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I SIMBOLI CELESTI DEL CALCIO

a cura di Fabrizio Cecchetti
 

Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo è appena iniziato il ventesimo Campionato Mondiale di calcio, la più importante manifestazione “pallonara” del pianeta. Un appuntamento sportivo attesissimo che si svolge regolarmente ogni quattro anni fin dal lontano 1930, e che è saltato per due volte consecutive unicamente a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il paese ospitante la competizione è questa volta il Brasile, lo stesso che la organizzò nel 1950, ossia la nazione che forse più ama e soffre per questo gioco quando va incontro a sconfitte brucianti.

Giusto per farcene un’idea, pensiamo a ciò che accadde per l’appunto 64 anni fa, subito dopo la disfatta della nazionale brasiliana subìta nella finale contro l’Uruguay: uno stato di disperazione collettiva sia nello stadio del Maracanà, che al di fuori di esso, così sconvolgente da far morire d’infarto e da spingere al suicidio parecchia gente.
Una reazione del genere ha qualcosa di sconcertante ed apparentemente inspiegabile, specialmente per coloro che non si lasciano nemmeno sfiorare dal vortice del tifo o dal semplice gusto per lo spettacolo suscitato dal calcio, compreso quello offerto dal Mondiale. Essi si chiedono, peraltro un po’ infastiditi, che cosa abbia tanto di speciale questo sport da poter eccitare milioni di persone in tutto il mondo.

In effetti, fra tutti i giochi esistenti, il calcio o, come dicono più correttamente gli anglo-sassoni, il foot-ball, è certamente il più seguito e amato in tutto l’orbe terracqueo.
Non c’è luogo al mondo in cui qualche bambino e/o ragazzetto si astenga dal menare calci a una palla, magari fatta di stracci; così come, tranne rare eccezioni, non c’è nazione al mondo del tutto priva di un proprio campionato nazionale e di una propria capillare organizzazione calcistica volta a scoprire e coltivare nuovi talenti a livello giovanile.
Il calcio, in altre parole, nel secolo passato è diventato un fenomeno di massa così esteso e capillare da poter essere considerato un fatto antropologico di carattere planetario, e quindi universale.  

Molti studiosi della natura umana, ormai se lo stanno chiedendo da tempo in maniera sempre più pressante e perfino preoccupata: che cos’è che rende tanto attraente questo “divertimento” collettivo a metà strada tra un gioco da circo e uno sport atletico vero e proprio?  Che cosa c’è in esso che fa scatenare la follia delle tifoserie di ogni angolo del mondo spesso perfino in forme violente e vandaliche?

Alle sorgenti del rito moderno che richiama ogni fine settimana allo stadio o incolla ogni quattro anni allo schermo televisivo folle assatanate di pallone-dipendenti ci sono, forse, elementi simbolici molto profondi. Così profondi ed arcaici da sfuggire alla nostra comprensione cosciente.

Cominciamo dall’attrezzo principe adoperato nel calcio: la palla, o meglio il pallone. Come dedusse giustamente Jung, il grande psicoanalista svizzero, l’archetipo della sfera non è nato ex-novo in questi ultimi 150 anni (periodo nel quale sono nati i giochi con la palla moderni), risale probabilmente alle origini della nostra specie ed era ben attivo anche all’inizio di tutte le civiltà.
Lo dimostrano, ad esempio, alcuni riti para-religiosi dei popoli pre-colombiani; in particolare quello in cui si doveva cercare di infilare una sorta di palla in un cerchio infisso verticalmente nel muro; oppure quelle furibonde competizioni con la palla escogitate dai fondatori delle millenarie civiltà cinese e giapponese.
Il piacevole ed infantile baloccarsi con la palla non è, dunque, un’improvvisata moderna; l’uso ludico della sfera di cuoio appare più come un rito che mette al centro dell’attenzione un simbolo suscitatore di potenti suggestioni, che non un gioco puro e semplice.

E’ quanto meno curioso notare che questo strano sortilegio, che manda tre quarti di popolazione umana ciclicamente nel “pallone”, sia esploso al massimo proprio nell’epoca d’oro della scienza esatta, della logica binaria ed impersonale del computer, della tecnologia spaziale e robotica, nonché del rifiuto (per lo meno ufficiale) di ogni esoterismo magico e del declino di ogni credo religioso tradizionale.
Ciò sembra alludere, più che a una degenerazione pericolosa,  a un tentativo inconscio di importanza vitale e salutare: recuperare in modo ludico ciò che di irrazionale, di fantastico, di magico e di imprevedibile vi è sepolto in noi.

