L’antica divinità italica Giano Bifronte ben rappresenta la difficoltà che gli stranieri hanno a comprendere l’anima degli italiani, sempre pronti a sorprenderli con la loro doppia natura: da un lato si mostrano cialtroni e sfrontati, inaffidabili e opportunisti; dall’altro possono essere geniali, straordinari, capaci di grandi sacrifici e di grandissime imprese.
Oggi sembra che abbiamo purtroppo un esempio concreto di questa doppia essenza. Al di là di ciò che la giustizia appurerà e deciderà, al di là della stessa verità dei fatti accaduti, sempre difficile da decifrare nei suoi determinanti dettagli, l’opinione pubblica, scossa dal clamoroso naufragio della nave da crociera Costa Concordia, ha già scelto i suoi due personaggi da mitizzare: Schettino e De Falco, uniti come le due facce di Giano proprio perché opposti e antitetici, almeno nel modo in cui si sono presentati al mondo nella drammatica notte del 13 gennaio 2012.
La registrazione delle telefonate fra la nave ormai incagliata sugli scogli dell’isola del Giglio e la Capitaneria di Porto di Livorno è stata ascoltata da tutti, tradotta in tutte le lingue del mondo; e quell’intimazione colorita “Salga a bordo, cazzo!” rivolta al comandante Schettino sta diventando un tormentone, uno slogan, una frase idiomatica da scrivere sulle T-shirt.
La nave era già in agonia, inclinata a mostrare il lungo squarcio, mentre migliaia di passeggeri si calavano nelle scialuppe per raggiungere il vicino porto. Il comandante della nave Francesco Schettino si trovava sulla scogliera, apparentemente incapace di gestire l’emergenza, e Gregorio De Falco, capo della sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno, lo incalzava al telefono con tono autoritario e deciso. Il primo era separato soltanto da pochi metri di mare dalla sua nave e dai suoi passeggeri, il secondo era lontano chilometri, ma appariva più informato e allarmato dall’emergenza.
Chi come noi non era presente non può che farsi una vaga idea di ciò che è avvenuto, ma quella telefonata notturna ha ricreato nell’immaginario collettivo la figura di due personaggi totalmente opposti: un codardo e un eroe.
Due figure da sempre cantate nei nostri miti italici, due facce della stessa medaglia, due rappresentanti dell’Italia, manifestatisi da Giano in poi in numerosi episodi della nostra storia.
Per esempio nella tragedia dell’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943, proprio mentre l’Italia mostrava al mondo la codardia di tanti comandanti dello Stato Maggiore in fuga, con un Paese e un esercito abbandonati a loro stessi, altrettanti uomini e donne si facevano carico di tutte le responsabilità, lottavano e morivano eroicamente. E quindi, come in mille altre occasioni, quelli che fino a poco prima sembravano tanto sicuri di sé, arroganti e spacconi, di colpo furono visti come vigliacchi, incapaci di iniziativa, balbettanti scuse improbabili.
Nello stesso tempo, semplici persone si improvvisavano eroi, pur privi di ordini, e talvolta di buoni esempi, riscattando l’onore e ponendo le basi di una rinascita morale di un popolo allo sbando.
Che strano destino quello degli italiani! Invidiati dal mondo per il loro bel vivere, sbeffeggiati per la loro ostentata cialtroneria, ammirati per la loro grandezza d’animo, comunque incompresi per la loro straordinarietà.
