ASTROLOGIA IN LINEA
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NON SI PUÒ PIÙ TORNARE INDIETRO

a cura di Sandra Zagatti
 

Ci sono stati 456 morti, e ancora centinaia sono i feriti che potrebbero peggiorare il bilancio, esponenzialmente aumentato giorno dopo giorno. Eppure, di ciò che è accaduto a Phon Penh il 22 novembre si è parlato relativamente poco. Per lo meno nelle nostre cronache o nei nostri speciali televisivi, evidentemente troppo occupati a dettagliare sulle guerriglie politiche o a spremere audience dal giallo di Avetrana, per lasciare più spazio del minimo a una tragedia cambogiana. Io invece ne sono rimasta turbata, lo ammetto con onestà. Non soltanto per il fatto in sé, il che è quanto meno ovvio, ma anche per l’immagine simbolica che ha così drammaticamente evocato, che appare come un monito più ampio e che in quanto tale ci coinvolge tutti, anche se distanti migliaia di chilometri e in altre faccende locali affaccendati…

Fin dai tempi di Tolomeo, gli astrologi si sono confrontati con il mistero delle “cause universali”, degli eventi sociali e naturali che palesavano l’insufficienza delle valutazioni oroscopiche sul singolo e, spesso, la loro stessa impotenza interpretativa e previsionale. Direi anzi non solo gli astrologi: tutti gli studiosi, i filosofi, gli esoteristi e persino gli scienziati, antichi e moderni, prima o poi si sono dovuti misurare con interrogativi più grandi di loro e dei loro strumenti. Perché accadono certe cose? Come è possibile che tanti individui, sconosciuti gli uni agli altri e provenienti da luoghi, tempi, esperienze differenti, con un diverso tema astrologico o un diverso “karma”, per circostanze apparentemente casuali o comunque altrettanto diversificate… si ritrovino nello stesso posto e nello stesso momento per morire della stessa causa? E, se pure non siamo in grado o non ci è dato di capire perché, ma non vogliamo demandare tutto al caso, cos’altro possiamo o dobbiamo capire da questi eventi?
Le domande sono tante ed ognuna ne genera altre, ma vorrei soffermarmi in particolare su quest’ultima, laddove l’uomo (e soprattutto lo studioso) accetta più facilmente la frustrazione della propria incapacità a capire, e ne fa persino un vanto di umiltà o uno stimolo a perseguire nella ricerca, se l’alternativa che gli rimane è soltanto quella di ammettere che… non c’è proprio nulla da capire: che certe cose purtroppo capitano e basta.
E mi ci metto anch’io, per carità. Forse è una mera sublimazione quella che mi spinge, come altri prima o meglio di me, a cercare un significato prezioso o comunque utile al di là di un evento altrimenti solo tragico; un messaggio nascosto dietro o dentro l’evento stesso, e che una volta decifrato e accolto, foss’anche nella sua severità, possa restituire onore, valore, dignità e sacralità a tutto ciò – e ad ogni individuo – che di quell’evento è stato vittima, artefice o strumento. Ma d’altra parte, se non pensassi che quel messaggio esiste, che un insegnamento può sempre essere colto e che il senso di un percorso “evolutivo” è già presente e persino sufficiente in tale tentativo, dovrei abiurare a tutto ciò in cui credo e che sono, oltre che cambiare professione.

