L’Agorà, l’antica piazza di Atene dove si svolgeva la vita pubblica della città-stato è forse il primo simbolo della democrazia.
Era qui, a fianco dell’altare dei Dodici Dei, che, almeno dal VI secolo a.C. si riunivano in consiglio i rappresentanti della comunità per amministrare lo stato.
Qui nacque la democrazia, una forma di governo che gli ateniesi si vantavano di aver sperimentato per primi nella storia, e che è stata un modello, con alterni successi, per circa duemilacinquecento anni.
Poco più di un decimo della popolazione ateniese godeva del diritto di proporre e di votare le leggi, e si trattava soltanto di cittadini di sesso maschile, ma il sistema rappresentò comunque una grande novità nei confronti delle monarchie assolute e delle oligarchie, nelle quali un ristretto numero di persone aveva tutti i poteri.
Il grande Pericle infine portò al massimo splendore la città sotto un governo democratico; alla sua epoca risalgono altri simboli universalmente riconosciuti, come lo straordinario tempio della Dea eponima Atena sull’Acropoli: il Partenone, che Fidia volle progettare con le sacre proporzioni auree, e che gli organi di potere esecutivo fecero edificare tagliando drasticamente le spese militari, pur in un periodo di rischio bellico.
Il termine democrazia deriva da Demos (popolo) e Cratos (potere): esso significa quindi testualmente “potere del popolo”. Nel tempo ha dimostrato di sapersi evolvere adattandosi alle problematiche degli stati moderni, mantenendo sostanzialmente il principio cardine sul quale essa si basa, cioè la sovranità popolare. E proprio su questo punto fondante le democrazie moderne trovano oggi un terreno di scontro con altri poteri che la civiltà occidentale capitalistica ha consolidato nei secoli.
L’antica Atene forse non aveva una democrazia del tutto compiuta, ma certamente più e meglio partecipata delle attuali: gli stati occidentali di oggi sembrano aver perso parte dello spirito di un tempo, avendo permesso al sistema economico capitalista, che è di per sé oligarchico, di gestire la politica. Oggi, infatti, la politica dei singoli governi e delle loro associazioni appare debole e incapace di governare la grande complessità dei sistemi globali, per cui la democrazia sembra essere più virtuale che non concreta espressione di sovranità.
Certamente in questa problematica l’umanità paga il prezzo di non aver mai avuto un governo mondiale, mentre il cosiddetto villaggio globale si sta uniformando alle universali leggi del mercato.
Un’altra causa del declino delle democrazie occidentali risiede probabilmente nella crisi di valori, nell’incipiente materialismo, nella scarsa memoria dei popoli, nella crescente inconsapevolezza legata alla diffusa ignoranza che si cela dietro l’informazione di massa.
Louis de Wohl (1903-1961) fu un importante astrologo del secolo scorso, che lavorò nel settore della propaganda psicologica per i servizi segreti britannici durante il secondo conflitto mondiale presso lo Special Operation Executive del MI5. Per de Wohl la democrazia era esattamente ciò che diceva di essere: “essa è buona o cattiva a seconda che il popolo sia l’una o l’altra cosa”.
Credo di comprendere cosa l’astrologo de Wohl intendesse dire. Nella situazione ipotetica in cui le masse fossero particolarmente deprivate dei valori tradizionali, etici e umani universali, e fossero per questo stesso motivo influenzabili emotivamente e facilmente strumentalizzabili, gli antichi greci, padri della democrazia, si sarebbero probabilmente espressi a riguardo utilizzando il metodo filosofico del sillogismo con tesi, antitesi e sintesi:
Tesi: la democrazia è il potere del popolo.
Antitesi: il popolo è inconsapevole e ignorante.
Sintesi: l’inconsapevolezza e l’ignoranza scelgono chi governa.
E, ben consci dell’importanza di ciò e del valore dell’educazione e dell’istruzione pubblica e libera, gli oligarchi di sempre hanno cercato costantemente di controllare e limitare la conoscenza e la coscienza dei popoli. I mezzi di informazione di massa moderni come le televisioni hanno fornito loro un’arma globale di straordinaria potenza, al punto che oggi sono molti a dubitare che davvero la democrazia sia ancora la forma di governo più adatta ai nostri tempi.
A tale riguardo Tullio De Mauro, uno dei (pochi) culturalmente preparati Ministri italiani dell’Istruzione, ebbe a dire: “La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa. [...] Se questo non c’è, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi – sono forme vuote”.
A questo punto oso affermare che uno dei simboli della democrazia sia proprio la cultura, e che senza questo simbolico pilastro il tempio democratico diventi una fragile costruzione che rischia di sgretolarsi, specialmente se ci si piantano sopra troppe bandiere, come diceva Enzo Biagi.
Chi non è informato, e soprattutto formato, non può scegliere con autentica libertà.
