Rita Levi Montalcini nata a Torino il 22.04.1909 ore 23.00. Scomparsa a Roma il 30.12.2012. Professione: scienziata
Come si può descrivere qualcuno al quale non si riesce a far indossare un aggettivo che ne definisca le innumerevoli qualità? Cosa dire di una persona che ha cambiato la propria vita e quella degli altri attraverso le proprie capacità e le proprie scoperte? Grande? No, troppo riduttivo. Fulgido esempio? Macchè, non è adatto. Incredibile? Niente affatto, Rita Levi Montalcini è molto di più di tutto questo. Era talmente intelligente, ma anche umile e defilata, che c’eravamo scordati tutti che esistesse. L’avevamo data per scontata, come un antico vaso cinese della dinastia Ming posto in salotto, che per quanto meraviglioso sia, dopo un po’ non lo vedi più.
Ho avuto modo di pensare, alla notizia della sua dipartita, che davvero ci siamo un po’ dimenticati di cosa ha rappresentato per noi italiani questa straordinaria scienziata. Un momento d’orgoglio nazionale. Uno dei pochi, troppo pochi, a dire il vero. Sono andata a cercare le sue radici, le sue prime motivazioni, insomma l’inizio della sua grandezza. Quello che ha fatto dopo lo sappiamo tutti, ci sono infiniti elenchi di premi, riconoscimenti, titoli, libri, trattati. Ma quello che mi interessava scoprire è il perché. C’è sempre qualcosa che scatta dentro di noi e che ci fa scegliere una strada anziché un’altra. Spesso accade nel corso dell’infanzia, a volte nell’adolescenza, sempre nella prima parte della vita.
Partiamo proprio da qui: dall’infanzia. Rita nasce da una famiglia di persone estremamente colte. Il padre, Adamo Levi, un ingegnere elettrotecnico e la madre Adele, una pittrice, hanno incentivato i propri figli (Gino, Anna, Rita e Paola, quest’ultime gemelle) ad intraprendere la ricerca intellettuale, ognuno nel proprio modo, ognuno nel proprio campo, l’importante è che studiassero, che aprissero le loro menti. Adamo era un padre molto forte ed autoritario. Non dimentichiamo che Rita nasce in un’epoca dove alle donne si consentiva (quasi fosse un lusso) al massimo di dedicarsi all’arte ed alla scrittura, ma senza mai prescindere dal ruolo di mogli e di madri. Un’educazione vittoriana, che per le donne era piena di doveri, di bustini da indossare e di silenzi da rispettare. La scienziata ricorda, durante un’intervista, che verso i 3-4 anni il padre le proibì di indossare un certo cappellino perché non di suo gusto. Fu allora che decise di non sposarsi mai e, conseguentemente di non avere figli, affinché nessun uomo potesse imporle la propria volontà e le proprie scelte. Nonostante il clima austero respirato in famiglia, l’infanzia e l’adolescenza del premio Nobel trascorrono sereni. Erano persone facoltose oltre che colte ed intelligenti, per cui non si può certo parlare di un’infanzia da libro “Cuore”. Certo le pesava la discriminazione nei confronti del femminile. Infatti, quando annunciò di voler coltivare la carriera nel settore della medicina, il padre le espresse la propria contrarietà, in quanto quel tipo di professione avrebbe interferito con i doveri imposti ad una moglie ed ad una madre. La scelta di questo campo di studi fu dovuta al fatto che la governante di casa Montalcini, da lei amatissima, sì ammalò e mori di tumore.
