La partizione di tutte le cose del mondo da sempre segue i ritmi e i cicli dei numeri sacri: fra questi sono particolarmente importanti il 3 e il 4, che esprimono rispettivamente lo Spirito e la Materia in senso simbolico.
L’astrologia, l’alchimia, la teologia, la mitologia, la geometria sacra, la partizione dello spazio e del tempo si fondano essenzialmente sul Ternario e sul Quaternario, ovvero su combinazioni di questi due sistemi.
Dal Tre e dal Quattro si ottengono sia il Sette sia il Dodici, mistici numeri alla base di molte filosofie, oltre che dell’antica astrologia: infatti la somma 3+4 dà come risultato 7 e la moltiplicazione 3x4 dà 12.
Se Dodici erano i segni zodiacali che nell’antica Mesopotamia furono fissati convenzionalmente come suddivisione della fascia di sfera celeste intorno all’eclittica, Sette erano i pianeti che allora si osservavano muoversi su questa porzione di cielo che non seguivano il moto circadiano delle cosiddette stelle fisse: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. E Sette furono da sempre i giorni della settimana, anche in relazione ai cicli lunari (4 fasi di 7 giorni) e femminili.
Questi Sette pianeti (etimologicamente “stelle vaganti”) visibilmente percorrono la ruota zodiacale con diverse e variabili velocità, mentre le stelle fisse rappresentano le tappe del sentiero percorso sull’apparente sfera celeste.
A conferma che il numero Dodici deriva simbologicamente, oltre che matematicamente, dal Tre e dal Quattro, ricordo che i Dodici segni zodiacali possono essere classificati nei Quattro gruppi degli Elementi della tradizione Fuoco (Ariete, Leone e Sagittario), Terra (Toro, Vergine e Capricorno), Aria (Gemelli, Bilancia e Acquario) e Acqua (Cancro, Scorpione e Pesci); ovvero si possono dividere nei Tre gruppi dei segni Cardinali (Ariete, Cancro, Bilancia e Capricorno), Fissi (Toro, Leone, Scorpione e Acquario) e Mobili (Gemelli, Vergine, Sagittario e Pesci).
Non deve stupire di conseguenza il ritrovamento di partizioni duodenarie in innumerevoli miti e tradizioni di diverse culture, tutte probabilmente originate dall’antichissima divisione della fascia zodiacale nei dodici segni ancora oggi utilizzati in astrologia.
Si pensi, per esempio, alle mitiche dodici fatiche di Ercole, ai dodici Apostoli di Gesù, ai dodici cavalieri della Tavola Rotonda, alle dodici tribù di Israele, alle dodici pietre del misterioso Efod biblico, alle dodici porte della Gerusalemme celeste, alle dodici stelle della corona della Madonna,
alle dodici chiavi della filosofia di Basilio Valentino, alle dodici porte dell’alchimia, e alle numerose altre tracce derivate da questa antica mistica partizione mesopotamica.
Recentemente ho riletto la fiaba dei fratelli Grimm dal significativo titolo “I dodici fratelli”, la quale, interpretata come una narrazione mitologica della misurazione del tempo secondo gli antichi calendari, è addirittura stupefacente.
Jacob Ludwig Karl e Wilhelm Karl Grimm divennero famosi come i “fratelli Grimm”, in quanto autori di una ricchissima raccolta di antiche narrazioni popolari germaniche redatta nella prima metà del XIX secolo. Il loro lavoro ha ancora oggi una grande importanza dal punto di vista linguistico, ma soprattutto antropologico, avendo evitato la naturale dispersione di una rilevante parte delle tradizioni mitologiche orali indoeuropee di plurisecolare antichità. Molti ricercatori moderni hanno poi sottolineato l’importanza psicologica delle fiabe dei Grimm, che sono rappresentazioni simboliche spesso tese a esorcizzare paure e traumi. Altri hanno infine messo in evidenza le simbologie squisitamente alchemiche ed esoteriche presenti in molte fiabe. Ma finora nessuno, che io sappia, ha analizzato le fiabe come retaggi delle narrazioni mitiche di un’antica e dimenticata cosmologia finalizzata a giustificare e memorizzare la scansione del tempo ciclico dei primordiali calendari sacri.
Ricordo con le mie parole la storia I dodici fratelli, in cui sottolineo le parti più significative dal punto di vista astronomico…
C’era una volta un re che aveva avuto dalla sua regina ben dodici figli, tutti maschi. Alla tredicesima gravidanza, in gran segreto il re disse alla moglie che, se questa volta fosse nata una femmina, la bambina avrebbe dovuto ereditare l’intero regno con tutte le sue ricchezze, e pertanto i suoi dodici fratelli sarebbero dovuti morire.
