Quando si “aspetta un figlio” è inevitabile, da parte dei genitori, cominciare a fantasticarlo, il che vuol dire “pensarlo” e ipotizzare nella mente alcune caratteristiche caratteriali, attitudinali e psicologiche che il genitore considera positive e fantastiche, quelle che, magari, avrebbe desiderato possedere lui stesso.
Psicologicamente parlando questo è del tutto normale nella fase di gestazione, anzi, vi sono alcune scuole psicologiche che considerano positivo questo approccio in quanto sembrerebbe garantire la creazione del “collegamento” tra la madre e il figlio e tra il mondo esterno e il bambino.
La psicologia prenatale teorizza che i bambini “non pensati e non fantasticati”, avvertono un senso di “mancanza” che viene sperimentato come una indifferenza: sappiamo che, per tutta la vita, l’uomo cerca riscontri all’esterno; nell’infanzia questo è assolutamente necessario: nessun bambino può sopravvivere senza che qualcuno gli rimandi un’immagine di sé. Essere fantasticati indica infatti “essere attesi, essere importanti ancora prima di essere visti” e questo è fondamentale poiché apporta sicurezza e serenità; come se vi fossero per più possibilità di accedere al mondo confortati dall’essere desiderati.
Tutti i genitori dovrebbero però essere in grado ridurre queste aspettative nel momento in cui il bambino nasce e presenta le sue qualità; non farlo sarebbe come non accettare che il bambino sia scuro di capelli perché lo si desiderava e fantasticava biondo.
Spesso i genitori fanno automaticamente questo passaggio: nel momento in cui vedono il loro bambino, lo trovano bellissimo, lo accolgono per come è e cercano subito di trovare qualità positive da rimandargli: lo vedono forte, oppure con gli occhi dolci o sensibili, guardano le mani e i piedi e pensano che verrà alto: tutte considerazioni che normalmente si sentono avvicinandosi al vetro di una nursery.
Però, mentre sono pochi i genitori che non accettano le fattezze fisiche dei loro figli, sono molti quelli che invece, continuano ad investire sul figlio aspettative di ordine psicologico e quelle di “capacità”.
Chi non ha avuto la possibilità di studiare, spera che il proprio figlio completerà gli studi, chi aveva velleità artistiche, sogna un figlio pieno di talento che riscatti il suo desiderio insoddisfatto, chi voleva fare sport non vede l’ora che il figlio cresca un minimo per poterlo avviare proprio allo sport che tanto si ama.
E’ così che, soprattutto sul primogenito, vanno a cadere aspettative fortissime, in grado di turbare profondamente lo sviluppo naturale delle potenzialità che ogni bambino possiede intrinsecamente.
In questi casi, anziché porsi come “educatori”, ovvero persone che guardano ammirati alle qualità che emergono spontantee nel figlio se viene lasciato libero di esprimerle, essi forgiano, plasmano, manipolano e cercano di “costruire” ciò che avrebbero voluto essere; niente di più drammatico per il bambino che, in questa condizione, è obbligato a percepire un profondo senso di inadeguatezza, soprattutto nel momento in cui si rende conto di non poter esprimere realmente sé stesso ma di “dover essere qualcun altro” per poter essere ammirato e amato; tra l’altro, il senso di mancanza e di “essere sbagliato” si insinua tra le pieghe della sua personalità nascente allorchè si rende conto che non possiede neppure le qualità e le risorse per soddisfare le esigenze dei genitori, in quanto le sue sono altre.
E’ proprio da queste situazioni che nascono grandi difficoltà e percezioni di “non essere all’altezza e di non valere”, poiché non sono state prese in considerazione le proprie risorse e qualità e si è stati invece spesso additati di “non essere” ciò che i genitori avevano fantasticato.
La falsa personalità inizia sempre da queste situazioni. Il bambino dipende dall’accoglienza e dall’accettazione dei genitori e, se non la otterrà per ciò che è, cercherà di averla trasformandosi, modificandosi e falsando prima le emozioni e i sentimenti e poi la personalità nel tentativo di gratificare le figure che sono indispensabili alla sua sopravvivenza.
A volte i problemi nascono invece dalle eccessive ambizioni che il genitore ripone sul figlio dal quale si aspetta quasi un risarcimento sociale per qualcosa che non ha potuto fare o che non è riuscito a fare lui. E’ il caso dei bambini che hanno già un destino segnato ancor prima della nascita e che, fin dall’infanzia si troveranno pressati da genitori che puntano troppo sulle loro prestazioni, investendo in modo esagerato, mostrando delusione quando i figli non rispondono nel modo desiderato.
In una società che sta diventando sempre più competitiva in cui l’unica cosa importante è diventata il successo, a cui si accompagna il denaro, molti genitori spingono i loro figli a “diventare qualcuno”, mostrando acutamente la disillusione se loro non sono sufficientemente competitivi, oppure se non hanno il desiderio di arrivare come invece vorrebbero i genitori. In questi casi i figli avvertono pienamente di dover riempire un profondo vuoto che, non può che svuotarli totalmente.
Certo, se in un certo senso è umano “sognare” che i figli diventino più di quanto non siano stati i genitori, non lo è invece, pretendere che questo accada perentoriamente e premere affinchè essi rivestano a pieno titolo le ambizioni insoddisfatte degli adulti.
Spesso accade di vedere bambini molto dotati che, proprio per questo sono eccessivamene spinti da genitori che non vedono che stanno rubando letteralmente l’infanzia ai loro figli, spingendoli e stimolandoli senza rispettare i loro tempi, i loro bisogni e i loro desideri.
Spesso, l’avvicinarsi del bambino ad uno strumento musicale, o alla danza, o alla corsa, cose assolutamente spontanee che, magari, un giorno potrebbero anche diventare qualcosa in più di un hobby se solo fossero lasciati liberi di scegliere, si trasformano invece in una sorta di “inferno” poiché, a quel punto i genitori si mobilitano per far studiare musica, o danza nella migliore accademia della città, oppure li iscrivono, contro la loro volontà ad un centro sportivo che li farà lavorare tantissimo per tirare fuori la loro forza e la loro volontà e renderli “vincenti”.
In questi casi spesso non si pensa all’equilibio dei figli e neppure alla loro serenità. Non si guarda se effettivamente sono felici di ciò che stanno facendo e, di regola, questi impegni eccessivi che riempiono le loro giornate, finiscono per renderli esclusi e diversi dagli altri impedendogli di vivere appieno la loro età che è quella del gioco, dello scambio e della socializzazione.
Occorre ricordare che il bambino deve necessariamente restare nella dimensione del gioco, e deve mantenere un rapporto chiaro con il divertimento e con la spontaneità. Rubare questi anni preziosi significa creare dei futuri infelici che si sentiranno privati di una parte importantissima della vita.
Occorre tenere presente che i figli tendono per natura a compiacere gli altri, proprio perché hanno la necessità di piacere e di essere amati; se però predomina questa parte, non se ne faranno nulla dei successi, perché non sapranno apprezzarli in quanto non li renderanno felici; non solo, questo stato ruberà loro il desiderio che è il motore di qualsiasi raggiungimento di una realizzazione personale.
I bambini che sono stati investiti di eccessive ambizioni genitoriali sviluppano una pseudo depressione che rischia di portarli poi, in età adolescenziale, quando diventa più difficile l’adeguamento, ad una cronicizzazione di questo stato o ad una condizione di ribellione che può diventare con facilità trasgressione.
E’ quindi importantissimo per una coppia di genitori osservare con l’entusiasmo di un bambino cosa viene fuori dal cilindro del loro figlio. I genitori dovrebbero, dopo aver piantato i loro semi, attendere fiduciosi che questi maturino e vengano alla luce, ricordando sempre che i figli, non necessariamente sono uguali ai genitori, anzi, spesso sono migliori, ma non è detto che lo siano nelle stesse identiche cose o in ciò che i genitori si aspettano.
Permettere loro di crescere, di giocare, di essere liberi di scegliere sarà un dono prezioso che si farà alla loro futura personalità che potrà così sviluppare la fantasia, la creatività e la fiducia nel mondo che nasce solo se è stata concessa dai due genitori.
Quando questo non accade i figli finiscono per vivere in uno stato di profonda ingiustizia; non si sentono apprezzati per il loro valore e quindi non si sentono rispettati e difficilmente sapranno farsi rispettare più avanti nella vita.
Non potendo esprimersi per ciò che sono impareranno a trattenere ciò che hanno dentro in modo da non rivelare i loro veri sentimenti; così, pian pian, nel tentativo di cercare un adeguamento al mondo esterno, perderanno inevitabilmente l’autenticità del loro “essere”, fino a non riconoscersi più e a non sapere chi sono.
I genitori devono imparare a cercare dentro di sé le proprie risposte in modo da non proiettarle e spostarle sui figli che, invece, devono poter manifestare in ogni momento della loro vita ciò che sentono e che hanno dentro poiché saranno questi gli ingredienti che li accompagneranno a scoprire la loro vocazione.