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IL RUOLO DEL PADRE E DELL’AUTORITÀ

a cura di Lidia Fassio
 

Si parla tantissimo del ruolo del padre ed è indubbio che un figlio abbia bisogno di entrambi i genitori nell’arco degli anni formativi dell’infanzia e dell’adolescenza in quanto forniscono strutture psicologiche diverse ma fondamentali.

Non è mai facile però per un genitore riuscire a dare al proprio figlio ciò che non è stato percepito e sperimentato nel proprio vissuto e questo costituisce sempre un punto cruciale nell’ambito del passaggio generazionale.

 

La figura del padre è fondamentale perché andrà a costituire quella struttura portante interna che sosterrà la psiche del figlio e che lo dirigerà verso obiettivi certi ed importanti; sarà lui a passare gli strumenti per combattere e conquistare ciò di cui si ha bisogno e sarà ancora lui ad insegnare come affrontare le difficoltà della vita senza arrendersi; tuttavia, il padre è anche un “ruolo sociale” in quanto portatore della storia e della cultura che dovrà trasmettere al figlio che, a sua volta, dovrà prima accettare (come legge del passato),  per poi forgiare la sua che conterrà i semi per il futuro.

Un mio insegnante diceva che è il padre che lega il figlio alla società, alla cultura e a ciò che questa ha creato attraverso il susseguirsi delle generazioni, ed è sempre il padre (Sole) che, facendo da guida, consegnerà al figlio le chiavi del futuro personale e collettivo.

 

I ruoli si ereditano ed infatti, ogni uomo che si trova ad essere padre deve fare i conti con il suo essere stato figlio e con ciò che suo padre gli ha trasmesso. La nostra società giunge da un passato fortemente impregnato di cultura “patriarcale”; solo le ultime due o tre generazioni (ovvero i nati dagli anni ’70 in poi) sono fuori da questa immagine che, tuttavia, esiste ancora ed è uno degli strati fondamentali della psiche individuale e che, in alcune realtà culturali e familiari, è ancora incarnata da un padre patriarca che ha  “potere” sulla famiglia e sui figli.

Non possiamo dimenticare  che ogni ruolo è sicuramente individuale ma poggia su un preciso contesto familiare e sociale; il ruolo del padre infatti, non inizia nel momento in cui nasce un primo figlio ma nell’atto stesso della propria nascita.

L’uomo che diventa padre si colloca dunque dentro ad un sistema che comprende poi numerosi sottosistemi che lo vedono impegnato in  società, in famiglia e nella professione. Questo significa che la relazione padre e figlio è una perfetta interazione che non dipende solamente dal comportamento del genitore ma anche dal ruolo con il  passato nonché dal temperamento e dalla natura del figlio.

 

Se il padre ha un rapporto molto diretto con la società e la cultura non potrà essere distinto da essa per cui, ogni padre rifletterà in modo potente la società in cui è vissuto e che lo ha forgiato per cui, anche se  l’archetipo del padre odierno vuole staccarsi fortemente dal passato, rifletterà comunque qualcosa di secoli e secoli di patriarcato pur contenendo i grandissimi cambiamenti degli ultimi 40 – 50 anni.

 

Non possiamo dimenticare che fino agli anni 50 il mondo è cresciuto lentamente mentre ora assistiamo ad un continuo mutamento e ad una accelerazione mozzafiato, qualcosa di unico nella storia dell’uomo. Questo significa che generazionalmente si è assistito a salti difficilissimi da integrare sul piano psicologico individuale; non possiamo non prendere in considerazione le differenze tra la psiche di un padre nato negli anni ‘40 con radici affondate nel fascismo, nelle difficoltà economiche e nella seconda guerra mondiale che magari è nato quando suo padre era in guerra con quella di un padre nato nella generazione degli anni ‘50 che non ha mai vissuto la fame, la guerra e la dittatura essendo figlio della democrazia e della speranza tecnologica che ha spalancato le porte di un futuro aperto a molte più possibilità.