Rita però è più testarda del genitore e si iscrive alla scuola di medicina di Giuseppe Levi, un istologo. Sceglie anche di concentrarsi sullo studio del sistema nervoso, una scelta che ha portato avanti per tutta la sua vita. Nel corso dei suoi studi all’Università di Torino, incontra fra gli altri studenti Salvador Luria e Renato Dulbecco. Una vera fucina di Premi Nobel l’Università di Torino! Inutile dire che si laureò con 110 e Lode, era scontato che con la sua determinazione arrivasse a questo risultato. Ma non era affatto scontato che si accontentasse. Nell’incertezza se proseguire le proprie ricerche, o dedicarsi esclusivamente alla professione medica, si porta avanti con il lavoro e si specializza in neurologia e psicologia. Nel 1938, quando in Italia viene pubblicato il “Manifesto per la difesa della razza” capisce che è meglio cambiare aria. Non avrebbe infatti potuto continuare le proprie ricerche in u posto dove agli ebrei era impedita qualsiasi attività. Ah sì. Mi ero dimenticata di scrivere che la Montalcini fosse cresciuta in una famiglia di fede ebrea sefardita. Forse perché di una persona è importante la mente ed il comportamento, non certo la religione d’appartenenza. Una religione peraltro mai praticata dalla scienziata. In ogni caso, Rita parte per il Belgio dove, fino all’invasione nazista del 1940, fu ospite dell’Istituto di Neurologia dell’Università di Bruxelles. Prosegue quindi i propri studi sul sistema nervoso, ma deve nuovamente fuggire e torna, probabilmente in incognito, a Torino, dove allestisce un laboratorio di ricerca nella propria camera da letto. Viene raggiunta da Giuseppe Levi che diventa il suo primo ed unico assistente. In quel periodo scoprì un fenomeno chiamato apoptosi, riguardante la morte di intere popolazioni nervose nella fase del loro sviluppo. Scoperta che le fu riconosciuta solo 30 anni più tardi... nel 1972.
Dopo un massiccio bombardamento su Torino da parte degli anglo-americani, la Montalcini si trasferisce prima nell’astigiano, dove ricostruisce il laboratorio e riprende gli esperimenti, poi nel Sud Italia, ed infine a Firenze, dove la scienziata era costretta a cambiare frequentemente alloggio a causa delle deportazioni razziali. Quando infine Firenze viene liberata dagli americani, Rita viene reclutata come medico presso il Quartier Generale Anglo-americano ed assegnata al campo rifugiati di guerra. Dichiarerà a tal proposito: “Era in corso un’epidemia di tifo, i malati morivano a decine. Facevo di tutto: il medico, l’infermiera, la portantina. Giorno e notte. E’ stato molto duro ed ho avuto la fortuna di non ammalarmi.” Ma fu proprio quest’esperienza che le rivelò di non essere in grado di costruire il necessario distacco emotivo dal dolore dei pazienti, e comprese che la sua capacità non poteva esercitarla sul “campo” ma solo dietro ad un microscopio.
Facciamo un primo riassunto delle sue scelte: un padre autoritario la fa decidere per una vita da single, dove nessun uomo le potesse imporre alcunché. Una governante deceduta a causa del cancro le fa prendere la strada della medicina. Un’esperienza a diretto contatto con la malattia, le fa capire che la sua strada non era di curare l’ammalato, ma la malattia stessa.
Finita la guerra torna a Torino, dove riprende gli studi e gli esperimenti. Da notare che la prima parte di questi avveniva sulle cellule nervose degli animali. Inizia a far ricerche su embrioni di pollo, per poter approfondire le correlazioni sulle sviluppo delle parti del sistema nervoso, partendo da neuroni isolati da elementi del tessuto cerebrale dell’embrione. Si avvale anche degli studi del biologo Viktor Hamburger, il quale, nel 1947, la invita a St. Louis ad occupare la cattedra di Neurobiologia del dipartimento zoologia della Washington University.
Quella che doveva essere una breve permanenza diventerà una scelta di vita e di lavoro che è durata per ben trent’anni.
Durante questo lunghissimo periodo la Montalcini individuò il famoso NGF (Nerve Growth Factor). Scoperta che, successivamente, le fece ottenere il prestigioso Premio Nobel per la medicina (1986). Tutte le sue ricerche sono state di enorme importanza negli studi sul cancro e su malattie come il Parkinson e l’Alzheimer. E’ importante sottolineare che, con i suoi esperimenti, Rita andava contro l’empirica certezza del mondo della scienza, il quale riteneva che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni. Lei afferma il contrario ( e lo dimostra) . Una sua celebre dichiarazione è la seguente: “Quello che molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico, localizzato nell’ippocampo. Non si è praticamente mai evoluto da tre milioni di anni ad oggi e non differisce molto tra l’homo sapiens ed i mammiferi inferiori. Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte le nostre emozioni. Ha salvato l’australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di far fronte alla ferocia dell’ambiente e degli aggressori. L’altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E’ nato con il linguaggio ed in 150 mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario grazie alla cultura. Purtroppo buona parte del nostro comportamento è ancora guidata dal cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie: le guerre, la Shoah, il nazismo, il razzismo, sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a credere che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando in realtà, non è così.”