La determinazione del re fu tale che, prima ancora della nascita, fece preparare dodici bare per i suoi dodici figli maschi.
La regina in attesa di partorire non si dava pace, era triste e spesso piangeva al solo pensiero di perdere i dodici figli. Il più piccolo di questi si chiamava Beniamino (proprio come l’ultimo e più amato figlio di Giacobbe e capostipite della omonima tribù); si accorse della tristezza della madre e le chiese il motivo. La madre non poteva rispondere, ma cedette all’insistenza di Beniamino: gli mostrò le dodici bare pronte e gli confidò la decisione del re.
A questo punto Beniamino non si perse d’animo e pensò di fuggire dal castello. Si mise quindi d’accordo con la madre di nascondersi nel bosco insieme ai suoi fratelli e di attendere lì la nascita del tredicesimo figlio. Uno di loro a turno sarebbe salito sull’albero più alto a osservare la torre: se fosse nato un maschio, la regina avrebbe issato una bandiera bianca e i dodici fratelli sarebbero potuti rientrare senza pericolo; ma se avessero visto una bandiera rossa, sarebbero dovuti fuggire nella foresta per non tornare mai più, pena la morte.
Dopo undici giorni di sorveglianza toccò a Beniamino salire sull’albero più alto, e proprio a lui, il dodicesimo giorno, toccò di vedere la bandiera rossa: il simbolo che per tutti loro c’era la morte o l’esilio perpetuo.
Fuggirono così nel profondo del bosco, arrabbiati per questa condanna ingiusta a causa della nascita di una femmina. Giurarono così di uccidere per vendetta la prima donna che avessero incontrato.
In una radura trovarono una piccola casetta disabitata e decisero di vivere lì. Beniamino, che era il più piccolo, avrebbe badato alla casa e avrebbe cucinato, mentre gli altri erano fuori a caccia di selvaggina. Passarono così dieci anni.
Al castello intanto la piccola principessa era cresciuta ed era una splendida bambina amata da tutti, con una stella brillante in fronte. Un bel giorno la principessa vide dodici camicie da uomo che erano troppo piccole per il padre e chiese ala madre di chi fossero. Seppe così dell’esistenza dei suoi dodici sventurati fratelli e decise di andare subito a cercarli nel più profondo della foresta. Cammina cammina, giunse alla casetta nel bosco, dove incontrò Beniamino. Gli mostrò le camicie e così si fece riconoscere. Beniamino, che aveva un gran cuore, convinse i fratelli a non uccidere la prima fanciulla che avessero incontrata, e, soltanto dopo averne avuto assicurazione, presentò loro la giovane sorella.
Per un po’ di tempo (i Grimm non specificano quanto, ma io presumo due anni) i tredici fratelli vissero insieme nella casetta nel bosco: Beniamino e la sorella curavano la casa, raccoglievano erbe e legna, e accendevano il fuoco per cucinare tutta la selvaggina che gli altri catturavano nella foresta.
Intorno alla casetta c’era un piccolo giardino stregato dove erano nati dodici gigli di Sant’Antonio. La bambina inconsapevolmente li colse per farne dono ai fratelli, e in quel preciso istante la casa scomparve e i dodici fratelli furono tramutati in corvi neri.
Una vecchia apparve all’improvviso e spiegò alla fanciulla disperata che c’era un solo modo per far tornare umani i fratelli e rompere l’incantesimo: essere muta e non sorridere per sette interi anni, non un’ora di meno. Qualunque parola pronunciata e qualunque sorriso avrebbero magicamente ucciso i dodici corvi.
Allora la ragazza con la stella in fronte, determinata a salvare i suoi amati fratelli, salì su un grande albero e lì visse in silenzio filando.
Passò il tempo, la bambina divenne una bella ragazza, e un bel giorno un re che cacciava nel bosco si trovò a passare sotto l’albero e la vide. Se ne innamorò all’istante e le chiese di sposarlo. Lai rispose con un cenno del capo e si lasciò portare al castello dove furono celebrate le nozze.
Ma la matrigna del re, gelosa e invidiosa, cominciò a spargere la voce che la ragazza fosse una strega, così muta come era e mai sorridente. Le voci fecero crescere il dubbio, e alla fine il re, pur dispiaciuto, fu costretto a condannare a morte la sua sposa per stregoneria, dopo averla invano interrogata e invitata a sorridere.
Si accese un rogo nella piazza della capitale, e le fiamme già stavano minacciando la povera ragazza, quando i sette anni finalmente finirono. Dodici corvi scesero dal cielo e si trasformarono in esseri umani appena toccata terra; le fiamme furono spente, e finalmente la ragazza poté spiegare il motivo del suo strano comportamento. Il re si rallegrò e condannò a morte la malvagia matrigna, dopo di che tutta la famiglia riunita visse felice a corte.
