ASTROLOGIA IN LINEA
ASTROMAGAZINE - RUBRICHE - Il Fatto

L’ASSILLO DEL POLITICALLY CORRECT

a cura di Paolo Crimaldi
 

“Protestare è rifiutare di lasciarsi azzerare e ridurre a un silenzio forzato. Perciò, nell’istante stesso in cui si protesta, se si protesta, si riporta una piccola vittoria”.
John Berger

Da qualche lustro si è imposta una nuova morale: quella del politically correct. L’intento è semplice, lineare, all’apparenza eticamente corretto, ma nella sostanza, o meglio nell’applicazione e nell’abuso è diventato uno dei peggiori strumenti di repressione al libero pensiero, al dissenso, alla critica in quanto immediatamente, nel momento in cui non si aderisce a un modello culturale proposto dall’establishment dominante, si viene additati ad una categoria marginale, reazionaria, pericolosa.

In questo modo, lentamente, si viene a spegnere il pensiero critico, quello che anche in modo abbastanza vivace è stato però il motore del cambiamento, del confronto-scontro, dell’evoluzione di un pensiero, di una cultura, di un popolo.

Ci si ritrova spesso ad aver timore di esporre un pensiero che non è allineato, o come lo definiva Elémire Zolla, un oriente del pensiero, qualcosa che si diversifica, che prova a guardare oltre l’aspetto lindo e pinto che ricorda a tratti il sogno americano degli anni ’50 del secolo scorso, dove dietro case dalla facciata pulita, i cui abitanti all’esterno mantenevano comportamenti irreprensibili, all’interno invece agivano i propri fantasmi sotto i fumi dell’alcol, della depressione, della violenza e dell’abuso sessuale.

A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso si è avviata una rivisitazione dei concetti, delle parole che potessero avere un significato offensivo, discriminante, convincendoci che sostituire la parola negro con nero cambiava il nostro modo di vedere la persona che ne era oggetto, abbattendo di colpo un pregiudizio ancorato nella nostra cultura da millenni.

Il politically correct è un voler mettere a posto la coscienza senza avviare un cambiamento profondo, fatto di dialogo, incontro, conoscenza, vissuto.

Cosa cambia per una persona di colore se la si chiama nera e non negra se poi si continua a nutrire un pregiudizio e a tenerla lontana da spazi della vita pubblica generalmente dominio di altre etnie? Così come siamo davvero sicuri che le famose quote rosa in ambito lavorativo a favore delle donne sono state oggettivamente create per superare un discrimine e non per usarle come specchietti per allodole? Quante donne in posizioni apicali riusciamo a ricordare al momento? E quante sono state scelte per meritocrazia, riconosciute per il loro valore, per le competenze a loro disposizione?

Si potrebbe fare una lunga lista di ciò che il politicamente corretto ha paradossalmente freezato, reso privo di contenuto e identità.

Probabilmente per superare questo modo di agire si dovrebbe avere il coraggio di fare un salto dall’appartenenza alla sostanza, quindi dal gruppo all’individuo, alla persona.

Se davvero vogliamo una profonda parità tra tutti gli esseri umani si deve uscire dalla categorizzazione relativa all’appartenenza sia essa etnica, religiosa, sessuale, politica e andare al rapporto a due, al conoscere davvero chi si ha davanti, per l’appunto la singola persona.

La vera parità, il superamento della discriminazione, della stigmatizzazione arriva quando noi riconosciamo che un omosessuale può essere un assassino privo di moralità proprio come un eterosessuale o che una persona di colore possa avere pregiudizi non dissimili da un cinese o un italiano.
Riconoscere che non è l’appartenenza a un gruppo a connotare un individuo ma è la sua educazione, l’insieme delle esperienze di vita che hanno formato il suo carattere, il proprio modo di essere, assieme sicuramente a dei tratti ereditati come altri innati.

In altre parole è quando riconosceremo che il valore di una persona, la sua eticità, non può essere attribuita al gruppo di appartenenza o che gli si attribuisce, ma al proprio percorso individuale, al suo confrontarsi, riflettere, metabolizzare quell’insieme di sfide esistenziali che lo hanno portato a diventare un razzista cieco e ottuso o un vero uomo pronto a riconoscere l’importanza della libertà di essere se stessi indipendentemente dal contesto in cui ci si possa trovare, sviluppando doti umane che vanno oltre il comodo attribuire cliché che facilitano sicuramente la vita ma non aiutano a conoscere chi abbiamo dinanzi.

Del resto sappiamo bene che l’ideologia del politically correct nasce con l’intento di eliminare il pregiudizio, di evitare l’uso del potere personale al fine di creare disagio, se non danno, a un individuo, cosa che negli intenti ha sicuramente una sua forte validità ma che nella prassi ha invece portato al blocco del pensiero critico.

Il politically correct ha lentamente spinto al non poter più dissentire, allo stigmatizzare chi non è d’accordo con qualcosa che sembra essere invece una verità incontrovertibile, a far presente quei nodi non comprensibili o che si ritengono non oggettivamente condivisibili incondizionatamente da tutti.

Il dissenso è necessario al pensiero critico e potersi sentire liberi di non essere d’accordo con un’idea è fondamentale, direi vitale, per la crescita dell’uomo e di una civiltà. Oggi sembra intollerabile che si possa affermare di non gradire una determinata idea, o più semplicemente anche solo la voce di un cantante impegnato in qualche battaglia, per essere tacciati immediatamente d’invidia o dell’essere un fascista, termine quanto mai usato a sproposito da persone che non hanno mai veramente studiato la psicologia e la struttura socio-politica di questo totalitarismo.

Guai se poi si arriva a dire che un individuo strumentalizza il proprio status fino a farlo diventare il logo di se stesso al punto da renderlo un vero e proprio lavoro, non certo basato sulla competenza di ciò che dice o a seguito di uno studio serio e da una riflessione profonda e non populista.
Il fenomeno più evidente è dato dal pullulare di opinionisti nei vari talk televisivi i quali sposano acriticamente idee, modi di pensare e quant’altro che alla prima occasione sono pronti a dimenticare a favore del nuovo pensiero che va a prendere piede.

Il politically correct è finito col diventare oggi un bavaglio al pensiero autonomo e paradossalmente a rimuovere, spingere nell’ombra pregiudizi, idee malsane e distorte ma non a estirparle, creando pericolosamente sacche di rivalsa in chi si sente costretto a tacere che, prima o poi, andranno a esplodere portando pericolose derive discriminatorie quanto violente.

Per poter sperare in un mondo in cui la normalità dell’eguaglianza possa divenire un qualcosa di assolutamente scontato è richiesto il passaggio dalla sfera della morale a quella dell’etica in cui non si giudica ma si prende semplicemente atto della persona nel suo agire e non nel suo appartenere a qualcuno o a qualcosa.




Copyright (c) 2003 Astromagazine - la rivista di Astrologia in Linea - Tutti i diritti riservati