La Mesopotamia, l’antichissima terra fra i due fiumi che fu culla delle civiltà dei tre continenti del Mondo Antico, è da tempo uno dei luoghi geopoliticamente più complessi del pianeta. L’intera area mediorientale è al centro di molteplici interessi economici per le importanti riserve petrolifere che sono una, se non la principale, causa dei sanguinosi conflitti che sembrano non aver mai fine. A rendere ancora più complessa la situazione geopolitica c’è il complicato mosaico di etnie e religioni, poco e mal compreso dal punto di vista occidentale, che tende da sempre a generalizzare per scarsa conoscenza, e quindi per paura.
In queste martoriate terre si combatte da più generazioni e risulta quasi impossibile anche stilare un semplice elenco dei conflitti, qui citati senza ordine cronologico: guerre arabo-israeliane, conflitti israelo-palestinesi, guerra civile in Libano, guerra del Golfo, rivoluzione siriana, guerra dei turchi con i kurdi del PKK, rivoluzione iraniana, guerra fra Irak e Iran. Sembra un infinito Risiko in cui tutti combattono contro tutti.
I recenti successi militari del cosiddetto IS (Stato Islamico) sta richiamando l’attenzione dei media e preoccupando l’opinione pubblica occidentale per un’eventuale espansione del conflitto, che per il momento interessa la Siria e l’Irak, ma rischia di espandersi negli Stati confinanti.
Pur essendo piuttosto complicato, cerchiamo di fare chiarezza sui diversi attori in gioco e sui territori.
Irak
Dai tempi della Guerra del Golfo e della successiva caduta di Saddam Hussein, la situazione non si è mai normalizzata, malgrado da allora si siano succeduti governi di coalizione sostenuti a lungo dalle forze militari occidentali, ma ormai i soldati americani hanno abbandonato il Paese. L’Irak è diviso di fatto in tre territori: la zona ovest occupata dai miliziani dell’IS, la zona nord amministrata da una sorta di stato indipendente kurdo, il resto controllato con difficoltà dal governo di Bagdad, attualmente in urto con la popolazione di religione sunnita.
Siria
Dai tempi di quella che fu chiamata “Primavera araba” è in atto una guerra civile senza esclusione di colpi. Il governo siriano del dittatore Assad controlla ormai soltanto la capitale e una piccola parte del territorio nazionale. I ribelli che lo combattono sono un coacervo di fazioni politiche e religiose diverse, con alleanze e obiettivi variabili e complicati. La popolazione civile è allo stremo.
I siriani sono di etnia araba, ma non tutti sono di religione islamica.
Kurdistan
Anche fra gli irakeni, che sono di etnia araba, ci sono islamici sunniti, islamici sciiti, yazidi, cristiani; ma nel nord vivono milioni di kurdi, che invece sono di etnia indoeuropea, da sempre aspirano ad avere un proprio stato indipendente, e che, a loro volta, appartengono a diverse religioni. Molti altri kurdi vivono nell’Iran nord-occidentale, in Siria e nella Turchia orientale. Particolarmente in Turchia i kurdi del PKK per anni hanno combattuto una dura guerriglia per l’indipendenza.
Del resto la Turchia e l’Iran sono potenze regionali che ambiscono all’egemonia nel Medio Oriente, soprattutto dopo le guerre che hanno destabilizzato la regione e rotto i delicati equilibri geopolitici.
A tutto questo si aggiunga la profonda divisione teologica fra islamici sunniti e sciiti, risalente al VII secolo d.C.: i primi riconoscono Maometto come profeta e il suo vicario (Califfo) Abu Bakr, i secondi Alì come successore di Maometto. I sunniti sono la maggioranza fra i siriani e i turchi, ma gli sciiti sono rappresentati da una forte componente irakena (soprattutto nel Sud) e dalla maggior parte degli iraniani, i quali però non sono arabi e da generazioni sono in conflitto con i vicini irakeni.
A sconvolgere ancor più il puzzle regionale si sono recentemente affacciati alla ribalta internazionale i miliziani di Jama’at al-Tawhid wal-Jihad: questi erano inizialmente una fazione di combattenti jihadisti vicini a Al Qaeda che operavano fin dal 1999 in Irak con azioni terroristiche, e che hanno approfittato della guerra civile in Siria per prendere possesso di vaste aree orientali e settentrionali di questo stato. Nel 2013, preso possesso di alcuni importanti territori mesopotamici, si sono autoproclamati “Stato Islamico dell’Irak e del Levante”, ISIL (Islamic State of Irak and Levant), ovvero anche ISIS (Islamic State of Irak and Syria), o, più semplicemente IS (Islamic State).
È nato così un autoproclamatosi “Califfato”, che si richiama formalmente e simbolicamente ai primi secoli dopo Maometto, che videro l’intera nazione araba guidata spiritualmente e politicamente dai suoi successori e vicari, detti appunto “Califfi”.
I combattenti dell’IS hanno rapidamente conquistato centri abitati e centri industriali, pozzi di petrolio e dighe, approfittando della debolezza dei governi siriano e irakeno e delle divisioni interne alle diverse fazioni, sia filogovernative che ribelli. La loro ideologia deriva dal pensiero e dall’opera dei leader terroristici Osama Bin Laden, Ayman al-Zawahiri e soprattutto Abu Musab al-Zarqawi, che già ai tempi della Guerra del Golfo aveva teorizzato la creazione in Irak di un califfato di stretta osservanza fondamentalista sunnita: uno stato che applicasse la legge islamica (Shari’ah) da imporre con la forza a popolazioni stremate da guerre e attentati continui.
