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IL GIUDICE INTERIORE

a cura di Luca Alberelli
 

Molti dei nostri problemi psicologici non sono una diretta conseguenza delle difficoltà o delle limitazioni oggettive che incontriamo nel corso della vita, ma dipendono piuttosto da una modalità di reazione interna che ci porta a scoraggiarci, a limitarci e a restare imprigionati in una serie di ruminazioni mentali sulla nostra incapacità o sulla nostra  inadeguatezza. Quando ciò accade ci osserviamo con un atteggiamento critico e giudicante che rispecchia quello che i nostri genitori adottavano nei confronti di alcune parti della nostra personalità, nei primi anni della nostra vita.
Problematiche di questo tipo sono riconducibili ad una relazione complicata con il nostro giudice interiore; quell'istanza psichica a cui la psicoanalisi ha attribuito il nome di “Super-Io” e che la psicosintesi preferisce chiamare “subpersonalità del giudice-protettore”.

Questa parte della nostra personalità si struttura tra i tre e i sei anni di vita per proteggerci dall'angoscia legata alla non accettazione di alcune parti di noi, e per permetterci di regolare il nostro comportamento in funzione di una morale autonoma.
Intorno ai tre anni il bambino inizia infatti a sviluppare una certa capacità di giudizio e di previsione nei confronti dei pericoli del mondo esterno, e gradualmente impara a controllare i suoi impulsi per evitare di essere punito dai genitori e di incorrere nella loro disapprovazione.

A partire dai sei anni, dopo aver subito diversi rimproveri per aver dato libero sfogo ai suoi impulsi, generalmente interiorizza la voce rimproverante dei genitori, e inizia a provare il senso di colpa. La voce della sua coscienza morale (eco più o meno distorta dei rimproveri genitoriali) si avvia a diventare il guardiano permanente del suo comportamento.

In seguito a questo passaggio psicologico il bambino cercherà di non mettere in atto alcuni comportamenti indesiderati, non più solo per  evitare di essere rimproverato e punito dai genitori, ma anche (e soprattutto) per evitare di essere perseguitato dal senso di colpa.

Siccome ogni bambino nutre un estremo bisogno di sentirsi amato e accettato dai genitori, cercherà in ogni modo di evitare la loro disapprovazione, adeguandosi il più possibile alle loro aspettative. La subpersonalità del giudice si attiva per questa finalità, mobilitando un'azione protettiva di separazione, che consiste nel relegare le parti non piaciute della nascente personalità nell'inconscio-ombra, tramite l'impiego di meccanismi di difesa.

La strutturazione della subpersonalità del giudice è fortemente influenzata dal clima familiare e dalla modalità di gestione delle regole impiegata dai genitori. In generale, se l'atmosfera familiare è calda e accogliente, e regna una disciplina moderata e ferma, la coscienza morale tende a svilupparsi in modo ragionevole e ottimale, e il giudice interiore tende ad essere più flessibile e moderato.
Quando invece l'atmosfera è punitiva e severa si favorisce lo sviluppo di una coscienza morale implacabile nelle sue richieste di perfezione, che rende il giudice interiore più rigido e intransigente.

Dopo i sei anni la coscienza morale diventa una stabile istanza interna di controllo, tuttavia, siccome durante l'infanzia è rigida e assolutistica (per via delle modalità di pensiero infantili che caratterizzano la sua formazione), per quanto la disciplina impartita dai genitori possa essere stata moderata e ragionevole, il Super-Io dovrà poi essere modificato, in una certa misura, per poter svolgere il suo compito in modo efficace nella vita adulta.

L'adolescente in genere si ribella alla tirannia della rigida coscienza morale infantile; per effetto di questa ribellione il Super-Io si riorganizza e assume una forma più matura e realistica. In termini psicosintetici, la subpersonalità ribelle (la polare del giudice), che si attiva in questa fase, ci permette di contattare alcune parti della nostra personalità che erano state relegate nell'ombra, offrendoci nuove possibilità di sintesi e di integrazione. Nella misura in cui ciò avviene la subpersonalità del giudice può riadattarsi per rispondere meglio alla nostra legge interna, relativizzando la vecchia legge genitoriale, interiorizzata durante l'infanzia.

Se è infatti vero che le difese mobilitate dal Super-Io durante l'infanzia avevano una funzione protettiva, è altrettanto vero che crescendo dovremo imparare ad accettare e ad integrare le nostre parti rinnegate, altrimenti sperimenteremo separatività e malessere, in misura direttamente proporzionale alla rigidità e all'intransigenza del nostro giudice interiore.

Dal punto di vista astrologico la subpersonalità del giudice è collegabile all'archetipo di Saturno, che tra le sue declinazioni comprende: la disciplina, le norme, il controllo, la separazione,  le difese, il giudizio e la morale.
La posizione del pianeta in un tema natale per segno, casa e aspetti ci può aiutare a comprendere come è stata interiorizzata la legge genitoriale, quali parti della nostra personalità non sono state accettate, e in quali ambiti ci siamo sentiti limitati o bloccati nell'espressione del nostro potenziale.

Gli aspetti dinamici di Saturno sono spesso collegati a problemi di relazione col nostro giudice interiore, che può assumere una voce particolarmente critica e bloccante, in relazione alle funzioni rappresentate dai pianeti in aspetto.

La subpersonalità ribelle può invece essere associata all'archetipo di Urano, e tende ad attivarsi in funzione dei suoi cicli e dei suoi transiti, che possono divenire occasioni per risvegliare parti di noi prima rinnegate, e per rinnovare la nostra personalità, liberandoci dagli schemi comportamentali del passato che ora ci limitano e che non rispecchiano la nostra autenticità.

Quanto entriamo in un atteggiamento autocritico, giudicante ed ansioso, che rispecchia l'atteggiamento che avevano i nostri genitori nei confronti di alcune nostre parti, ci dissociamo dalla realtà e perdiamo la capacità di osservarci obiettivamente.

L'auto-giudizio negativo e l'auto-svalutazione ci limitano nella realizzazione dei nostri progetti, portandoci a rinunciare al primo ostacolo, per paura di un fallimento totalizzante. Nel tentativo di allontanare dalla nostra consapevolezza ciò che non va, ingaggiamo una lotta contro noi stessi che ci porta a disperdere molte energie. La nostra mancanza di accettazione blocca il processo di crescita e di trasformazione. Non possiamo infatti cambiare nulla di noi se prima non lo abbiamo contattato e accettato. Solo accogliendo e accettando amorevolmente e profondamente certe parti potremo recuperarle a favore della nostra integrità; ciò però implica la sospensione del giudizio e l'attivazione della volontà.

Per migliorare la relazione col nostro giudice interiore dobbiamo imparare a mettere in sordina quelle parti di noi che non sanno far altro che criticare, sabotare e tenerci bloccati, per  cercare di cambiare quello che è possibile cambiare di noi e del nostro modo di relazionarci con gli altri.




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