Il 13 giugno 1233 la bolla papale Vox in Rama di Gregorio IX dava ufficialmente inizio alle orribili persecuzioni dell’Inquisizione e al lungo periodo oscuro nel quale ogni retaggio culturale delle tradizioni pagane veniva assimilato alle devianze dall’ortodossia religiosa, alle eresie, alle presunte pratiche demoniache e alla stregoneria.
Da allora forse centinaia di migliaia di esseri umani furono per questo perseguitati, torturati e barbaramente uccisi come eretici, presunti stregoni e (soprattutto) streghe.
La bolla di Gregorio IX descriveva nei dettagli anche il rituale di iniziazione alla stregoneria, nel quale si materializzava un gatto nero, grande come un cane di media taglia, che camminava all’indietro con la coda sollevata per farsi baciare il posteriore dagli adepti e dal neofita.
Da allora e per diversi secoli anche i gatti, che invece nell’antichità erano apprezzati sterminatori di topi, se non venerati come divinità, furono vittime innocenti di queste persecuzioni; e si stima che a milioni furono torturati e bruciati sul rogo come incarnazioni di Satana, spesso insieme a donne e uomini ritenuti colpevoli di malefici ai danni della comunità. Se il colore del gatto era nero, era ancora più facile immaginarlo una creatura della notte, dell’oscurità, e quindi un essere demoniaco e pericoloso. Spiega l’astrologo Massimo Fornicoli: “il nero simboleggia la notte senza Luna, lo spessore delle tenebre e quindi anche quelle infernali. D’altronde il gatto non è un animale inoffensivo e pacifico, è un felino, non dimentichiamolo: un cacciatore feroce, e anche ladruncolo. Questi suoi aspetti notturni ne fanno un animale ambiguo, come tutti gli animali del resto, e come anche noi uomini, se riflettiamo bene” (Alfredo Cattabiani, Zoario).
Dal tardo Medio Evo fino al XVII secolo un raccolto poco favorevole, un’epidemia, una carestia, un qualunque evento negativo nell’immaginario del popolo superstizioso e ignorante potevano essere stati causati dal diavolo, dai suoi odiosi stregoni e dagli animali che meglio lo rappresentavano, come i rospi, i gufi, le civette, i cornuti caproni, e naturalmente i gatti. Il dolore, la rabbia, la frustrazione trovavano così facilmente i colpevoli di ogni male e si sfogavano su di essi con fanatica crudeltà.
Ancora oggi certe superstizioni sono un’eco di quel passato oscuro della civiltà occidentale; ed è questo il principale motivo per cui alcuni considerano un presagio di sventura un gatto nero che attraversa la strada.
Eppure i gatti di ogni colore avevano goduto nell’antichità di grande favore, soprattutto grazie alla loro sviluppata capacità di cacciare piccoli animali, soprattutto topi, e quindi di salvare le derrate alimentari, ma forse anche per il loro indubbio fascino lunare. Non a caso nell’antico Egitto i gatti erano creature sacre con fama di essere veggenti, protette da leggi severissime: in caso di incendio c’era il dovere di metterli in salvo prima ancora degli esseri umani e dei beni, non potevano essere venduti o esportati, ed era assolutamente proibito, pena la morte, ferirli o ucciderli. I mercanti fenici erano spesso scoperti a esportare clandestinamente i gatti dall’Egitto, e, in tal caso, erano puniti con la morte, creando talvolta incidenti diplomatici. Il culto egizio dei gatti dava loro il privilegio di essere mummificati dopo la morte, riconoscendo con questa pratica l’esistenza della loro anima sacra e immortale.
Con le periodiche inondazioni del Nilo gli animali dei canneti acquitrinosi infestavano le zone abitate, e i sacri gatti avevano il compito di tenere le case libere da rettili e topi.
Anche per questo i gatti erano particolarmente venerati sul delta del Nilo, a Bubasti, città sacra alla Dea Bastet, la benefica Dea dalla testa di gatta, signora delle bende e delle danze, dell’amore e della fertilità, sterminatrice dei nemici dell’Egitto, protettrice dalle malattie e dai furti. Nel suo tempio si celebravano periodiche festività con libagioni, processioni e riti sacri alla presenza di centinaia di gatti. Narra Erodoto che quando un gatto moriva, gli umani che vivevano con lui si radevano le sopracciglia in segno di lutto, e quindi lo imbalsamavano e lo seppellivano presso i templi di Bubasti.