Questa storia è un’allegoria del ciclo astronomico di Metone basato sui ritmi luni-solari. Infatti, come già gli antichi astrologi-astronomi mesopotamici avevano scoperto e l’astronomo greco del V secolo a.C. Metone poi codificato, i movimenti sulla sfera celeste del Sole e della Luna si trovano in corrispondenza ogni 235 mesi lunari, cioè, con buona approssimazione, ogni 19 anni solari. Ciò significa che ogni 19 anni le fasi lunari si verificano negli stessi giorni del calendario solare.
L’antico calendario babilonese e conseguentemente quello ebraico si basano su questo ritmo celeste con 12 anni di 12 mesi ciascuno e 7 anni di 13 mesi. Per superare lo sfasamento fra la durata delle lunazioni e quella dell’anno tropico si procedeva quindi inserendo 7 anni (detti embolismici) di 384 giorni nel ciclo metonico di 19 anni complessivi.
I dodici fratelli della fiaba rappresentano i dodici anni (simbolicamente maschili e solari) composti da 12 mesi lunari, lunghi 354 giorni e ovviamente più corti di un anno tropico. La loro emblematica morte alla nascita della sorella significa che il calendario sacro delle stagioni solari deve sintonizzarsi con i moti e le fasi lunari (simbolicamente femminili).
La principessa vive tranquillamente nel castello durante l’esilio dei fratelli che dura 10 anni e trascorre felicemente con loro (presumo) altri 2 anni, in modo da ricomporre il mistico numero 12.
Ma poi di nuovo l’equilibrio fra il cielo e la terra si rompe e comincia una serie di 7 anni in cui la ragazza (simbolicamente la Luna, emblema del principio femminile) si eleva da terra per vivere in alto su un albero. Qui può filare, e quindi far scorrere il tempo, ma non può parlare né sorridere come il mistero dell’astro notturno richiede. Con l’ultima Luna Calante del ciclo la protagonista della fiaba, incarnazione della Luna e del femminino sacro, sta per morire, così come il nostro satellite sembra scomparire inghiottito dalle tenebre notturne. Ma viene salvata dalla rinascita dei 12 fratelli, cioè dal nuovo inizio del ciclo solare, simboleggiato dal sorgere della prima Luna Nuova metonica.
Ecco che sono trascorsi in tutto 19 anni e il ciclo di Metone termina per cominciare di nuovo: i mistici numeri 7 e 12 si sommano per ripristinare l’ordine cosmico dell’antico calendario sacro dimenticato, che pure regola ancora oggi la determinazione della Pasqua e di tutte le festività mobili ad essa correlate. Il Ternario e il Quaternario si armonizzano in questo modo: il Cielo e la Terra fanno pace, il Divino incontra l’Umano, la Grande Opera della natura si compie come la quadratura del cerchio.
Non è certamente un caso che il XIX Arcano Maggiore dei Tarocchi sia proprio il Sole, e che in molti mazzi tradizionali ci siano in questa carta espliciti riferimenti alla fratellanza. Così come non è un caso che il Ciclo di Saros, che invece riguarda la durata della rivoluzione della Luna, le sue fasi e soprattutto le eclissi, si ripeta uguale dopo circa 18 anni, essendo la Luna proprio il XVIII Arcano Maggiore dei Tarocchi.
Come l’antico calendario babilonese di derivazione probabilmente sumera sia stato trasmesso alla mitologia germanica e quindi alle fiabe raccolte dai Grimm non lo sappiamo, anche se possiamo ipotizzare il tramite della tradizione popolare ebraica, come il cenno a Beniamino (unico personaggio della fiaba che è chiamato per nome) sembra dimostrare. Infatti Beniamino era uno dei dodici figli di Giacobbe, ognuno dei quali fu il capostipite eponimo di una tribù di Israele. Queste dodici tribù avevano una relazione simbolica con i mesi dell’anno ebraico, e conseguentemente con un segno zodiacale: per esempio, l’anno cominciava con la Luna Nuova del mese Tishrì, corrispondente al segno equinoziale della Bilancia e alla tribù di Dan, mentre la tribù di Beniamino aveva una corrispondenza simbolica con il mese di Kislev e il segno del Sagittario, fra novembre e dicembre.
Il 16 settembre 2012 la Luna Nuova ci informa che è Rosh Ha-Shanà: il primo giorno di Tishrì e il Capodanno secondo questo antico calendario tradizionale luni-solare.