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BAD REBOOT. LA RICERCA DELL'EROE

a cura di Lorenzo Pelosini
 

L’argomento di punta, se non il solo argomento, di questo mese in ambito cinematografico è senza dubbio l’arrivo nelle sale di quello che è stato appena proclamato ufficialmente il più grande successo finanziario nella storia del cinema. Superando cameroniani giganti quali Titanic e Avatar, Star WarsIl Risveglio della Forza [Star WarsThe Force Awakens] ha sbaragliato il botteghino globale e ha inondato il mondo del cinema e della cultura popolare nerd con nuova linfa. Più di un anno è passato dal primo trailer e più di due dall’acquisizione da parte della Disney del franchise più remunerativo della storia di Hollywood. Da allora, tutto il mondo ha iniziato a speculare sulla natura e sulla legittimità di un settimo episodio di una saga a cui Lucas aveva messo l’ultima significativa parola nell’ormai lontano 2005. Le domande erano molte. Sarebbe la Disney stata in grado di riportare la saga all’antico splendore che il suo stesso creatore aveva contribuito a tradire? Quale ignota storia di quell’universo meritava ancora di essere raccontata? Il ritorno “nella Galassia lontana lontana” era davvero possibile?

Il Risveglio della Forza e il suo regista e co-sceneggiatore, J.J. Abrams portavano su di sé un’immensa responsabilità. Ormai da decenni, Star Wars è ben più di un film: è una cultura, persino un culto e Luke Skywalker è il suo profeta. Lo smuovere il fondale di una storia ormai divenuta elemento indelebile dell’immaginario collettivo comportava la più grande delle promesse che il Cinema può proporre: il ritorno all’infanzia. L’attesa è cresciuta giorno dopo giorno. Il secondo trailer, presentato alla Star Wars Celebration di Los Angeles, dove chi vi scrive ha avuto l’onore di partecipare, ha mandato in crash la piattaforma di Youtube. Nel frattempo, fan di tutte le età sono impazziti e hanno sollevato le loro spade laser alle stelle alla frase del redivivo Han Solo “Chewie, we are home”. Tutti hanno preso posto per celebrare questo evento storico. Le più importanti riviste e talk show hanno iniziato a drizzare le orecchie ad ogni fruscio proveniente da casa Disney. Anche il grande Mel Brooks (89 anni) in pensione da due decadi ha annunciato che girerà il seguito dello storica parodia Balle Spaziali [Space Balls], dal titolo Balle SpazialiAlla Ricerca di Altri Soldi. Perfino il nostro più celebre fumettista nazionale, Leo Ortolani, ha schierato i suoi “Cavalieri dell’Oroscopo” per il capitolo finale della sua celebre rilettura umoristica Star Rats.
Malgrado la difficoltà dell’operazione, l’oroscopo sembrava davvero essersi schierato in favore di questo grande ritorno. Da molti anni, Plutone in Capricorno, sintomo di un potere consolidato e conservatore, fornisce ai grandi studios cinematografici di Hollywood la predisposizione (in termini sia di potere che di denaro) necessaria per riproporre i vecchi successi degli anni ’80 in forma di remake, reboot e seguiti: nuove versioni adatte al pubblico odierno. Quello che il pubblico vuole adesso è la grande vecchia avventura, con una spolverata di nuovo in superficie, e Star Wars è la grande vecchia avventura per antonomasia. Una miniera d’oro e nostalgia pronta per essere riaperta e sfruttata per riportare gli antichi eroi alla luce.

Ma per quanto sia i fan sia le stelle sembrassero arridere a Guerre Stellari, la più grande sfida cinematografica mai lanciata si mostra ora come la più grande occasione mai sprecata, al fianco del famigerato Episodio I (1999) e dell’aspramente criticata trilogia dello Hobbit (2012-2014). Perché se il richiamo del vecchio più risvegliare forze sopite e rivoluzionarie, l’energia innovativa e impulsiva rappresentata da Urano nell’Ariete, e quindi in conflittuale quadratura con il Capricorno, viene qui soppressa dall’amore per il vecchio anziché alimentata da esso.