Niente sembra ridestare meglio la nostra “anima” fanciullesca, da sempre in profondo contatto con la globalità e l’imprevedibilità della Natura, quanto la palla.
Piccola, media, grande, di plastica, di cuoio, addirittura ovale, non importa, purché rotoli, rimbalzi e che si presti ad essere lanciata, colpita in varie maniere e alle volte con attrezzi sussidiari (tipo mazze, racchette, eccetera); la palla non solo è capace di risvegliare qualche nostro ricordo infantile del tutto personale, rappresenta la nostra tenera e capricciosa “anima” interiore da inseguire, afferrare, lanciare e addirittura colpire, ma mai dimenticare.

Inoltre, se da un lato la sfericità della palla è sinonimo di perfezione e di purezza (vedi la geometria pitagorica), dall’altro è simbolo di mutevolezza e inattendibilità proprio perché, essendo priva di spigoli ed appiattimenti, non garantisce appigli alla stabilità e alla certezza. Come madre Natura, la palla è perfetta e regolare nelle forme, ma imprevedibile nei fatti e nelle sue evoluzioni balistiche. Cosicché è altamente probabile che questo desiderio di dimenticare la triste e piatta quotidianità, godendo come dei fanciulli delle esibizioni dei giocatori con la palla, sia un modo sublime di ricordarci che non si può e non si potrà mai piegare totalmente la Natura ai nostri voleri.

Accanto, o meglio confusa, a quest’immagine poetica della palla c’è, però, anche qualcosa, se vogliamo, di assai più carnale e prosaico, ma pur sempre seducente: le rotondità del corpo femminile.
Non voglio essere impertinente, ma bisogna ammettere che il fascino della sfera lo subisce soprattutto la parte maschile dell’umanità e questo dovrebbe far riflettere un po’.
Per quanto maschilista possa sembrare quest’affermazione, la schiacciante superiorità numerica di appassionati maschi, pullulante nel calcio, rispetto all’esigua tifoseria femminile, la dice lunga.
La relazione della sfera con le curve femminili sembra quasi pornografica, ma lo è forse meno se partiamo dal presupposto figurato che le forme tondeggianti della palla somigliano si ai glutei di una bella donna, ma anche ai seni materni, e non solo a quelli della fidanzata. 
Il discorso ha sapore ormai freudiano (oltre che junghiano), ed è facile a questo punto tradurre il bisogno di lasciarsi soggiogare dalla malìa della palla come una sorta di rimpianto per il grembo materno perduto, come una regressione comportamentale di natura edipica.

Ora, avendo già individuato l’oggetto simbolo che sta alla base del suddetto fenomeno di massa, non resta che trasporlo nel linguaggio astrologico che ci è noto.
Nel nostro bagaglio c’è un solo simbolo celeste che riesce a contemplare concetti apparentemente senza legami come lo sono appunto quelli che abbiamo scoperto in relazione alla palla e cioè l’anima, la Natura, l’infanzia, la mamma, la femminilità sia psicologica che corporea, la mutevolezza, la rotondità: ed è, senza alcun dubbio, la Luna.
Per qualche studioso di astrologia, magari avverso agli sport basati sulla palla, potrebbe sembrare strano o addirittura offensivo associare la poetica Luna a questo oggetto di volgare divertimento collettivo.
Volgare o no, resta però il fatto che la palla ha indiscutibilmente il potere di catalizzare le emozioni di folle enormi (altra simbologia lunare), di eccitare i nazionalismi (lunar-cancerini) più dormienti e di far sognare (ancora la Luna) intere schiere di adulti spesso mai cresciuti.

Un altro elemento simbolico fondamentale di questo gioco è, ovviamente, l’uso prioritario dei piedi.
Si tratta di una caratteristica davvero unica tra tutti i giochi con la palla praticati nel mondo che ci rimanda senza mezzi termini a una matrice astrologica ben precisa: il segno dei Pesci, governatore dei piedi, appunto.
Inventare un gioco dove si colpisce la palla prevalentemente con queste appendici articolate , diciamolo, ha qualcosa di bizzarro (altro richiamo al segno dei Pesci), nel nostro variegato panorama ludico-sportivo.
In effetti, tutti gli altri giochi con la palla hanno sempre tenuto conto della nostra innata propensione ad usare le mani (riconducibile all’opposta Vergine), anziché i piedi.
L’uso occasionale delle suddette estremità inferiori (Pesci) costringe l’uomo medio attuale a gestire gli oggetti, pallone compreso, con una goffaggine e un’imprecisione (ancora Pesci) da far crepare dalle risa chiunque.
E allora perché proprio i piedi sono diventati i “protagonisti” del gioco più seguito ed amato del mondo?

