
Se è così, se ogni religione propugna princìpi spirituali, l’idea stessa di una religione che agisca contro un’altra è già di per sé un concetto aberrante. Ma la storia ci insegna che sono state innumerevoli le occasioni nelle quali le religioni sono state prese come pretesto per ghettizzare, schiavizzare, torturare e uccidere altri esseri umani.

Quale errore, allora, ha fatto l’umanità? Quale errore sta facendo?

Ogni cultura, fin dalla preistoria, è stata portatrice di valori, di etica, di umanità. Ogni civiltà ha trovato modi diversi di esprimere il bisogno innato dell’uomo di confrontarsi con qualcosa di superiore, di sacro. Alcuni popoli e individui hanno cercato e trovato il sacro nell’intimo rapporto con la natura e con la vita; altri si sono rivolti al metafisico e al trascendente; altri ancora hanno avuto fede nella propria intima coscienza. I nativi Lakota delle pianure del nord America, per esempio, avevano un senso straordinariamente elevato del sacro, idealizzando Wakan Tanka: il Grande Spirito impersonale senza forma che permea tutto l’universo e assume tutte le sue possibili forme.

Da questo senso antico di spiritualità sono nate tutte le religioni moderne, sempre più strutturate e organizzate.

Ma il senso del sacro è innato nell’uomo, si sviluppa naturalmente e spontaneamente, e non sempre richiede strutture, organizzazioni, codici e regole, che pure possono essere utili dal punto di vista sociale.
Persino gli atei hanno spesso sviluppato un senso laico della sacralità della vita e dei valori sociali condivisi, giacché esiste un’etica innata nella nostra specie.

Fin qui tutto bene. Dove sta l’errore, allora?

La parola “simbolo” deriva dall’antico greco symballein, che significava “mettere insieme”, “unire”, ovvero riunire ciò che era stato separato. In origine si spezzava un coccio in due, e le due parti venivano affidate a persone diverse appartenenti allo stesso gruppo iniziatico, ma che non si conoscevano: quando i due pezzi del coccio combaciavano, le persone si riconoscevano come fratelli. Metaforicamente il simbolo univa, metteva insieme. E se poteva far riconoscere e unire due persone, poteva anche unire il corpo e la mente, la materia e la psiche, l’anima e la sua origine divina.

Il principio non fu estraneo alle religioni, che fecero fin dall’inizio grande uso di simboli, ma nella Roma repubblicana chi officiava le cerimonie sacre era il Pontefice (Pontifex), letteralmente “Colui che costruisce il ponte”, cioè colui che unisce le due sponde del fiume. La carica passò poi alla religione cristiana con la stessa simbolica funzione di unire, stavolta la terra con il cielo, il basso con l’alto, l’umano con il divino. Del resto, la stessa parola “religione” deriva da re-ligo, cioè “metto insieme”, lego nuovamente, riunisco ciò che era stato separato, riconosco la connessione fra spirito e materia, fra terra e cielo, fra umano e divino, nell’unica realtà che esiste. 

Quindi quello di unire è sempre stato un atto sacro, così come quello di dividere è sempre stato un atto diabolico. Diavolo deriva etimologicamente da Diaballein, che significava “mettersi in mezzo”, “dividere”, gettare ostacoli fra l’uno e l’altro, spezzare ponti, piuttosto che edificarli, creare barriere invece di eliminarle.

La “divisione”: ecco l’errore umano alla base di ogni contrasto, ecco l’azione diabolica che è riuscita sottilmente a insinuarsi in ogni settore sociale e politico, e purtroppo anche nei contesti religiosi, che pure erano partiti dalle migliori basi spirituali.

Il rischio insito in ogni gruppo è quello di perdere il senso dell’oggettività e di scavare una trincea fra “quelli che stanno di qua” e “quelli che stanno di là”.
In questi casi non ci sono dubbi su chi abbia ragione e chi torto fra “noi” e gli “altri”. E gli stessi simboli che sono serviti prima a unirci, ora sono usati per distinguerci, e quindi dividerci dagli “altri”, che ci appaiono diversi, stranieri, pericolosi nemici. Non è una deriva inevitabile, ma è un rischio reale, tanto più concreto, quanto più il senso profondo di quei simboli sacri si è perduto nel tempo.

