Cosa succede quando una coppia deve affrontare il problema del “tradimento”?
Nella vita di coppia il tradimento è una delle esperienze più brucianti e più difficili da elaborare; difficile perché porta con sé il crollo di tante speranze, di tanti sogni, qualcosa che ci obbliga a rivedere un modo di essere e a dare un nuovo assetto al nostro senso di sicurezza. Il tradimento tuttavia, è anche una esperienza archetipica, prova ne è che in ogni mitologia vi è un atto di “tradimento” e proprio per questo, al di la’ della sofferenza emotiva che porta con sé, deve avere una sua precisa funzione nella psicologia delle persone.
Il tradimento spesso si associa ad un abbandono; infatti, anche se quasi mai c’è un abbandono fisico, quello emotivo è inevitabile; astrologicamente parlando tradimento e abbandono sono atti che appartengono alla casa ottava e, come tali, obbligano ad affrontare prima l’uscita dal paradiso terrestre (il senso di simbiosi che ci illudiamo di poter portare avanti), quindi obbligano a sperimentare un senso di sradicamento e di non appartenenza.
Inutile dire che questa esperienza non fa piacere a nessuno, tuttavia, in questa sede mi piacerebbe cercare di comprendere le motivazioni che conducono a dover entrare dentro a questo “buco nero” colmo inizialmente di dolore e di disgregazione. Superfluo anche dire che ogni tradimento esterno porta con sé un precedente “tradimento interno” che non abbiamo visto o non abbiamo voluto vedere ed è questo che ha poi portato all’atto definitivo che, per ovvi motivi, dobbiamo … vedere!!
Indubbiamente il tradimento sperimentato da adulti ha radici antiche e accade proprio perché c’è qualcosa che dobbiamo comprendere di noi stessi; al di là dei luoghi comuni che accompagnano questo gesto, ci sono invece elementi interessanti sia a livello psicologico che nel tema natale che possono spiegare il perché di questa esperienza.
Nei primi mesi della nostra infanzia, noi riviviamo uno stato di totale fusione con la figura di nostra madre: in quella fase ci sentiamo tranquilli, sicuri e protetti, esattamente come ci siamo sentiti quando eravamo nell’utero: noi abbiamo memoria indelebile di questi due periodi tanto che, non appena inizia la nostra vita relazionale, cerchiamo disperatamente di rientrare in questa sorta di “paradiso” da cui ad un certo momento della vita siamo stati “cacciati”, separandoci da nostra madre e affrontando la vita psichica con le risorse che abbiamo incamerato in questi primi fantastici 6 - 7 mesi. Indubbiamente, l’esperienza di “separazione dalla madre” sarà fondamentale per noi e per la nostra autonomia ma, se l’abbiamo vissuta in maniera traumatica, o se ci siamo sentiti “traditi”, questo modello interiore lo porteremo con noi in ogni relazione successiva creandoci aspettative o difese che poi entreranno in funzione in maniera totalmente inconscia da adulti.
La psicologia ci ricorda che solo nel momento in cui veniamo estromessi dalla simbiosi inizia la nostra vita psichica indipendente, ma ci ricorda altresì che tutti viviamo questo atto come un tradimento. Se ragioniamo sul senso di questa esperienza, ci rendiamo conto che possiamo sperimentarla esclusivamente all’interno di un rapporto d’amore o di grande fiducia, tant’è che la proviamo sulla nostra pelle a pochi mesi di vita ad opera della persona – unica nella storia di ognuno - che dovrebbe amarci incondizionatamente: la madre.
Se guardiamo a questo atto con razionalità non possiamo non vedere che il tradimento può essere consumato solamente all’interno di un rapporto di fiducia e di amore; infatti, siamo molto attenti e vigili se non ci fidiamo e quindi, in questo caso non si verrebbero neppure a creare le condizioni per “essere traditi”; per “tradire”, bisogna prima “essere stati intimi”, bisogna aver “condiviso, partecipato” a qualcosa che c’era con qualcun altro o.. che pensavamo ci fosse; bisogna essere stati coinvolti in un rapporto o in un qualcosa di intimo e di molto personale: se questo “spazio emotivo condiviso” non esiste, allora non si può neppure parlare di tradimento. Per queste ragioni chi tradisce non può esserci mai “estraneo” ma sempre qualcuno che amiamo o a cui abbiamo dato la nostra fiducia: la madre, il padre, i nostri partners, i nostri amici e, in ultimo, noi stessi.
L’amore e l’innamoramento poi fanno il resto perché nella prima parte della vita si fondano sull’illusione della gratificazione assoluta: un vero e proprio delirio di onnipotenza che ha le radici nella certezza assoluta di bastarsi vicendevolmente; ognuno di noi coltiva a lungo l’idea che l’amore risolverà tutti i problemi e che, ad esso, ci potremo concedere con fiducia assoluta perché sarà la panacea di tutti i mali. Spesso, in questo illuderci c’è il vero tradimento che perpetriamo prima di tutto a noi stessi.
L’atto del tradire può anche essere visto come una “trasgressione”: ne abbiamo traccia nella nostra storia mitica che inizia con un “tradimento”, quello di Adamo ed Eva che trasgrediscono la legge divina e si appropriano di qualcosa che era stato proibito. Il tradimento si presenta dunque come un “archetipo” e, per questo, in realtà non è un semplice atto doloroso che la vita ci porta gratuitamente, ma sembrerebbe piuttosto trattarsi di un dolore necessario che ci obbliga inesorabilmente a crescere psicologicamente e, proprio per questo, inevitabile.
Senza il “tradimento” - ci dice il mito - possiamo esistere solo in condizione di “Paradiso Terrestre”, ovvero senza coscienza, in uno stato infantile di inconscietà e, come tale, di non autonomia; non possiamo essere adulti ed autentici se non operando un tradimento; non si può essere indipendenti e nascere al mondo se non mettendo in discussione o rinnegando, ciò che ci è stato dato proprio da chi ci ha amati di più.
C’è un momento nella vita di ognuno in cui o si tradisce chi ha amato, sostenuto e aiutato, oppure tradiamo noi stessi e la nostra individualità perché portiamo avanti ciò che altre persone si aspettano da noi anziché batterci per ciò che siamo e dobbiamo divenire. Inoltre, se non tradiamo siamo destinati a restare “figli” a vita.