 

Quest’ultima generazione, pur essendo vissuto ancora all’interno di strutture famigliari solide e conservatrici,  ha  però dato vita alle grandi rivoluzioni e alle conquiste sociali che sono culminate nel divorzio e nella lotta per l’emancipazione femminile; i suoi figli appartengono alla generazione degli anni ’70, sono quelli che hanno vissuto la contestazione, la separazione dei genitori, il mito della libertà assoluta e della televisione, ma anche gravi difficoltà sul piano emotivo e strutturale. Sono i figli dell’industrializzazione selvaggia e del miracolo economico che, a loro volta sono diventati padri delle ultimissime generazioni nate dagli anni ‘90 al 2000.. ovvero di figli cresciuti senza regole, anticipando tutti i tempi, con fortissime tendenze trasgressive ed autodistruttive; padri che sembrano aver perduto totalmente il rapporto con il passato, la tradizione e i  valori semplicemente rinnegati ma non ancora sostituiti.

 

Prima di tutto occorre dire che, mentre la madre ha un investimento libidico immediato sul proprio figlio in quanto è lei che lo porta in grembo, per il padre questo processo è più complesso; nel momento in cui il figlio nasce in realtà.. per lui, è un perfetto estraneo che, tuttavia, fa emergere dalla sua psiche contenuti prima impensabili che rompono le normali resistenze e danno il via a processi che permetteranno l’instaurarsi di una relazione.

Ovviamente per un padre è più facile l’accettazione di un figlio maschio in quanto in esso si può identificare; non è solo il figlio ad identificarsi nel padre, ma anche il contrario: quell’essere tenero gli ricorda quando lui era piccolo, fragile e indifeso; inoltre attraverso il figlio maschio possono immediatamente prendere vita una serie di proiezioni nel futuro.

 

Il padre però entrerà nella relazione vera ed autentica con il figlio solamente nel momento in cui si spezzerà la  simbiosi con la madre: in pratica, la conquista delle funzioni motorie (Mercurio) immette il figlio nel mondo del padre, generalmente attraverso il gioco e la comunicazione. I padri sembrano più disponibili al gioco che è un vero e proprio training che consentirà al figlio di scoprire potenzialità ed industriosità e di trasformare costruttivamente gli impulsi distruttivi.

 

Indubbiamente un tempo il padre si caratterizzava per la sua autorità, riconosciuta ed incentivata dalla legge, mentre oggi le tracce di tutto ciò diventano impalpabili proprio come l’autorità che non è amata e non la si riconosce a nessun livello e così il padre si trova ad avere l’obbligo morale di mantenere i figli senza però avere di fatto autorità su di essi.

Nessun padre un tempo stava con i figli piccoli; incominciava ad interessarsi ad essi quando arrivavano intorno alla pubertà. I ruoli erano chiari e definiti ed i figli piccoli erano totalmente assegnati alla madre. Solo nel momento in cui erano pronti a studiare, lavorare o combattere entravano nel mondo dei padri. Certo, i padri facevano più che altro il ruolo di autorità ed in effetti, nella maggior parte dei casi, erano figure temute ed emotivamente distaccate, a volte idealizzate, ma mai realmente conosciute.

 

L’autorità in realtà serve ed è funzionale alla crescita e all’indipendenza dei figli; ciò che invece non è positivo è l’autoritarismo che genera debolezza e falsa struttura, due contesti psicologici difficili e di sicura sofferenza oltre che di ritardata maturità. L’autorità deve accompagnare i figli nell’apprendimento di certe lezioni difficili che la vita tuttavia impone: il ruolo della frustrazione che spesso è inflitta dai padri serve a capire che non tutto sarà possibile e che bisognerà imparare ad accettare il limite e la perdita, pur tentando sempre di migliorarsi e di andare avanti; in caso contrario la vita diventerà inaccettabile.

 

L’autorità aiuta a raggiungere via via sempre un più alto grado di responsabilità che deve essere pari alla crescita psicologica del figlio; sarà questo a consentire un domani la vera autonomia.

Quando invece il padre non ha risolto i suoi personali problemi con la generazione precedente e, di conseguenza, con l’autorità ecco che possono intervenire gravi difficoltà nel momento in cui si ritrova ad avere autorità e potere sul figlio.

 

Cosa succede in questo caso?

