In psicologia è necessario considerare quanto sono importanti i rapporti con le persone significative specialmente nella prima infanzia. I rapporti che il bambino vive, soprattutto quello con la madre, determinano quella riserva d’energia e di vitalità che permetterà, all’essere umano, in età adulta, di non sentirsi mai completamente abbandonato a se stesso, solo. Il bambino che vive una serena relazione materna, è capace di sviluppare nel suo mondo interno uno spazio che gli consente di vivere la solitudine, in età adulta, come un terreno fertile dal quale possono scaturire elementi creativi come l’acqua sgorga per via naturale dalla fonte.
Quando l’essere umano si sente abbandonato da chi ama, non è in grado di instaurare rapporti soddisfacenti con il mondo che lo circonda, non riesce avere degli amici, vive queste circostanze come laceranti, veramente dolorose all’interno di un vissuto di abbandono con tutte le sfumature psicologiche che ne possono derivare come il rancore, la rabbia, il desiderio di vendetta.
Molti di noi hanno sicuramente vissuto questo tipo d’esperienze in cui lo sconforto porta addirittura a perdere la capacità di desiderare e con essa a non avere più punti di riferimento per orientarsi nelle oscurità dell’esistenza e sentirsi come dispersi, smarriti. Quando l’essere umano non è più in grado di sentirsi ispirato da qualcuno ed avere una visione prospettica della vita, non può che cadere nell’apatia, nell’indifferenza e, spesso, sperimentare quella solitudine paralizzante che lo confina in un mondo di desolazione.
Ogni volta che un essere umano non è in grado di fare un progetto di vita, è come morto prima che il corpo muoia. La capacità di desiderare è la capacità di sentirsi vivere e l’incapacità di progettare corrisponde all’impossibilità di sentirsi vivi. L’essere umano è destinato a lottare per potersi realizzare come individuo. Occorre lottare contro le illusioni perché esse ci condannano ad un destino irrealizzabile legato alla più profonda solitudine terrena.
I momenti di solitudine non vanno vissuti come un qualcosa da cui stare lontano ma come possibilità di momenti creativi. La solitudine ci consente di prendere le distanze dalla falsa completezza, dall’essere coinvolti fino al midollo nelle attività frenetiche della quotidianità odierna, nell’essere immersi e confusi nelle cose. Tutto ciò che l’essere umano idealizza attraverso la magia delle illusioni, quando viene calato nella realtà non può che essere deludente e diventa allora necessaria la capacità di mediazione tra ciò che desideriamo e ciò che l’altro realmente può offrirci. La capacità di star soli che gli esseri umani sviluppano nella prima infanzia, è alla base di un buon rapporto con se stessi e col mondo. E’ la capacità del bambino di sopportare l’assenza della madre che nasce da un atteggiamento di fiduciosa attesa in un prossimo, vicino conforto e che si trasforma in desiderio.
Il bambino vive bene la sua solitudine nel momento in cui è fiducioso che la madre ritorna, poiché la madre è stata capace di trasmettergli il desiderio del suo ritorno in una relazione libera da impulsività e angoscia. Una madre impulsiva che fagocita il bambino non gli trasmette la capacità di crearsi uno spazio interno in cui il bambino mantiene un legame con la sua separazione momentanea. E’ come se il bambino avesse smarrito l’idea che la madre esiste al di fuori della sua vista e quindi avesse smarrito il suo desiderio. Il bambino capace di sopportare la sua solitudine non vive la disperazione dell’abbandono ma la speranza dell’incontro e della riunificazione.
Non riuscire a tollerare la solitudine significa non saper tollerare la mancanza di chi ci ama e mette in risalto una mancanza di fiducia dovuto ad una relazione poco rassicurante con la propria madre. Nei primi anni di vita la relazione tra figlio e madre si basa su una comunicazione inconscia, strettamente simbiotica, fusionale in cui il figlio dipende interamente dal genitore per la soddisfazione dei suoi bisogni affettivi e impara, a spese sue, ad entrare in sintonia con i desideri della madre.
Il bambino tuttavia non è ancora in grado di filtrare le emozioni e si plasma sull’emotività materna e risponde nei modi che gli consentono di mantenere vicino a se la persona più importante della sua vita ad ogni costo. Il bambino piccolo percepisce le angosce materne anche quando sono latenti, nascoste e molti sono i pazienti che, bambini, hanno dovuto farsi carico, nella loro ancora precaria identità, d’angosce e stati emotivi intensi dei loro genitori.