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VINCENT VAN GOGH. LUCE E TORMENTO

a cura di Elena Cartotto
 
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Nel 2019, anno che per disposizione celeste del munifico Giove celebra i segni di Fuoco, esce nelle sale, quasi che anche la cinematografia debba, alla fine, soggiacere ai diktat delle stelle, “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”  film di Julian Schnabel interpretato da un magistrale Willem Dafoe. 

“Che cosa dipingi, Vincent?”, cita un passaggio del film, “Dipingo la luce”. Solo un segno di Fuoco avrebbe potuto rispondere cosi e, forse, solo un Ariete, tra i segni di Fuoco, sarebbe stato capace di realizzare con la forza primordiale del genio primaverile paragonabile al sole nascente, dipinti come “Campo di grano all’alba” o “La vigna rossa” che poi il rosso è proprio il colore di Marte.

Vincent Van Gogh, nato il 30 marzo 1853 alle 11:00 a Zundert, nei Paesi Bassi, non solo era Ariete, segno dominato da Marte, con un Sole svettante in casa 10^  governatore della casa 2^ nel Leone, settore che indica sia l’immagine che la visione, di cui quella pittorica è un aspetto. Van Gogh era Ariete due volte perché aveva anche un Marte dominante al Medio Cielo. Curioso il modo in cui l’Ariete nella sua simbologia di testa, parte del corpo che questo segno governa, si è espresso nella vita di Vincent Van Gogh: il celebre pittore usava portare, quando dipingeva la notte, un cappello di paglia con delle candele fissate sulla tesa per illuminare le tele. E della testa faceva parte anche quel pezzo di orecchio mozzato con violenza e che ha originato nel tempo le più diverse interpretazioni.

La violenza tipicamente arietina è un fenomeno ricorrente nella vita reale e artistica del pittore, tanto da comprendere anche la misteriosa morte. È, però, anche una caratteristica temperamentale che gli viene attribuita quasi in automatico da chi, a vario titolo, l’ha conosciuto. Si pensi all’articolo di Albert Aurier giornalista de Le Moderniste che con la sua critica “sdoganò”, si direbbe oggi, l’arte di Van Gogh enfatizzandone la forza, l’eccesso, l’insolenza, la foga del tutto singolari e tipici di una personalità audace, brutale, maschia, arrivò a dire, seppur, a tratti, ingenuamente delicata.

Non si può infatti astrologicamente disconoscere la tenerezza, l’afflato mistico, la sensibilità quasi sovrannaturale della sua Venere in Pesci congiunta a Marte e co-dominante di una personalità evidentemente fuori da ogni canone che riusciva a tenere assieme, seppur nel suo folle equilibrio, miriadi di contraddizioni. L’istinto e l’ascesi, la lucidità di una visione sorprendentemente penetrante e la vertigine spirituale di chi si lascia cadere nel richiamo mistico delle cose superando quella stessa natura che tenta in tutti i modi di afferrare coi colori e con gli occhi. "Tu credi che Dio ti abbia dato il dono della pittura per vivere in miseria?" chiede un prete a Van Gogh nel film. Ed egli prontamente risponde: “Non l'ho mai vista in questo modo ... Forse Dio mi fa dipingere per quelli che verranno".

Nella congiunzione Marte e Venere in Pesci al Medio Cielo, punto del tema natale che indica la direzione della vita, e nel Nettuno domiciliato proprio nel suo segno, i Pesci, in una casa a lui congeniale, la 9^, sembra davvero di vedere quell’intreccio anomalo tipico delle esistenze “Pesci-12^ casa”: il caos, le prove, i limiti, le costrizioni, l’isolamento, le malattie, la diversità, la dedizione incondizionata alle proprie visioni, la fede, la follia, la disperazione, l’arte, il genio, le voci dell’oltre e quelle nella testa.

Eccolo qui il Van Gogh figlio di un Pastore protestante che voleva fare a sua volta il Pastore, convertire le anime, soccorrere i bisognosi come, di fatto, fece a Wasmes nel Borinage una regione carbonifera del Belgio: qui i lavoratori vivevano in condizioni molto misere e Van Gogh li aiutò, fece conoscere loro la Bibbia, curò i malati e per star loro più vicino e condividerne i disagi dormiva come loro per terra su giacigli di paglia. Era talmente radicale nel suo vissuto evangelico che venne cacciato per eccesso di zelo dagli evangelisti stessi che lo avevano cooptato per questo ruolo.

