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LA DEA DELLA NOTTE

a cura di Giovanni Pelosini
 

Chi ha avuto la ventura di incontrare da vicino i maestosi rapaci notturni, riconosce loro una nobiltà antica ed un evidente collegamento con la magia della notte.

I lenti e silenziosi movimenti in volo, i grandi occhi che vedono al buio e le piume cangianti che riflettono il chiarore della Luna conferiscono un’aria sapiente a queste creature, che la tradizione, non solo occidentale, associa alla sacralità delle divinità femminili più antiche e ctonie.

 

Pallade Atena aveva un gufo o una civetta affiancata ad un ramoscello di olivo come emblema personale: la sua saggezza era indiscutibile e la dea vegliava sui suoi protetti, pronta a scendere in armi e combattere per proteggere la pace e l’armonia.

 

Già Guénon aveva notato la simbolica contrapposizione fra l’aquila, animale diurno e solare, capace secondo la tradizione di fissare l’astro lucente, e la civetta, notturna e lunare. Così come la conoscenza diretta e diurna è intuitiva e immediata (l’aquila), quella dovuta alla percezione della luce riflessa è più meditativa e razionale (la civetta). L’abbagliante luce solare apre alla visione tutti i particolari della realtà, impedendone talvolta l’identificazione dei dettagli troppo numerosi. La luce riflessa dalla Luna è più tenue e calma, induce alla meditazione ed all’attenzione, invita a distinguere quei pochi particolari evidenti, muove la ragione e, appunto, la “riflessione”.

 

La conoscenza profonda e perfino la chiaroveggenza si addicono dunque maggiormente al rapace notturno, che, riflettendo, domina l’oscurità. E’ la luce lunare che squarcia le tenebre notturne.

Saggezza, conoscenza e coscienza sono gli attributi della Dea della notte, che pure ha un aspetto potente e terribile, come non manca di evidenziare l’iconografia dell’antica India, con la battagliera Durga armata in groppa ad un grande gufo, sua fedele cavalcatura notturna.

Il regno del Sole sotto l’orizzonte era nell’antico Egitto rappresentato dal geroglifico della civetta, simbolo anche delle fredde tenebre e della morte.

Anche il terribile demone femminile Lilith della tradizione ebraica possiede aspetti inquietanti e non manca di essere annunciato da una o due civette. Da qui forse deriva la superstizione popolare che il canto di un rapace notturno possa evocare tristezza o profetizzare sventura.

Niente di tutto questo.

L’unica tristezza fu la fine del pacifico matriarcato nel mondo preistorico indoeuropeo, l’unica sventura fu l’avvento dei bellicosi Dei maschili e solari a scapito della coscienza lunare, della forza antica e ctonia dell’Eterno Femminino e della profonda conoscenza notturna, da allora sottomessa o relegata in ambito esoterico; poiché la regina della notte è da sempre una creatura inquietante per il potere materialista imperante, da sempre un’entità pericolosa per il maschilismo dominante.

 

Strix è il nome latino della civetta, una parola che significa anche “strega”: un essere da rispettare sempre e da temere, mai da demonizzare o perseguitare. Meno che mai da censurare o ignorare.

Viceversa accogliere nell’immaginario onirico l’animale simbolo della Dea della notte significa avere fiducia nelle proprie forze profonde, conoscersi nell’intimo accettando anche le inevitabili ed umane zone d’ombra, avere fiducia anche nell’oscurità che è pur sempre illuminata dalla Luna e dalle stelle, essere completi e consapevoli della propria duplice natura, amarsi e saper amare, e, infine, crescere … e cessare finalmente di avere paura del buio.




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