In realtà, come spesso avviene, la religione c’entra poco o niente con gli impianti di produzione di energia elettrica e i pozzi di petrolio, e meno che mai con il potere e con il denaro. Il Califfato è piuttosto organizzato economicamente e operativo nel vendere energia elettrica al governo siriano (anche se ufficialmente nemico), e petrolio ai migliori offerenti. In questo modo il Califfato riesce a pagare i propri miliziani ancora meglio di quanto non facciano gli eserciti regolari e le altre fazioni ribelli. L’esercito dell’ISIS, di poche migliaia di combattenti ben equipaggiati e pagati, riesce a spingersi rapidamente e in profondità nei territori vicini, con avanzate non ordinarie che destabilizzano le scarse difese del nemico. Le alleanze con gruppi sunniti locali garantiscono un certo controllo dei territori occupati. Le azioni brutali e violente come le decapitazioni o la riduzione in schiavitù dei prigionieri tengono alta la tensione e coesi i gruppi paramilitari, ma soprattutto fanno parte di un’operazione di marketing che finora si è rivelata efficiente nel sostenere la strategia del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Anche le ambiziose dichiarazioni di voler conquistare Giordania, Palestina, Libano, Turchia e Africa settentrionale fino al Maghreb sono funzionali allo scopo.
In questa grande operazione globale di immagine ancora una volta sono i simboli a essere i veicoli principali del messaggio.
Le bandiere nere per il loro stesso colore sono emblemi che richiamano durezza e morte senza compromessi, e sono intese seriamente minacciose in Occidente, mentre risvegliano l’orgoglio etnico e religioso di molti gruppi estremisti e fondamentalisti arabi. Nella bandiera e nello stemma si legge Bàqiyah wa tatamaddad, che significa “Restare ed espandersi”, ma anche “Consolidarsi ed espandersi”, ma il significato più profondo è quello di una “élite di sopravvissuti che si espande”, come lascia immaginare qualche versione del drappo con la sola parola Bàqiyah. Nel motto si riconosce il senso della strategia fin qui adottata e l’obiettivo di creare un vero e proprio Stato consolidato sul territorio e fondato sulla religione che secoli fa dominò sia politicamente che spiritualmente in tutta l’area con la successione dei Califfi.
Altre scritte sono espliciti richiami religiosi all’unicità di Dio e al suo profeta, e sono quindi tese a sostenere la rivendicazione del Califfato stesso.
Nello stemma rotondo si legge in alto “Lo Stato Islamico in Irak e in Siria”, mentre in basso è scritto “Bandiera unica, Stato unico”.
La stessa pratica del brutale taglio della testa è un atto fortemente simbolico che evoca nei campi opposti emozioni contrastanti: minaccia e paura, forza e terrore, esaltazione e ineluttabilità, potere e brutalità. Tale violenza verso persone inermi suscita paura e appare gratuita ai cittadini delle civiltà occidentali, ma fortemente evocatrice di un passato orgoglioso a quegli estremisti che sono in attesa da generazioni di una rivalsa dei loro popoli, che ritengono sfruttati e corrotti da quelle stesse civiltà. I simboli non parlano certamente alla ragione, e in questo caso vanno dritti alla pancia.
Come dicevo, l’operazione dell’ISIS per creare un’immagine vincente sembra essere stata ben pianificata, e aver avuto un discreto successo anche in Occidente, dal momento che si contano in diverse centinaia i miliziani provenienti dall’Europa e dall’America, attratti da una paga sicura, e affascinati dai simboli utilizzati ad arte.
Contemporaneamente azioni terroristiche e suicide anche spontanee rischiano di essere messe in atto nei Paesi occidentali, così come in quelli arabi, da singoli simpatizzanti per la causa. L’azione improvvisa del 22 ottobre 2014 a Ottawa, che ha causato due morti compreso l’attentatore, sembra infatti essere un atto isolato non pianificato strategicamente, ma comunque funzionale agli interessi dell’ISIS.
Appare anche molto grave la generalizzazione di giudizio che l’opinione pubblica occidentale potrebbe avere sull’intera complessa questione, risvegliando avversioni etniche giustificate solo dall’ignoranza e dal pregiudizio, e alimentando analoghi comportamenti da parte delle fazioni più estremiste, giocando quindi un ruolo nell’interesse dell’ISIS, che può solo avvantaggiarsi dalla radicalizzazione delle posizioni.
Come abbiamo visto, per ora molti fattori concorrono ai successi strategici e militari di questo autoproclamato Stato; e la sua minaccia verso la stabilità e la pace mondiale è assolutamente concreta, in vista di probabili reazioni della Turchia, dell’Iran, o di Israele, potenze regionali di notevoli capacità militari.
Proprio in questa ottica di medio-lungo periodo, il futuro del Califfato non sembra tranquillo, a meno che non intervengano alleanze internazionali al momento non ancora ipotizzabili. Nel frattempo temo che molto sangue scorrerà ancora su quelle terre un tempo fertili, molto petrolio scorrerà negli oleodotti e molto denaro continuerà ad alimentare la violenza, mentre saranno ancora strumentalizzati antichi valori etnici e religiosi, e simboli, che certamente non erano nati per questo scopo.
Ma essendo i simboli e le culture al servizio dell’uomo e non viceversa, l’uomo non potrà in nessun caso delegare loro le responsabilità che sono solo sue. E se l’uomo si rende disumano per pura sete di potere e di denaro non potrà dare la colpa a nessuno se non a se stesso.