In nostro soccorso, ci sono vari indizi che sembrano supportare un’ipotesi apparentemente strampalata lanciata anni fa da un famoso giornalista sportivo e scrittore ora scomparso, Gianni Brera: il piacere di giocare a foot-ball, secondo lui, deriverebbe dalla volontà inconscia di rivalutare le nostre estremità inferiori che milioni di anni fa erano, in fondo, le “mani posteriori” dei nostri progenitori scimmieschi.
I grandi maestri della psicanalisi, del resto, ce lo insegnano: quando ci troviamo di fronte a un fenomeno sociale così diffuso e imponente, come la passione per il calcio, c’è sempre qualche pulsione inconscia collettiva che preme per venire alla luce.
Il bisogno di baloccarsi e/o veder dei giocatori divertirsi con la palla tra i piedi potrebbe, insomma, non essere casuale, poiché rappresenterebbe un tentativo estremo di compensare lo squilibrio psichico provocato dal dominio esagerato del razionalismo e soprattutto della tecnocrazia nel nostro alienante modo di vivere odierno.

Regredire emozionalmente a uno stato infantile, fatto di urla di gioia e pianti a dirotto, riappropriarsi di una parte del corpo dimenticata e spesso persino derisa, disprezzata come i piedi, nonché lasciarsi affascinare dal ruolo ludico-simbolico della sfera sotto forma di pallone di cuoio…del resto, sono tutte pulsioni che ci parlano sia della Luna, che dei Pesci, dove essa è (guarda un po’) esaltata schematicamente.
Ossia, ci rimandano a un segno che aborre la volontà di cancellare ogni imperfezione e ogni imprevisto dall’esistenza, delegando il destino umano al perseguimento di programmi (ipsilonico-verginei) ben calcolati, ma privi di anima. Viceversa, ama la libertà di inventare sbagliando (Nettuno), gode intimamente (Giove e Luna) di tutto ciò che è strano, bizzarro, inimmaginabile a priori e che trasuda creatività espressiva ed artistica (Nettuno e Venere esaltata in trasparenza).
Il dodicesimo segno, lo sappiamo, parteggia più o meno esplicitamente per i solisti geniali e sregolati, spesso magari incompresi e perdenti, mentre finisce per sfuggire inorridito davanti al collettivismo rigidamente organizzato e imposto con la forza (rappresentato dall’opposta  Vergine).
Uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, ha un tema natale che sembra la summa di tutto questo discorso attorno al foot-ball/Luna-Pesci-Cancro, osserviamolo:

Diego Armando Maradona – 30/10/1960  h. 07.05  a Lanùs (Argentina)

Chi se ne intende almeno un po’ di calcio e astrologia riconosce qui subito uno dei cardini basilari su cui ruota da sempre questo gioco: la fantasia e l’improvvisazione dei solisti, il genio e la sregolatezza (Sole-Nettuno congiunti, nonché Mercurio e Venere tutti in Casa 12a), la capacità intuitiva quasi medianica e la sensibilità dei piedi (Luna in Pesci), ma anche la combattività un po’ capricciosa e infantile che si acuisce per difendere la madre, la patria, oppure…la palla (Marte nel segno lunare del Cancro).
Certo Maradona è stato un calciatore imprevedibile e immaginativo, ma anche ribelle, furbo e malizioso, capace d’ingannare qualsiasi avversario con delle finte funamboliche pur di penetrare nelle difese altrui e segnare un goal. Ora, queste proprietà plutoniche, mercuriali e marziane di astuzia, cattiveria e insidiosità sono perfettamente rispecchiate nel suo tema dai forti valori scorpionici (Sole-Nettuno e Mercurio nel segno al largo trigono di Marte in Casa 8a), come lo sono quelle riscontrabili nei temi di altri formidabili giocatori che sono diventati famosi per le loro doti di goleador: Pelè, Riva, Mazzola, G. Muller, Van Basten, Del Piero, ecc.

A proposito di valori marziani scorpionici, bisogna necessariamente integrare al discorso calcistico anche quelli marziani arietini. Perché? Se abbiamo chiamato direttamente in causa la parte anatomica più usata in questo gioco, e cioè i piedi-Pesci, non possiamo dimenticarne un’altra ancora più insolita, forse unica: la testa, o meglio il cranio, specialmente la sua parte frontale.
Come forse sapranno anche i più digiuni di calcio, oltre a colpire la palla con i piedi i giocatori in pantaloncini corti e calzettoni possono imprimere alla stessa una traiettoria utile anche con il capo, soprattutto con la fronte, sempre che la sfera voli all’altezza giusta dal suolo.
Ebbene, anche l’astrologo dilettante meno preparato sa che questa zona del corpo è stata da sempre associata al segno marziano e quindi bellicoso per eccellenza: l’Ariete.
Questo particolare collegamento astrologico ci rammenta subito che il gioco del calcio, anche se disciplinato da regole volte a garantire l’incolumità dei suoi praticanti, non è attività ludica da “femminucce” o da soavi e delicate “ballerine” (benchè ci siano nel mondo tante e bravissime, ma pur sempre ruvide ed “amazzoniche”, giocatrici di calcio femminile).
Colpire il pallone di cuoio con la capoccia, bisogna riconoscerlo, ci vuole una buona dose di coraggio virile, o persino di autentica spericolatezza, perché c’è sempre il rischio di incocciare il cranio o il piede di qualche altro giocatore con esiti spesso dolorosi e a volte addirittura gravi.
Inoltre, ad essere arietino è ovviamente anche lo spirito guerresco del foot-ball, condiviso però anche da molti altri giochi che utilizzano la palla.
Ogni partita giocata è, in fondo, una sorta di battaglia campale tra due minuscoli eserciti (le due squadre avversarie composte da undici giocatori ciascuna), così come un campionato o un torneo, come quello della Coppa del Mondo che ora si gioca in Brasile, è una sorta di guerra simulata da vincere dopo una serie più o meno lunga di scontri tra più rivali.