Da simbolo geroglifico degli egizi che lo veneravano con il nome di Eluro, il gatto passò a rappresentare la Luna o il Mercurio filosofico nell’alchimia e quindi nel Rinascimento umanistico che diede nuova vita ai miti classici ed ellenistici. Ci si rammentò allora di Artemide – Diana, Dea della Luna, fuggita in Egitto con le sembianze di una gatta per sfuggire alle persecuzioni di Tifone. Le allegorie rinascimentali utilizzavano il gatto, creatura lunare e femminile, in contrasto con il simbolo del cane, solare e maschile: forze contrarie della stessa natura umana da pacificare e armonizzare come il nero e il bianco, la notte e il dì, l’ombra e la luce, le due facce di una stessa medaglia.
A tale proposito il famoso veterinario, scrittore e amico degli animali Fernand Méry (1897-1983) soleva dire: “Cani schiavi di re cristianissimi, gatti signori di re deisti”.
L’iconologo Cesare Ripa usò le immagini della gatta e della Luna a figurar la notte “perciocché la gatta è molto varia, vede la notte, e la luce dei suoi occhi cresce o diminuisce secondo che cala o cresce il lume della Luna” (Cesare Ripa, Iconologia).
Cosicché una gatta nera è uno dei massimi emblemi delle creature notturne e femminili, con gli occhi che brillano nell’oscurità e sembrano riflettere tutte le stelle, e nei quali Charles Baudelaire riusciva a leggere l’ora dell’eternità.
Sempre il Ripa utilizza l’immagine di un gatto per rappresentare la Libertà, perché “il detto animale non può comportare di essere riserrato nell’altrui forza”. E questo può spiegare come in certe epoche l’odio, spesso strumentale, verso la libertà si rivolgesse (e, ahimè, spesso si rivolge) contro i gatti, o contro le donne. Da qui forse il motivo della medievale condanna al rogo per le donne custodi delle antiche tradizioni erboristiche della Magia naturalis, per gli uomini cultori di quelle alchemiche o gnostiche, per donne e uomini che osavano avere una propria personale via spirituale o di conoscenza, per una donna che fosse soltanto sorpresa a fare una carezza a un gatto, o a dargli del cibo (secondo la bolla papale Summis desiderantes affectibus di Innocenzo VIII del 1484).
Ciò che un tempo era definito stregoneria o eresia ancora oggi è talvolta associato in modo superstizioso alla cosiddetta “sfortuna”; dimenticando o ignorando gli insegnamenti della psicologia analitica e l’importanza dell’integrazione dell’inconscio.
I gatti sono sempre apparsi creature notturne, lunari, sfuggenti, magiche, ambigue e femminili; spesso per questo associati ai culti della Dea, e di conseguenza profondamente venerati oppure ferocemente avversati nelle diverse epoche. Nei periodi e nei luoghi in cui la caccia alle streghe ebbe il ruolo di eliminare le tracce di questi antichi culti, il gatto nero fu particolarmente perseguitato e soltanto da questo deriva l’ancora attuale associazione alla sfortuna.
Ogni persona costruisce con le sue stesse mani il proprio futuro, e quasi sempre inconsciamente opera affinché si verifichino eventi che poi interpreta soggettivamente come “fortunati” o “sfortunati”: il caso non esiste, in nessun caso; ma anche se ci piacesse di pensare il contrario, incontrare un gatto nero per strada non può essere mai un avvenimento di significato negativo.
Incontrare un animale così intelligente e affascinante come un gatto non può essere in alcun modo un presagio di sventura, quale che sia il suo colore. Sembra invece antropologicamente più motivata la diffusa credenza che infastidire o uccidere un gatto porti anni di disgrazia e di grandi sciagure; ed è decisamente più logico pensare che accarezzare il mantello morbido e sempre pulito di un docile felino domestico abbia benefici effetti psicologici, così come le vibrazioni delle sue fusa sembra abbiano effetti terapeutici. Forse per questo molti pensano che i gatti, compresi quelli neri, abbiano la capacità di assorbire le energie negative da un ambiente o da una persona.
Capaci di essere dolci e feroci al contempo, i gatti sono all’occorrenza affettuosi e morbidi, ovvero schivi e graffianti, ma sempre aggraziati e affascinanti. Ricordano le caratteristiche delle antiche divinità femminili nei miti che hanno formato la nostra cultura e che ancora vivono negli angoli più profondi della nostra psiche. I gatti sono creature straordinarie che possono entrare in grande confidenza con l’uomo, di cui possono conoscere i pensieri più profondi.
C’è della magia nei gatti? Sono davvero creature enigmatiche, misteriose e affascinanti come le donne?
Chiunque ami gli uni e le altre lo pensa. E certo lo pensava l’abate Sperandio Bettazzi quando scrisse:
“Così Tu ancora, o Gatto avventurato,
Serba intatta la bocca e puro il Core,
E a colei pensa sol, che ti ha baciato”.