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SIMBOLI DELLE ELEZIONI: RIVOLUZIONE CIVILE

a cura di Giovanni Pelosini
 

Anche nel caso di questo simbolo elettorale ciò che più è messo in risalto è il nome del candidato premier Antonio Ingroia, che spicca in caratteri neri al centro del cerchio. I promotori del manifesto “Io ci sto”, che ha poi dato vita alla lista, si riconoscono come membri della cosiddetta “società civile”, e quindi anche essi si rivolgono agli elettori stanchi della politica degli ultimi anni, delusi dai partiti e irritati dai troppi scandali, dagli sprechi e dai privilegi dei politicanti.
Come già evidenziato nel logo della lista “Scelta civica”, anche in questo caso la simbologia verbale è privilegiata e si propone l’aggettivo “civile” come uno dei significanti principali.

Appare interessante la lettura di un brano di Eugenio Scalfari su La Repubblica di domenica 13 gennaio 2013:
“Il mito che aleggia su questo variopinto calderone dove il bollore ha raggiunto il massimo nell’imminenza delle elezioni è la società civile. Non si sa che cosa rappresentino queste due parole e quale sia il nuovo che esse esprimono e il vecchio che condannano. La società civile non si identifica con una specifica classe sociale, non è la classe operaia, non è il terzo stato, non è la borghesia, non è la nobiltà e non è il proletariato. Direi che sono due parole sinonime di altre due e cioè popolo sovrano, sinonimo a sua volta di un’unica parola, demos, democrazia. Dov’è dunque la novità?”

Della parola “civica” e del suo evidente riferimento alle liste civiche che spontaneamente e con una certa fortuna si sono presentate nelle ultime competizioni elettorali, soprattutto locali, abbiamo già scritto; ma il termine “civile” è sottilmente differente.
Civile non è un aggettivo che si riferisce soltanto al cittadino, ma nel linguaggio comune significa anche attinente alla civiltà, quindi a tutto quel complesso di virtù legate allo sviluppo sociale, culturale, economico e politico di una comunità; ma civile è sinonimo anche di gentile, ben educato.

La “rivoluzione civica”

In questo simbolo c’è anche un termine di fortissimo impatto: c’è la parola “rivoluzione”, che evoca ben altri orizzonti politici e sociali.
“Rivoluzione civile” sembra quasi un ossimoro, dal momento che la storia ci ha insegnato che quasi sempre una rivoluzione ha avuto per sua necessità aspetti ben lontani dall’essere considerati “civili”. Ogni rivoluzione si è dovuta scontrare con i potenti di turno, con i detentori del potere e con i sostenitori di interessi fortemente conservatori se non reazionari; le rivoluzioni intendono spazzare via il passato, sostituire i vecchi paradigmi con i nuovi, eliminare il vecchio sistema politico e rinnovare radicalmente governo e società. I rivoluzionari non si fermano però allo scontro politico-elettorale, spesso si contrappongono fisicamente ai loro avversari che considerano veri e propri nemici. La parola “rivoluzione” è un’autentica novità nei simboli elettorali ed è indubbiamente un termine fortemente evocativo di una radicalità di pensiero e di azione, nettamente alternativa all’intero panorama politico. La scelta di questa parola sembra implicare un intento non tanto riformatore o riformista, quanto rivoluzionario; come se non si ritenesse più possibile restaurare l’impianto sociale e politico secondo le sue regole, ma si preferisse cambiarlo fin dalle fondamenta.   

Nello stesso senso penso che si debbano intendere le tonalità calde dei colori di fondo, indice, se non di passionalità ovvero di passione politica, almeno di distanza dalla freddezza di un approccio solo razionale alle tematiche trattate.

Cosa si voglia intendere con le parole “rivoluzione civica” dal punto di vista simbolico sembra abbastanza chiaro: una rivoluzione gentile ma radicale, ottenuta secondo le regole democratiche ma decisa a cambiare la società nell’ottica alternativa di una ritrovata “cultura civile”.

Il quarto stato

La parte grafica in basso è quella che dal punto di vista dello studio dei simboli appare forse la più originale e interessante.
Qui si distingue una silhouette con una dozzina di figure umane che fa da sfondo a tre personaggi ben riconoscibili come i due uomini e la donna in primo piano del noto dipinto “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo (olio su grande tela di 293x545 cm).
Il quadro fu dipinto fra il 1898 e il 1901 ed è attualmente al Museo del Novecento a Milano: da più di un secolo è diventato un icona simbolica della lotta di classe, riportando una marcia pacifica ma non rassegnata di contadini e lavoratori che avanzano compatti. Il proletariato qui non appare come una folla eccitata e disordinata pronta allo scontro, ma esprime la coscienza della nuova classe sociale (il “quarto stato” appunto) emergente e decisa a portare avanti protesta civile e istanze di emancipazione insieme alla consapevolezza della propria forza unitaria. Il senso pacifico della marcia è sottolineato dall’atteggiamento dei personaggi ritratti, particolarmente dell’uomo al centro, che tiene una mano in tasca e regge la giacchetta sulla spalla con una certa tranquillità, e della donna, che addirittura tiene in braccio un bambino dormiente. Pare che la modella per questo personaggio sia stata la stessa moglie del pittore.

La massa dei lavoratori procede imponente e compatta, ma con assoluta tranquillità; forse anche per questo il quadro è diventato il manifesto iconografico della solidarietà sociale che era fortemente in primo piano nei primi decenni del secolo scorso, nonché della lotta di classe condotta con senso civico e rispetto democratico.

In termini simbolici il dipinto di Pellizza da Volpedo è veramente indicato per sottolineare da un lato le radici socialiste di alcuni soggetti politici che sostengono la lista di Ingroia, dall’altro il significato delle stesse parole “Rivoluzione Civile”.

Come per altri simboli elettorali, anche in questo caso non sono mancate le polemiche. Il sindaco di Volpedo ha chiesto a Ingroia di rinunciare al simbolo, ritenendo che il quadro di Giuseppe Pellizza non debba essere emblema di una parte politica in quanto patrimonio artistico di tutta l’umanità apprezzato universalmente, e criticandone, fra l’altro, anche la stilizzazione grafica del logo di “Rivoluzione Civile”. Altri si sono indignati per questa scelta chiaramente riferentesi a un’icona riconosciuta della tradizione dei movimenti socialisti italiani, e altri ancora affermano di detenere il diritto esclusivo di utilizzo dell’opera nei simboli elettorali.

Al di là di tutte queste accese polemiche che presto dimenticheremo, è indubbio il richiamo forte dell’icona e il potere evocativo del simbolo (non a caso conteso) di un quadro bellissimo della nostra storia dell’arte. Il cammino dei lavoratori (fu questo il primo titolo provvisorio che il pittore diede al dipinto) è messo in risalto da un sapiente uso della luce del mattino estivo e da uno studio accurato dei colori, delle forme, delle figure e delle personalità dei personaggi in primo piano e sullo sfondo. Malgrado un’accoglienza critica piuttosto tiepida nei primi anni del secolo scorso, Il quarto stato di Pellizza da Volpedo ha avuto negli anni successivi una grande fortuna artistica: iconograficamente fu ricordato dalla storia, dai colori e dalle figure del film Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci, nonché esplicitamente ripreso nella sua locandina, così come appare in versione moderna nella locandina del film Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì (in cui l’attuale “quarto stato” è costituito dai precari), ma ancora oggi è talmente conosciuto da essere infine diventato la discussa parte di un logo elettorale che al celebre dipinto in una certa misura si ispira.




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