 

L’uomo che non ha risolto i suoi problemi con l’aggressività può trovarsi, suo malgrado, coinvolto in una serie di difficoltà emotive proprio nella fase di gioco e di crescita del figlio. E’ da qui che inizia la “cattiveria dei padri” che lasciano emergere posizioni di conflitto che possono acuirsi man mano che i figli crescono, quasi a combattere e a rivendicare ciò che, un tempo, non avevano potuto avere con il loro padre. Ho visto padri non permettere mai al figlio di vincere in nessun gioco e, in questo, evidentemente c’era una regressione potente e pressochè inconscia che emergeva in modo compulsivo senza alcuna capacità di gestirla.

Certo, il padre si trova più a diretto contatto con l’aggressività del figlio ed è proprio questa che può far scattare qualcosa di inconscio e di seppellito.

Il figlio a sua volta è costretto ad avvertire la potenza del padre (esso appare un gigante ai suoi occhi) e questa superiorità lo spaventa e fa scattare il suo desiderio da un lato di contenerla e, dall’altro, di provare a sé stesso di essere in grado di sfidarla e di superarla.

E’ proprio la relazione tra figlio maschio e padre a dare la misura delle contraddizioni tra potenza ed impotenza e a far sentire nel piccolo la voglia di diventare più potente. E’ chiaro che il figlio si trova in una posizione complessa: da un lato deve sottrarsi allo strapotere del padre in modo da salvaguardare l’integrità dell’Io, dall’altro però deve cercare la sua approvazione perché ne ha bisogno per sentirsi accettato.

 

Il problema principale del padre consiste nel lasciare che il figlio diventi via via sé stesso ed anche nel lasciare che sperimenti la sua forza, insegnandogli tuttavia a combattere e a incassare, a percepire il limite e la frustrazione: ma siccome l’archetipo paterno è collegato all’ambizione e al desiderio di autorealizzazione, è abbastanza facile che un padre, più di una madre, tenda a progettare la vita del figlio maschio, cercando in lui  quella realizzazione che ha più a che fare con sé stesso e con i suoi sogni che con l’autenticità del figlio.

Sarà però l’adolescenza il momento topico, allorchè il figlio comincerà a sottrarsi alla legge paterna; li’ emergeranno le contraddizioni più forti e, chi non ha rivisitato la relazione con il proprio padre, sarà più esposto a ripetere ed incarnare lo stesso identico modello combattuto magari per anni nel genitore  considerato inaccettabile.

 

Molto spesso gli uomini che dopo aver sofferto tantissimo per la lontananza, la competizione e l’aggressività  del padre, si ritrovano a fare esattamente la stessa cosa con i loro figli maschi poichè incapaci di accedere a quella trasformazione che invece, è necessaria, per diventare adulti, chiudere con il mondo dei padri e per poter permettere ad altri di diventare adulti.

 

La competitività negativa nei confronti del figlio maschio tarperà le ali e impedirà di collegare aggressività, virilità ad identità, non permettendo al nuovo maschio di poter trovare dentro di sé forza e potenza a garanzia della propria capacità di difesa, di affermazione e di realizzazione personale.

Nel segno dell’Ariete, segno maschile per eccellenza.. si trovano infatti concentrati questi tre pianeti a dimostrazione di quanto essi debbano unirsi per poter pensare ad una vita sana e serena e all’inserimento nel mondo sociale.

 

Quando troviamo invece conflittualità tra questi pianeti, o conflittualità tra Sole, Marte e/o Saturno, possiamo allora pensare che il rapporto con il padre sia stato difficile, minacciato da aggressività mai resa costruttiva e da un autoritarismo che ha teso semplicemente a mostrare una forza che non era mai stata raggiunta e a minare quella nascente nel figlio.

In questo caso nel figlio maschio ci sarà una mancanza di relazione ed una lotta con il padre che mostrerà un non collegamento con il potere personale, l’autorità e la forza e per lui si apriranno di fronte due strade, entrambe difficili;

 

-                      quella passiva di sudditanza a qualunque autorità esterna con un fortissimo incameramento di rabbia e di desiderio di rivendicazione;

 

-                      quella attiva di ribellione a tutto ciò che sta all’esterno e a qualsiasi tipo di autorità nel tentativo di mostrare una forza ed una potenza che si sentono vacillare all’interno.




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