E così, mentre in Medio Oriente si assiste alla strumentalizzazione delle masse e si profanano i simboli religiosi per dominare, conquistare, violentare e uccidere; anche in Occidente vediamo i sintomi del decadimento e del tramonto della civiltà ormai corrotta da un arido e avido consumismo in cui l’unico metro di misura sembra essere il profitto. In entrambi i casi si agisce ormai contro l’ambiente (che è la nostra casa), le risorse disponibili, la qualità della vita, i valori umani: e tutto questo è sia causa che conseguenza di ciò che sta accadendo, in una spirale viziosa che solo la coscienza potrebbe ancora fermare.

Parafrasando Oscar Wilde, mi viene da pensare che l’uomo moderno sia passato dalla barbarie alla decadenza senza passare dalla civiltà. 

Come non accorgersi che l’umanità sta perdendo gran parte del suo originale  e profondo senso del sacro? Come non vedere il germe del materialismo infettare sia i profani che i religiosi? Come non riconoscere nei fatti recenti il progressivo disgregarsi di valori umani universali come la tolleranza, la solidarietà, la condivisione, il rispetto, l’altruismo, l’amore?

Il consumismo è imperante, anche laddove non appare tale; il materialismo più empio e cinico governa il mondo; il dogmatismo non trova rivali se non in altri dogmatismi. E gran parte dell’umanità sta scivolando in una dimensione senza autentica spiritualità, senza etica e senza anima.
Il “diavolo” si è insinuato nel “simbolo”, e lo usa per la “divisione”, anziché per la “condivisione”. I simboli, compresi quelli più sacri e quelli propri delle religioni, così si impoveriscono di contenuti, si svuotano di senso, e infine perdono la capacità di agire evolutivamente sulla coscienza.

Le polemiche nella nostra piccola Italia sul presepe nelle scuole sarebbero davvero ridicole, se non fossero un (piccolo) esempio di reciproca intolleranza in cui entrambe le fazioni riescono paradossalmente a non avere entrambe ragione.

Un autentico senso del sacro e della spiritualità, nonché un autentico senso della laicità dovrebbero far pensare e agire in modo diverso e più universale.
Don Milani, nel 1957, toglieva il crocifisso dalle aule prima di iniziare la lezione  nell’isolata scuola di montagna in cui era stato confinato, e di certo non lo faceva polemicamente, né senza rispetto. Lui, autentico religioso, dava lezione di autentica laicità.

Dopo i sanguinosi attentati a Parigi, sono ovunque risuonate le parole di Imagine di John Lennon; e si dice che il Dalai Lama abbia fatto un’affermazione che altri “religiosi” certamente non farebbero mai: «Ci sono giorni in cui penso che sarebbe meglio se non ci fossero le religioni». Una frase del genere può essere facilmente fraintesa, specialmente nell’epoca delle (diaboliche) confusioni, della superficialità delle esternazioni, della comunicazione di massa e dell’ignoranza diffusa.
Per questo il Dalai Lama, già capo religioso di uno degli ultimi stati teocratici del mondo, e oggi erede dei più profondi e antichi valori umani che diedero origine a tutte le religioni, pare che abbia così chiarito il suo pensiero:

«La conoscenza e la pratica della religione sono state utili, questo è vero per tutte le fedi. Oggi però non bastano più, spesso portano al fanatismo e all’intolleranza e in nome della religione si sono fatte e si fanno guerre. Nel XXI secolo abbiamo bisogno di una nuova etica che trascenda la religione. La nostra elementare spiritualità, la predisposizione verso l’amore, l’affetto e la gentilezza che tutti abbiamo dentro di noi a prescindere dalle nostre convinzioni sono molto più importanti della fede organizzata. A mio avviso, le persone possono fare a meno della religione, ma non possono stare senza i valori interiori e senza etica».   




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