Resto dunque del parere che, quando in un attimo muoiono tante persone, il fatto che accade oggettivamente sia anche, se non soprattutto, un evento archetipico che coinvolge tutta l’umanità: un’immagine che si forma e si mostra per imprimersi nella coscienza individuale e così descrivere, nel presente e mediante il presente, ciò che la coscienza collettiva non ha visto nel passato o previsto del futuro; e un’occasione per farlo. Non ho usato a caso questa metafora fotografica. In una “camera oscura”, infatti, è comunque la luce a poter trasformare un negativo in positivo, e quindi a poter trasformare un evento in immagine e quindi in un’opera visibile e condivisibile: “fissandola” nel tempo, dal passato al futuro, affinché un’emozione effimera possa acquisire dignità di esperienza o, viceversa, un’esperienza passeggera possa riproporsi nelle sue emozioni. E credo che ciò sia ancor più significativo e potente quando quella “istantanea” si inserisce in un tempo sacro o culturalmente ritenuto tale (penso allo tsunami nell’Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, dopo Natale, o al terremoto dell’Aquila dell’aprile 2009, prima di Pasqua), oppure in un contesto rituale e tradizionale come appunto è accaduto in Cambogia.

Era l’ultimo giorno della grande Festa dell’Acqua: la più importante e sentita ricorrenza cambogiana, che si svolge annualmente, durante la Luna Piena del mese di Kadeuk del calendario buddista, e che per tre giorni richiama milioni di persone per incontrarsi, banchettare, divertirsi e ammirare le gare dei lunghi barconi colorati lungo il fiume. Le barche, gli stand, le città sono ornati di vivaci serpentoni, i “Signori delle Acque”; e sono appunto il fiume Mekong e il lago Tonle Sap i protagonisti della celebrazione.
L’acqua ha un ruolo vitale per la Cambogia, come per tutta l’ex Indocina. Per questi stati il Mekong, i suoi affluenti e canali, come il “Grande Lago” cambogiano che è la più grande riserva di acqua dolce del sud-est asiatico, sono fonte di irrigazione, di lavoro e nutrimento. Veri e propri villaggi si spostano sulle zattere secondo le piene; più dell’80% della popolazione dipende dall’acqua, sia per il pescato che per la coltivazione del riso e l’orticolutura. Ed è un’acqua davvero sacra, importante e misteriosa nei suoi movimenti. Il lago, infatti, serve da regolatore dei flussi d’acqua stagionali. Nella stagione secca scarica sul fiume e la sua superficie copre 3000 kmq. di acque bassissime, mentre nella stagione delle piogge il fiume è talmente pieno da rimandare indietro l’acqua e così invertire la corrente: allora la superficie del lago arriva a 20000 kmq con profondità di 15 metri (il nostro Lago di Garda è assai più profondo ma è vasto “appena” 370 kmq…).
La Festa dell’Acqua celebra appunto il momento in cui il Mekong e i suoi canali invertono la direzione: l’inizio della stagione secca. Un momento di gioia, di condivisione, di gratitudine, che quest’anno è stato segnato da un gravissimo incidente, su un ponte di ferro che porta a un isola dov’era previsto un concerto. Le cause sono ancora incerte; sono state fatte diverse ipotesi e poi smentite. Sembra che alcune persone siano svenute nella calca, o siano rimaste fulminate dai cavi elettrici dell’illuminazione, o più probabilmente che il ponte, sottoposto al peso dinamico della folla in movimento, abbia cominciato a oscillare. L’unica cosa certa è che alle 21.30 di lunedì 22 novembre, qualcosa su quel ponte ha scatenato il panico. Tante persone calpestate dalla ressa, soffocate o cadute in acqua, sono morte subito;  altre hanno riportato ferite gravissime e sono morte nei giorni seguenti, e il conto non è ancora definitivo.