Ha messo tutte le proprie energie, il proprio tempo, la propria passione nel cercare la verità, la sua verità, anche se andava contro tutto e tutti. Donna in un mondo di uomini, nata in un secolo governato dagli uomini, ha scelto una professione ad esclusivo appannaggio degli uomini senza farsi dominare da nessuno di loro. E’ stata prima una giovane “anziana” nelle proprie scelte, e successivamente un’anziana “giovane” nel modo di affrontare la vita e le sue guerre. Certo, la sua Luna Gemelli in 6° casa l’ha molto aiutata in questo ed il trigono che la stessa forma con quel Marte in Aquario in casa 2° le ha donato una grande volontà di scoprire cose nuove, diverse, mai pensate prima. Lucida, determinata, quasi spietata nelle sue ricerche, nei suoi studi, nel suo desiderio di capire, curare, risolvere le malattie del sistema nervoso. Come non leggere tutto questo nel suo Giove in Vergine posto in casa 9°, la casa dello scibile umano, dei progetti, del lontano, del non conosciuto? Guardo quello stellium in casa IV (Saturno, Venere, Sole, Mercurio) e mi chiedo come sia riuscita, pur essendo così legata alla propria casa ed alla propria patria a vivere per 30 anni in America. Ma poi scopro che pur lavorando lontano, non perdeva occasione per venire in Italia. Proprio in quel periodo fondò un gruppo di ricerche e, contemporaneamente, diretto il Centro di Ricerche di Neurologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Non è finita qui. In mezzo a tutto quanto già citato, rivestì la carica di Direttrice del Laboratorio di Biologia cellulare del CNR.
Al compimento del suo 100° compleanno racconta: “Nel 2001 ho avuto l’idea dell’EBRI (European Brain Research Institute). Mi sono chiesta: in cosa l’Italia ha sempre primeggiato? Nelle neuroscienze. Nel ‘700 Galvani e Volta scoprirono l’elettricità animale; a fine ‘800 Golgi inventò la colorazione con l’argento delle cellule nervose; Vittorio Erspamer riuscì ad isolare la serotonina ed altri neurotrasmettitori; Giuseppe Levi fu tra i primi a sperimentare la coltura in vitro.” Ed i suoi pianeti in casa IV hanno sorriso contenti. L’Italia è sempre stata nel suo cuore, non l’ha mai lasciata davvero. Proprio quel Saturno presente nella casa ci indica sì un padre severo ed autoritario, ma è proprio da lui che Rita ha preso la capacità di stare in piedi da sola, fiera e caparbia, severa con sé stessa e con gli altri, ma sempre determinata a dare forma e sostanza alle proprie idee ed ai propri progetti.
Come non vedere poi, nella sua scelta di rimanere single, quel Plutone in casa VII? Il partner sarebbe stato un nemico, un potere negativo sarebbe stato esercitato su di lei, rallentando il suo volo nello spazio della ricerca. I suoi pianeti Toro le hanno conferito solidità, sicurezza di intenti, determinazione, testardaggine, ma anche un buon carattere. Il Toro porta con sé la sensazione di essere goffo, imperfetto, lento e passa la vita a perfezionare le proprie forme, a rendersi migliore. Lei ha proiettato tutto questo nel proprio lavoro, nelle proprie ricerche. Analizzando, guardando meglio, andando oltre. Il suo ascendente Sagittario l’ha spinta a conoscere mondi nuovi e nuove culture ma solo per trarne insegnamento ed arricchire la sua opera di scienziata, mai per se stessa.
Una donna così legata alla vita, ed alla qualità della stessa, da curarne la parte più importante: le cellule ed il sistema nervoso. A tal riguardo un suo aforisma forse meno famoso di quanto non dovrebbe essere, ci consiglia saggiamente: “Aggiungete vita ai vostri giorni, non giorni alla vostra vita”. Anche in questo ha superato sé stessa: è stata in grado di fare sia l’una che l’altra cosa: ha dato più vita ai propri giorni, al proprio tempo, ma è riuscita ad aggiungere moltissimi giorni alla propria vita. E anche alla nostra.