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I REPLICANTI … IL SOGNO DELL’UOMO PERFETTO

a cura di Lidia Fassio
 

Tra i miti moderni molto spazio viene lasciato ai droidi, altrimenti chiamati “androidi”, “robot”, oppure “replicanti”, ovvero creature dall’apparenza assolutamente identica a quella umana ma in realtà dalla struttura tecnologica che consente prestazioni decisamente superiori a quelle umane (eterno sogno dell’uomo); inizialmente, i primi robot erano completamente comandati dall’uomo, ma via via, essi diventano  sempre più autonomi e indipendenti anche se, viste a lungo come incapaci di pensiero e di sentimenti, due delle funzioni più elevate della natura umana.

 

Si tratta dunque di creature che sono capaci di “fare” qualsiasi cosa e di svolgere qualsiasi funzione pratica; lavorano, combattono fino all’inverosimile; sono quasi sempre indistruttibili.. e tengono botta a tutto quanto succede con incredibili capacità di rigenerazione che, manco a dirlo, avviene attraverso la sostituzione di microchips, di schede e circuiti.. simili alle schede madri dei nostri computers.

Sembrerebbe una fantascientifica immagine del futuro, eppure vi sono stati film che ormai hanno più di 40 anni che seguivano questo filone e che mettevano in luce qualcosa che l’uomo da tempo sogna ed immagina e perché no… cerca di costruire.

Una cosa interessante di queste “macchine dalle sembianze umane” è ovviamente la possibilità di essere distrutte senza che, per questo, vi sia una grande sofferenza; infatti esse sono numeri e sembano non lasciare traccia. Tuttavia, man mano che i film di fantascienza crescevano, le biomacchine senz’anima, tendevano ad essere invece viste in modo diverso, come se cominciassero ad avere un’anima; pensiamo al famoso Bishop di Alien, il replicante che fa di tutto per salvare l’eroina e la bambina.. combattendo fino alla “morte” contro il mostro implacabile.

 

In uno dei film cult di questa serie “Blade Runner” di Ridley Scott i replicanti di turno - creati dalla Tyrell Corporation -  possedevano addirittura un orologio biologico, molto più breve di quello umano, ma per altri versi molto simile; lo scopo di questo orologio stava nello scandire il tempo prestabilito per l’autodistruzione: una morte stabilita a tavolino ed anche qui possiamo vedere delle proiezioni umane interessanti: l’idea di poter quanto meno decidere della morte.. è un primo passo per poterla poi un giorno sconfiggere.

La novità di Blade Runner consiste nel cominciare a prevedere che, attraverso le esperienze che i replicanti fanno via via che vengono costruiti e messi in funzione, essi possano anche acquisire la potenzialità di avere emozioni e pensieri, anche molto complessi.

In effetti, nel finale del film, la replicante Rachel – giunta alla fine della sua vita - salva quella del poliziotto Deckart – alias Harrison Ford -  che, prima era stato suo persecutore e poi suo innamorato.

 

In  questo caso il messaggio è molto chiaro: i replicanti hanno sentimenti e perché no… valori; una cosa simile l’avevamo già trovata nei droidi di “guerre stellari” i robottini che hanno paure e sentimenti umani e tremano quando accade ciò che non vorrebbero vedere; un altro esempio è quello che ci è dato dal film  “l’uomo bicentenario” in cui il robot di turno.. Andrew, capisce che mentre tutto cambia, invecchia  e muore, lui rimane uguale ma con un grande senso di perdita che non può sopportare. Egli infatti, ad un certo punto, proprio grazie all’innamoramento, comprende che non ha capacità di scelta e neppure libero arbitrio e che questo è un limite molto grande; sarà proprio l’amore a farlo decidere di intraprendere un viaggio che, dopo duecento anni, lo trasformerà in un vero essere umano, capace anche di morire.

 

Possiamo vedere alcune differenze tra la storia dei robottini replicanti e la costruzione dell’identità umana che è sicuramente passata nella storia attraverso processi similari: prima solo istinto.. e quindi praticamente incapace di prendere decisioni e di avere un autentico libero arbitrio; poi pian piano si è passati dall’istinto puro del cervello rettiliano a quello del cervello limbico… in cui hanno cominciato ad affacciarsi le emozioni. Su queste due realtà si è insediata la corteccia cerebrale simbolo della razionalità e della capacità di valutazione dell’uomo, sintomo anche di capacità di avere sentimenti basati su valori personali. Così, nella filogenesi evolutiva della nostra specie sono nati prima istinti ed emozioni e poi, in un secondo momento, la capacità di far circolare le informazioni nel sistema e i sentimenti. La struttura cerebrale acquisita recentemente è quella di ci permette molta più libertà di quanto non fosse possibile prima.

 

Un’altra cosa evidente rispetto agli androidi.. è l’idea che essi non abbiano l’anima e che, per questo non possono godere di libero arbitrio. Infatti, i robot obbediscono a leggi più semplici, simili a quelle codificate nell’istinto umano; esse sono coercitive, potenti e spesso imprescindibili, ma semplici rispetto alla sofisticazione della corteccia cerebrale che vaglia infinite possibilità in frazioni di secondi, prima di dare risposte adeguate.

In questo senso sia i robot che l’istinto sono prevedibili perché hanno entrambi risposte obbligate e  compulsive.

 

Oggi l’uomo è in una condizione simile  a quella dei robot che vogliono provare sentimenti e pensieri e che si misurano con questa potenzialità: infatti, l’uomo oggi non è più solo “natura – istinto - physys”, ma è anche “cultura - psiche – anima” un essere che non è più solo creato dalla natura, ma capace a sua volta di crearla.

 

Certo, nei film di fantascienza l’uomo a stento sopporta che le macchine siano così evolute da poter avere sentimenti e capacità di scelta: in Matrix le macchine sfidano l’uomo e potrebbero anche vincere ma, tuttavia, il finale non sarà quello e questo dimostra l’ambivalenza che l’uomo ha dentro tra il suo bisogno di proiettarsi in un’ideale perfetto (rappresentato dalla macchina perfetta), ma nella paura di poter essere soppiantato da questa rappresentazione.

 

Tuttavia, una certa bizzarria c’è perché mentre da un lato l’uomo sembra perdere gradualmente l’anima.. scollegandosi spesso da sé stesso, dalle sue autentiche potenzialità ed anche dal mondo, i replicanti  tendono invece ad assumerla e forse anche qui ci sono grandi proiezioni che dovranno essere interpretate dall’uomo prima che sia troppo tardi.

 

L’uomo, perdendo contatto con l’anima non riesce più a vedere il suo futuro e forse, per questo, ha bisogno di consegnare qualcosa ai robot e ai replicanti..  a creature che, nella sua ottica, potrebbero salvarlo in caso di eccesso di squilibrio.

Infatti, l’uomo metropolitano non vivendo a contatto con la sua anima non riesce neppure a percepirsi come “parte di un tutto” e quindi non sente neppure il vero pericolo della distruzione che, per questo, viene proiettato su macchine che poi ne insidiamo il potere.




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