Altrettanto marziano-arietina è poi la necessità di far entrare nella porta avversaria il pallone. Un attrezzo rotondo che, da morbida “anima” da accarezzare con i piedi, diventa all’improvviso un violento strumento di penetrazione (Marte), un autentico proiettile (sempre Marte) che deve infilarsi nella porta-vagina (Venere) presente nel campo opposto, superando la folta e dura barriera difensiva eretta dall’avversario.
Dalla dialettica Pesci-Vergine, incardinata sulla ricerca di un compromesso tra caotica genialità e noiosa metodicità, qui si è ormai passati alla dialettica Ariete-Bilancia e cioè alla necessità di trovare un equilibrio tra l’istinto brutale dell’attacco (Sole-Marte) e il bisogno di opporgli delle resistenze (Saturno-Venere), ma anche tra l’egoismo individualista del singolo attaccante (Sole-Marte) che vorrebbe vincere le partite da solo e l’altruismo indispensabile per creare la solidarietà collettiva (Saturno-Venere) all’interno di una squadra.
Questo tipo di dialettiche zodiacali, che costituiscono le linee guida astro-simboliche della natura più profonda e basilare del calcio, sono riscontrabili anche ad altri livelli più complessi.

Tutti gli appassionati, dilettanti o professionisti che siano, ad esempio, si arrovellano il cervello da sempre sulla bontà o meno di alcune opposte filosofie di gioco: è meglio il foot-ball “bailado” alla brasiliana, tutto genio e spensieratezza (Pesci), oppure quello sparagnino, difensivista e noioso all’italiana (Vergine), capace comunque di fulminei contropiedi? E’ meglio il calcio frenetico, ruvido e spartano (Ariete), votato all’attacco ma poco fantasioso come quello anglo-sassone, oppure quello calmo, paziente e raffinato (Bilancia), impostato sul possesso della palla, che è stato perfezionato dagli spagnoli recentemente?
Nessuno lo sa con certezza, ovviamente, dato che i risultati dell’una e dell’altra filosofia sono sempre altalenanti!
Per quanto gli allenatori, i coach, i commissari tecnici spesso vogliono imporre alle proprie squadre qualche loro specialissimo modulo, sono sempre delle particolari e spesso irripetibili combinazioni di talento individuale, atletismo e disciplina tattica, ma anche di semplice sintonia mentale tra compagni di squadra, che determinano i grandi successi e perfino i cicli vittoriosi più prolungati, o l’affermarsi di certe “scuole” calcistiche.
Ecco anche perché è così difficile azzeccare delle previsioni astrologiche in questo campo: ci sono molti, troppi fattori che sfuggono all’interpretazione! La condizione ideale, naturalmente, sarebbe quella di possedere i dati di nascita completi e precisi, ad esempio, delle squadre nazionali che partecipano al Campionato Mondiale ancora in corso; ma si tratta di una vera e propria utopia, perché la genesi cronologica di entità come queste è spesso mal documentata e avvolta nelle nebbie del mito.

Per ora ci si deve accontentare di certe osservazioni intriganti, ma piuttosto grossolane, come ad esempio quella che misteriosamente vede l’Italia vincere o perlomeno giungere alla finalissima ogni dodici anni, in corrispondenza con il transito di Giove in Bilancia-Scorpione: 1970 (secondo posto), 1982 (primo posto); 1994 (secondo posto); 2006 (primo posto). Il fatto che in questo Mondiale brasiliano la nostra amata nazionale azzurra non abbia superato nemmeno la prima fase a gironi, purtroppo conferma la tendenza celeste che la vede abbastanza deludente negli appuntamenti mondiali segnati da Giove in Cancro e da Giove in Pesci. Per vederla salire sulla vetta del mondo, forse, sarà necessario aspettare altri quattro anni: nel 2018, quando Giove ritornerà di nuovo in Scorpione…chi vivrà, vedrà!




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