Esattamente due secoli fa, era presidente degli Stati Uniti d’America James Madison, padre della Costituzione e sincero difensore dei principi democratici, dei diritti individuali, e soprattutto dell’equilibrio fra i poteri. Già in quell’epoca, ancor priva di istruzione diffusa e di mezzi di informazione di massa moderni, Madison affermò:
“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell'informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l'informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”.
Oggi viviamo nella paradossale situazione nella quale un eccesso di informazione equivale a una dis-informazione, a un’informazione scarsa e/o superficiale, ovvero a una effettiva non informazione. Lo comprende bene chi utilizza i motori di ricerca sul web per documentarsi su argomenti dei quali conosce poco o niente: trova tutto e il contrario di tutto, rimanendo nella confusione e nell’incertezza.
Conseguentemente non ha modo di formarsi un’opinione senza una guida, né di scegliere per il meglio, specialmente se le proprie scelte riguardano i destini dell’intera nazione.
Fa male al cuore assistere a questa crisi della democrazia, dopo che essa era stata conquistata dai nostri avi a prezzo del loro stesso sangue. Duole vedere gli aspiranti tiranni sorridere di questa crisi. Dispiace osservare gli oligarchi trionfare sulle pseudodemocrazie.
Né vorremmo mai pensare come l’arguto personaggio di Luigi Pirandello (Il fu Mattia Pascal), giacché è proprio questo che desiderano i despoti di sempre:
“Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa d’esser uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa; la tirannia mascherata da libertà”.
Esiste allora una soluzione? Esiste una forma migliore della democrazia?
Nell’ipotesi utopistica di singoli cittadini educati, ben informati e consapevoli, non ci sarebbe bisogno della democrazia, né di nessuna altra forma di governo: esseri liberi e coscienti non ne hanno alcuna necessità.
Ma, in attesa di tale futura utopica e anarchica repubblica mondiale degli spiriti liberi e delle coscienze, forse la democrazia dovrebbe oggi migliorarsi sposando il principio che un tempo gli fu avversario: l’aristocrazia, intesa etimologicamente come governo dei migliori.
Ma come scegliere gli Aristos, i migliori? Non certo per nascita o per censo! Come allora? Con consapevolezza, con coscienza?
Ancora una volta il nodo dell’informazione e della conoscenza si intreccia con quello della coscienza.
E il primo problema delle fragili democrazie moderne ritorna e rimane irrisolto: senza il pilastro simbolico della cultura, l’impalcatura democratica crolla.
Sulle importanti questioni della democrazia, per uno strano gioco dei simboli, proprio in questi giorni Atene è di nuovo al centro dell’attenzione del mondo. Dopo mesi di trattative, proprio sabato scorso 27 giugno 2015, all’una di notte, il capo del governo ellenico Alexis Tsipras ha fatto sentire da Atene al mondo intero il proprio pensiero sulla democrazia e sulla sovranità popolare.
Tsipras ha solennemente dichiarato:
“Ci è stato chiesto di mettere in atto gli accordi fatti col precedente governo nel ‘memorandum’, nonostante questi fossero stati categoricamente condannati dal popolo greco nelle recenti elezioni. […] in questo momento pesa sulle nostre spalle, attraverso le lotte e i sacrifici, la responsabilità storica del popolo greco per il consolidamento della democrazia e della sovranità nazionale. La nostra responsabilità per il futuro del nostro paese. E la nostra responsabilità ci richiede di rispondere all’ultimatum sulla base del mandato del popolo greco. Pochi minuti fa alla riunione di gabinetto ho proposto l’organizzazione di un referendum, perché il popolo greco possa decidere in maniera sovrana. Questa proposta è stata accettata all’unanimità. […] La Grecia, il luogo di nascita della democrazia, manderà una forte e sonora risposta all’Europa e al mondo. Mi impegno personalmente al rispetto dei risultati della vostra scelta democratica, qualsiasi essi siano.
Sono assolutamente fiducioso che la vostra scelta onorerà la storia del nostro Paese e manderà un messaggio di dignità al mondo. ”.
Comunque la si pensi, e qualsiasi ideologia guidi le nostre menti, si deve riconoscere che stiamo assistendo a un coraggioso tentativo di ristabilire il principio cardine della democrazia che da alcuni anni è in crisi: la sovranità del popolo.
Dai diversi punti di vista l’atteggiamento del governo greco potrà apparire velleitario, incosciente, audace, pericoloso, preoccupante. Ma, al di là del merito della questione politica greca, è la sorte della stessa democrazia che è in gioco. La domanda è se in una democrazia moderna il popolo è realmente sovrano oppure no, ovvero se lo è mai stato, oltre le apparenze.
Stiamo assistendo, proprio in questi giorni, ad Atene, all’inizio della rinascita o all’inizio della fine della democrazia plurimillenaria?
Il braccio di ferro è arrivato al punto di non ritorno, ma, al momento, nessuno può sapere quali conseguenze ci saranno per la Grecia, per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero.