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IL POTERE NELLE RELAZIONI AFFETTIVE

a cura di Paolo Crimaldi
 

“Dove regna l’amore non c’è volontà di potenza; e dove la volontà di potenza è grande, manca l’amore”.  Carl Gustav Jung
 
Ogni relazione è un esercizio di potere tra le persone coinvolte, anche quando il rapporto si estende oltre la coppia originale.

Chiaramente all’interno di un rapporto sentimentale agiscono varie forme di potere, da quello puramente affettivo a quello sessuale, economico o relativo allo status sociale. Ognuno agisce e porta nel ménage ciò che sa di esercitare al meglio e che in un modo o nell’altro gli procura vantaggi.

Paradossalmente anche nella coppia vittima-carnefice c’è un gioco d’esercizio del potere che, per quanto patologico e perverso, coinvolge entrambe le persone e dà loro un qualcosa che permette l’equilibrio della relazione stessa.
Del resto sappiamo che il terreno dei rapporti affettivi è molto spesso un campo minato in cui le insicurezze, i timori, le ombre si affacciano e portano con sé vissuti problematici che possono spingere all’uso di strategie di potere finalizzate a occultarle, o comunque a trasformarle in pregi, potenzialità tali da generare interesse e attaccamento nel partner.

Esistono però strategie di esercizio del potere in una relazione che possono avere una natura profonda e che si possono ricercare nelle prime fasi di vita all’interno delle interazioni che si vengono a creare nella diade madre-bambino.
Del resto noi impariamo a conoscere il mondo attraverso gli altri, spesso imitando strategie comunicative degli adulti a noi vicini perché inconsciamente le troviamo vincenti.

Probabilmente c’è un imprinting emotivo che condiziona profondamente il nostro modo di costruire e rompere rapporti e che si modula proprio su strategie di potere che abbiamo acquisito grazie all’osservazione diretta dei nostri caregiver.

Un genitore profondamente manipolativo nel rapporto con il proprio partner e/o con il figlio diventa un modello su cui molto spesso il bambino costruisce il proprio modo di stare all’interno di una relazione affettiva anche se risulta essere disfunzionale e problematico.
Da adulto questa modalità diventerà sempre più operativa e se patologica, o comunque disturbante il proprio benessere emotivo e relazionale, risulterà non facile da trasformare o liberarsene.

Una delle principali forme di potere che viene esercitato nella coppia è quella legata alla sessualità. Qui il potere si manifesta attraverso una forte fisicità, tramite comportamenti allusivi e provocatori sia verso il partner, e ancor più nei riguardi di figure terze al fine di suscitare gelosia e insicurezza in chi si ha accanto generandogli un continuo stato d’allerta, fino a giungere, laddove si trova  già una predisposizione, alla perdita di sicurezza e stima in se stessi, e in alcuni casi può spingere anche a strutturare un attaccamento ossessivo e cieco a qualsiasi forma si manipolazione e ad una mancanza di rispetto verso sé e gli altri.

Il partner vittima però è davvero totalmente succube e incapace di alcuna risposta?
Il più delle volte è proprio nella dipendenza incondizionata che si manifesta una forma di potere più subdola, sicuramente disfunzionale, se non patologica, che porta il “carnefice” a farsi irretire in una rete di sensi di colpa o di attaccamenti altrettanto patologici che possono impedire di essere totalmente libero di vivere un’altra eventuale relazione, pienamente coinvolgente sia pure solo sotto il profilo erotico-passionale.

E cosa accade quando c’è una reale terza (o anche più) persona coinvolta? Tra i due partner ufficiali che ruolo ha, sempre nell’esercizio di un potere, il cosiddetto Altro/a? È davvero la figura perdente? Quella che paga un prezzo più alto?

Anche in questo caso c’è un potere che nel suo esercizio porta a dei benefici. È il potere dell’attendere, del consolare, del far sentire l’altra persona speciale, unica, desiderata, ambita, compresa. È un dire: “con me trovi quel qualcosa che a casa non c’è”, “io ci sono incondizionatamente”, o “se mi vuoi rischia, stupiscimi, mostra un coraggio che credi di non possedere”. Non è detto che sia necessariamente una strategia vincente, ma sicuramente genera nel partner già impegnato un interesse, un qualcosa che ritiene non esserci più nella relazione con il partner ufficiale.

Allorquando in un rapporto ci si concentra più sulla strategia di potere e meno sull’empatia e sul sentire si esce dall’amore per entrare appunto nell’esercizio del potere, spesso narcisistico e centrato sull’orgoglio che non sul bisogno e sul piacere, rinunciando talvolta anche alla propria dignità.
L’altro non è più compagno ma oggetto su cui esercitare un qualcosa che ci fa sentire forti, o comunque capaci di attrarre, e/o trattenere una persona, ma allo stesso tempo nasconde una profonda paura a lasciarsi andare, a vivere una relazione profonda perché probabilmente c’è scarsa autostima, domina un sentimento negativo di non essere amabili.

Uscire dall’esercizio del potere nelle dinamiche affettive non è facile e il lavoro da fare non è nel rapporto con l’Altro, nella relazione, ma primariamente su se stessi, sulla paura di non piacere se visti per quello che si è per davvero.

Bisogna partire dal confronto con la propria solitudine esistenziale per passare poi a conoscere la reale scala dei propri bisogni emotivi per giungere poi a rielaborare l’idea di relazione così come la si desidera per se stessi. Un percorso che richiede tempo ma anche la capacità di spogliarsi di una serie di maschere che hanno protetto e rassicurato fino a quel momento, anche se hanno impedito di vivere serenamente un amore nella sua semplicità e unicità.
 
Letture consigliate:

Paolo Crimaldi – Iniziazione agli amori che cambiano la vita – Ed. Mediterranee
Paolo Crimaldi – Iniziazione alla psicologia karmica – Ed. Mediterranee




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