Per capire con più chiarezza cosa è andato storto, partiamo dalla trama (se non avete ancora visto il film, non proseguite oltre). Dopo aver lasciato i nostri amati eroi d’infanzia Luke, Han e Leia a festeggiare la sconfitta dell’Impero e la redenzione del cavaliere caduto Darth Vader, ci ritroviamo nella buona vecchia lontana galassia trent’anni più tardi. Questo impegnativo background comporta l’esigenza di vedere quello che non ci è mai stato dato di assaporare: un mondo in ricostruzione, un grandioso e cautamente ottimista dopoguerra galattico dove la luce della democrazia (incarnata da Leia) e dell’antica saggezza dei Jedi (incarnata dal fratello Luke) si profila all’orizzonte come una nuova alba. Ma anziché mostrare gli effetti della vittoria della luce sull’oscurità, la trama ci getta subito in un universo altrettanto se non più caotico di quello dominato dall’Impero Galattico della trilogia classica. Il Primo Ordine, una sorta di gruppo estremista con più di un rimando all’odierno ISIS, sembra aver sostituito l’Impero, mantenendo peraltro quasi inalterato il design di navi e armature e costruendo una terza Morte Nera, stavolta su scala ancor maggiore delle due precedenti. Con un solo rapido colpo, tale arma distrugge tutti i pianeti su cui aveva sede la Nuova Repubblica, senza neanche darci il tempo di osservarla nel suo splendore. Questo azzera di fatto ogni progresso compiuto nell’arco dei tre film precedenti e riporta il Lato Oscuro in vantaggio a tempo di record. A capo delle milizie del Primo Ordine vi è poi un caparbio e spietato cavaliere nero in maschera e respiratore, Kylo Ren, il quale, sotto la guida di un misterioso leader chiamato Snoke, cerca di mettere le mani sulle informazioni contenute in un droide. Tale robot finisce nelle mani di Rey, una giovane rivenditrice di rottami che vive in un pianeta desertico. Assieme allo Stormtrooper redento Finn, Rey si metterà in viaggio per consegnare alla Resistenza (nata dalla vecchia Ribellione) le informazioni che pare riguardino il nascondiglio di Luke. Saranno aiutati da Han Solo, qui usato in veste di vecchio mentore (oltre che della solita simpatica canaglia), e dal fedele Chewie. Nel corso del viaggio, la giovane eroina Rey entrerà in contatto con la vecchia spada laser degli Skywalker e con la Forza stessa. Alla fine, gli eroi si confronteranno col malvagio cavaliere nero, distruggeranno l’arma planetaria e assisteranno (allerta spoiler!) alla morte del vecchio mentore. Se la descrizione vi suona familiare, non vi allarmate.

Infatti, come già osservato da molti, la trama è un palese ricalco di Una Nuova Speranza [A New Hope], primo capitolo della trilogia originale. Certo, gli elementi archetipici del viaggio dell’eroe sono quasi inevitabili in una space opera quale Star Wars. Abbiamo l’impulsiva protagonista dominata da un’energia arietina, il vecchio e saggio mentore capricorniano, e l’oscuro e scorpionico antagonista mosso dai suoi più profondi istinti. Ma, ahimè, non sono solo gli elementi di base ad essere mantenuti. Anche il visivo non si avventura in nuovi territori, seguito dalla costruzione delle scene e perfino dal Maestro John Williams, il quale riprende i più celebri brani della vecchia trilogia con la sola aggiunta di un timido nuovo tema musicale per la protagonista. Scena dopo scena, il film finisce per odorare più di stereotipo che di archetipo.

L’esempio lampante di questa tendenza è il personaggio del nuovo villain Kylo Ren. Da sempre, Darth Vader rappresenta il fulcro stesso della saga di Star Wars e del suo fascino. La sua discesa agli Inferi e la sua redenzione, la sua temibile spietatezza e il suo ultimo bagliore di umanità sono l’anima della grande storia narrata nei sei film precedenti. Ora che il suo arco è concluso, però, creare una nuova trilogia significava creare un nuovo antagonista. Ma come rivaleggiare con il villain più amato della storia del cinema? Creare un personaggio con una sua mitologia sarebbe stato un atto troppo coraggioso e quasi impossibile, così come lo sarebbe stato far evolvere la mitologia della saga in generale. Kylo, infatti, non è un personaggio scaturito dall’immaginazione o da una naturale evoluzione quanto da un complesso di inferiorità degli autori verso la trilogia classica. Kylo è di fatto un ammiratore, un “fanboy” adolescente che imita mosse e look di Darth Vader come un adolescente dark farebbe con la sua rock star preferita. Così come i nuovi autori, Kylo non è che un ragazzo, il quale è stato catturato da un potere più grande di lui (che sia la Disney o il Lato Oscuro, poco cambia) e obbligato a confrontarsi con un gigante del passato che non può essere superato ma solo imitato.

Così come il suo antagonista, infatti, il film stesso è un godibilissimo ammicco dei fan alla saga classica, ma, ahimè, poco di più. Ad eccezione del personaggio di Rey, che tiene in piedi forza interiore e amabile fragilità al contempo, nessun altro personaggio possiede profondità o progressione di alcun genere. Ognuno di loro è solo una pedina bidimensionale, una riproposizione forzata di una mitologia creata decadi orsono. In conclusione, Il Risveglio della Forza non è affatto un seguito, ma solo l’ennesimo reboot di una grande opera del passato, riesumato da quel Post-Modernismo che nacque nel 1977 proprio col primo Star Wars. Al contrario di esso, il nuovo Star Wars non segna alcun inizio, ma sancisce ufficialmente l’esistenza di un movimento odierno che potremmo definire Post-Post-Modernismo. Un periodo di spasmodica riproposizione dei classici in forma di reboot e remake, dove, anziché tornare alle origini del mito per trovare la forza di andare avanti, si torna alle origini per riciclare quella stessa mitologia, sfruttando il potere della nostalgia per una passata grandezza che non si trova la forza di eguagliare ma solo di replicare. Il Risveglio della Forza era la grande occasione di Hollywood per tornare ad un antico splendore, il punto di svolta per riavviare un vecchio motore creativo ormai quasi spento. Ma la Disney ha trasformato Star Wars in quello che stava già diventando: un’infinita fabbrica di merchandise e giocattoli per tutte le età, un prodotto creato al solo scopo di vendere, ma dove la storia e l’epos non sono più necessari. Il film di Abrams non è un passaggio di testimone e non è l’inizio di una nuova speranza in una nuova era. È una vecchia macchina riverniciata in tinte cromate per vendere l’imitazione di un prodotto originale a una nuova generazione, è un badreboot, parafrasando il nome della casa di produzione di Abrams (Bad Robot), che già si era occupata del remake di Star Trek.

Quello che possiamo imparare da questo mancato ritorno è che forse resuscitare a vita terrena eroi e saghe già consegnate al regno della divina immortalità narrativa è un atto innaturale che conduce a conseguenze disastrose. Quello di cui abbiamo bisogno non è un nuovo Star Wars ma un film che irrompa nel panorama odierno con la stessa davidiana forza con cui Star Wars si impose all’attenzione di Hollywood negli anni ’70. Poco male, poi, se il nuovo eroe sorge dalle ceneri del vecchio, così come nel sorprendente e innovativo Creed di Ryan Coogler (seguito e reboot della saga di Rocky), l’importante è che si abbia il coraggio di distruggere il vecchio per far spazio al nuovo. Come osservò Christopher  Nolan nel 2008, quando Davide diviene il nuovo Golia e quando l’eroe “vive tanto a lungo da diventare il cattivo”, è arrivato il tempo per un nuovo inaspettato eroe di apparire all’orizzonte e affrontare il nuovo gigante armato di fionda, così come Luke Skywalker distrusse la titanica Morte Nera con una sola piccola navetta spaziale e la fede nella Forza quando nessuno si sarebbe aspettato nulla né da lui nel dal film di cui era l’eroe.

Forse il “nuovo” Star Wars non ha segnato il Risveglio della Forza che speravamo, ma finché continueremo a credere che un colpo preciso possa distruggere una stazione spaziale e finché crederemo che il nuovo Davide possa avere la meglio contro un vecchio Golia, potremo ancora attendere e contribuire all’avvento di un nuovo salvatore e di un nuovo risveglio di quella Forza che tutti noi amanti del cinema veneriamo, quella stessa Forza che trasforma ogni Davide in un eroe e ogni adulto in un bambino.




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