Di matrice pescina con ridondanze 11^ casa fu il suo senso del “collettivo” che lo spingeva a sognare di fondare nuove comunità artistiche, ma della stessa tempra pescina furono anche i suoi amori disastrati, impossibili, con donne fuori dalla regole, come quello con la prostituta già madre di una bimba e di cui s’innamorò cercando di redimerla. Il problema è che redenta la signora, la coppia rimase senza soldi e così lei tornò a fare il mestiere più antico del mondo.

Piene di pathos furono anche le sue amicizie come vuole lo stellium, comprensivo di Saturno, in 11^ casa: quella con Paul Gauguin, ad esempio, artista nettamente più concettuale di Van Gogh nelle sue visioni, come dimostrano i lunghi colloqui tra i due nella casa gialla ai tempi di Arles. Del resto Van Gogh privo com’era di elementi d’Aria nel suo tema non avrebbe mai potuto seguire l’amico nell’astrazione. “Perché devi sempre dipingere la natura?” chiede Gauguin nel film, e Van Gogh risponde: “Mi sento perduto se non ho niente da osservare. Ho bisogno di qualcosa da vedere, c’è così tanto da vedere … L’essenza della natura è la bellezza. Quando guardo la natura, vedo chiaramente quel legame che unisce tutti noi”. Qui emerge chiaramente la valenza Toro del suo tema, segno domicilio di X per la scuola morpurghiana, ossia del pianeta che è personificazione simbolica della natura stessa. Van Gogh aveva ben tre pianeti nel Toro in 11^ casa, quasi a rendere ridondante quel suo bisogno di vedere per dipingere o di dipingere per vedere che già suggeriva il governo del Sole sulla sua 2^ casa-immagine.

Il segno dei Pesci così importante evidenzia un’acquatica natura nettuniana-lunare sotto il fuoco arietino. E’ questa natura che gli fa dire che la follia è una benedizione per l’arte e che lo porta a dipingere la celebre “Notte stellata” proprio dalla finestra di un ospedale psichiatrico. La Luna del pittore è anch’essa marcatamente nettuniana, dato che è in Sagittario, congiunta a Giove e quadrata a Marte/Venere in Pesci. La sua posizione in casa 6^ spiega egregiamente come il nucleo di una sensibilità estrema verso il diverso e la fragilità si sia poi espresso come attenzione per gli ultimi, gli umili, per “I mangiatori di patate” titolo per altro di un suo celebre quadro. E da qui si vedono bene il conflitti “borghesi” con la sua famiglia d’origine che tentò di inquadrarlo negli studi, in una carriera presso una galleria d’arte, in una vita quotidiana più normale senza per altro riuscirvi.

Benché la sua conflittuale casa 6^ lo portasse a fuggire i percorsi standardizzati e previsti per lui da altri, quella congiunzione Luna-Giove recuperata da uno splendido trigono a Mercurio in 10^ espresse in modo fenomenale la quantità impressionante delle sue letture, di matrice religiosa, artistica, culturale in genere. Per non parlare dei suoi tanti viaggi, del rapporto con l’estero, del fatto che oltre alla sua lingua madre conoscesse il francese, l’inglese e il tedesco, senza considerare poi la passione per l’arte e le stampe giapponesi.

Il suo splendido Mercurio in Ariete in 10^ congiunto a Plutone a messo in trono dal trigono con Luna-Giove rimarca come spesso problemi psicotici che vedono emergere situazioni borderline o chiaramente depressive, piuttosto che bipolari come sembra essere il suo caso, nulla hanno a che vedere con Mercurio che anzi mantiene viva una zona di lucidità indispensabile sembra, anche a chi è psicologicamente disturbato, per realizzare le proprie idee. Il suo Mercurio fu anche lo splendido rapporto con il fratello Theo che lo sostenne emotivamente, finanziariamente e con cui diede vita, proprio mercurianamente è il caso di dire, ad un epistolario che ad oggi è la fonte d’informazioni più preziosa per gli studiosi.

Suggestivo poi che quel Mercurio-fratello in 10^ congiunto a Plutone, mitologicamente dio della morte e degli inferi, sia anche simbolo dell’altro fratello, quello morto un anno esatto prima della sua nascita, il 30 marzo, e da cui ereditò il nome e forse l’intimo peso di un’altra vita, di altri occhi che non erano i suoi, di un’altra voce.




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