Eppure l’ammirevole forza d’animo di De Falco forse non sarebbe mai emersa senza la pochezza manifestata da Schettino. C’è chi ha scritto che c’è un po’ dell’uno e dell’altro in ogni italiano: mi pare un’esagerazione in qualche caso addirittura offensiva. Ma è pur vero che si tratta di due archetipi destinati da sempre a rappresentare il nostro popolo, più volte chiamato dalla storia a sopravvivere all’inettitudine dei propri governanti, ad arrangiarsi nelle traversie, a conquistarsi opportunità, a inventarsi possibilità, a essere creativo nel bene e nel male, abituato e pronto a prendersi le proprie e le altrui responsabilità sulle spalle, ovvero a essere opportunista e a rivestire indegnamente ruoli importanti. E così, mentre il comandante della Concordia cercava scuse improbabili per non ubbidire all’ordine perentorio di salire a bordo a coordinare l’evacuazione dei passeggeri, un semplice ufficiale (che quella sera non era nemmeno in servizio) di cui difficilmente le cronache ricorderanno il nome lavorava fino all’alba per aiutare persone in difficoltà nei corridoi ormai invasi dall’acqua gelida del mare di gennaio, e un semplice membro dell’animazione di bordo, tutt’ora disperso, si sacrificava per cedere il proprio posto a un bambino sulla scialuppa di salvataggio.
Le due facce di Giano sono significativamente simboliche di questi due modi di essere opposti.
Il dio Giano Bifronte (Janus Bifrons) era un nume particolarmente caro agli antichi romani che non ha riscontro nella mitologia greco-classica, che pure in gran parte ha originato i culti latini. Come divinità solare era spesso associata ai solstizi e quindi all’apertura e alla chiusura dei cicli cosmici annuali della luce. L’etimologia parla della porta (ianua) e le mistiche porte solstiziali degli uomini e degli Dei si aprivano infatti rispettivamente al Solstizio d’Estate e al Solstizio d’Inverno per il passaggio delle anime nel nostro mondo e nell’alta dimora del cielo. Sempre Giano era rappresentato con due facce, simbolicamente volte a controllare l’interno della città o della casa senza perdere di vista l’esterno delle mura, per osservare tutto quanto e tutto proteggere. allo stesso modo una faccia poteva osservare il passato, mentre l’altra era rivolta al futuro.
Giano presiedeva anche a tutte le nascite, a tutti i passaggi, agli inizi delle attività, alle porte reali e metaforiche. Si narra che quando l’esercito dei nemici Sabini stava entrando in Roma attraverso una porta non sorvegliata, Giano si materializzò in una fragorosa cascata che chiuse il varco al nemico trascinandolo lontano. Per questo le sorgenti d’acqua che improvvisamente zampillavano erano sacre al dio Giano, così come la foce del Tevere.
E sempre all’acqua era legata l’origine stessa del nume, che giunse a Roma dalla Tessaglia attraversando il mare. Si spiega anche così la sua fama di Dio del mare protettore della navigazione e dei porti, fatto che ancora più lo lega simbolicamente al naufragio del Concordia.
Le analogie simboliche di Giano con la tragedia del 13 gennaio 2012 non sono però finite, dal momento che questo mese prende nome proprio da lui: Ianuarius era il mese dedicato a Giano, e da lui prendeva il nome, come periodo iniziale dell’anno, colui che apriva la porta al ciclo delle stagioni e alla serie dei mesi successivi.
Il mondo osserva l’Italia e gli italiani, e non comprende come possano convivere gli Schettino e i De Falco: si stupisce dell’esistenza degli uni e degli altri; e quando è pronto a condannarci per i primi, immediatamente dopo è costretto ad ammirarci per i secondi.
Giano era infatti una divinità solo italica, poco apprezzata nel resto dell’Impero Romano, sconosciuta ai popoli d’oltralpe e d’oltremare. Giano era probabilmente la più antica divinità italica e romana, legata ai culti stagionali solari, e per questo venerata come Janus Pater; il nume sembrava andare in letargo, chiuso nel suo tempio romano, nei periodi in cui la penisola era pacificata e tranquilla, e le porte dello stesso tempio erano in tale periodo sigillate; ma in caso di emergenza o di guerra si rompevano i sigilli e il protettore e custode d’Italia si svegliava e operava per la salvezza del popolo.
Evidentemente in questa fase storica abbiamo ancora bisogno di lui, e non solo in Italia, forse per renderci più agevole il passaggio a un nuovo necessario ciclo storico in cui non sia necessaria una doppia faccia, e in cui le diverse e opposte forze in gioco si armonizzino finalmente per il bene dell’umanità.