L’immagine è quella di una “massa” di gente che, proprio come il Mekong, inverte la propria direzione cercando di tornare indietro ma generando così una tragedia. La stessa immagine, descritta dal cielo astrologico di quella terribile serata, soddisfa solo parzialmente un “senno del poi” che ancora una volta genera interrogativi, più che risposte. C’è una quinta casa affollata, in omaggio alla festa, nel segno del Sagittario che tanto ha a che fare con i collegamenti e le comunicazioni, quindi anche con i ponti; assieme a Mercurio che, congiunto a Marte in Sagittario, ben rappresenta quel flusso dinamico di persone… La folla è però associata alla Luna, che in quel momento era perfettamente opposta alla congiunzione Mercurio-Marte nonché rappresentata dall’Ascendente Cancro. Nello stesso momento il governatore del Sagittario e del Sole-vita appena entrato nel segno, cioè Giove, stava entrando invece nell’ottava casa, settore tradizionalmente associato alla morte; seguito da Urano, che in fatto di elettricità (anche emotiva) può dire la sua. Ma soprattutto, nella stessa ottava casa c’era Nettuno, vero signore delle masse fluide: acquatiche o umane che siano.
Il Sole in Sagittario manteneva solo per orbita la quadratura a Nettuno, ma è pur vero che quella quadratura era precisissima tre giorni prima, con il Sole ancora in Scorpione. Nessun astrologo, laddove interrogato, avrebbe incoraggiato l’inaugurazione di una Festa dell’Acqua con tale dissonanza (tra segni d’Acqua) in evidenza; per lo meno nessun astrologo occidentale. Ma in quante altre diverse espressioni avrebbero potuto esprimersi, e in quanti altri luoghi, configurazioni del genere? A che serve una tale valutazione, letteralmente “postuma”? Pur facendone tesoro come casistica, come e quanto è tecnicamente possibile trasformarne l’esperienza in previsione utile?

Queste sono, appunto, le domande che gli astrologi di ogni tempo si pongono. Domande frustranti, persino mortificanti, ma a mio parere anche doverose ed opportune, in un’ottica di ricerca, che solo se onesta e umile può essere anche degna di essere considerata tale, e in quanto tale proficua. Nessuno, né astrologo né scienziato o filosofo, ha la verità in mano. E la vita, come la morte, mantiene incognite sul piano individuale e collettivo, a dispetto di ogni progresso vero o presunto. Forse è inevitabile che sia così, forse è persino giusto che lo sia. Ciò che dovremmo fare è proseguire la ricerca, abolendo l’arroganza faziosa e collaborando, ognuno con le proprie conoscenze e metodologie, per integrare eventuali fiammelle e favorire così un’illuminazione comune, condivisibile, a portata di tutti. E ciò che intanto possiamo fare, e che comunque tento di fare io, è cercare nelle tenebre un qualche segnale  di luce.
Magari, a proposito di Sole in Scorpione e della dialettica vita-morte, può non essere secondario il fatto che proprio il Mekong, che sostiene milioni di persone, sia tra i dieci fiumi più inquinati del mondo; o che, con Mercurio in Sagittario, pianeta del movimento in un segno Mobile, un ponte metallico che deve la sua resistenza all’elasticità abbia terrorizzato le persone proprio con le sue inquietanti oscillazioni. Anche queste sono immagini, flash che possono accecare più che illuminare, nelle loro frammentarie e contraddittorie indicazioni. Ma è così che il simbolo si esprime: ermeticamente; provando ma non sempre riuscendo a comunicare.

E in fondo, anche questa drammatica immagine ci ripropone un monito già noto, e ripetuto dal cielo alla terra in altri eventi e da tanti anni: la cura per il mondo è nascosta nella sua malattia, e la “fine del mondo” non si potrà evitare tornando indietro per paura, e calpestandoci gli uni con gli altri. E’ evidente che il mondo stia oscillando, anzi vacillando nei suoi valori; ma forse è davvero l’effetto di un mutamento vibrazionale, la conseguenza di una mancata assonanza tra ciò che vuole nascere e ciò che non vuole morire. Forse solo sintonizzandoci sul senso nascosto di questa distonia, comprendendo che non esistono note sbagliate ma soltanto note impazzite, solitarie e confuse, potremo riaccordare la coscienza individuale con quella collettiva e viceversa, creando una nuova coscienza universale.
Nettuno entrerà presto nel suo domicilio in Pesci. Potrà essere il caos; oppure musica.




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