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LA SOLITUDINE

a cura di Gianfranco Casalis
 
Il dolore fa parte della natura dell’uomo o si potrebbe affermare che più che la natura è la cultura che per millenni ha scoraggiato, rattristato la voglia di vivere. Dalla notte dei tempi, infatti, la sofferenza, in particolar modo quella psichica, ha avuto un ruolo dominante nella vita umana. Il senso della solitudine è un’esperienza dolorosa di cui noi esseri umani facciamo esperienza di persona e ne veniamo toccati nel più profondo del nostro essere. La solitudine, come esperienza che coinvolge lo strato più profondo dei nostri sentimenti, non è così facilmente esprimibile attraverso la parola che perde la capacità di rappresentare il suo significato. Il fatto paradossale è che la solitudine è un’esperienza che spesso viviamo in presenza di altri con i quali abbiamo difficoltà a percepire la loro vicinanza e siamo portati a constatare che essa, la solitudine, non deriva da una mancanza di rapporti quanto da una condizione di sofferenza interiore per la quale non è più sufficiente la presenza degli altri. In queste condizioni si fa strada la consapevolezza drammatica del primario stato di solitudine degli esseri umani.

Dal punto di vista psicologico il motivo della solitudine può essere pensato nelle relazioni significative e fondamentali della nostra vita, quelle che modellano il nostro futuro di esseri adulti in cui qualcosa è venuto a mancare e la nostra struttura psicologica non ha potuto alimentarsi in modo opportuno, i nostri bisogni e quelli legati al senso di solidarietà, di appoggio e consenso non hanno avuto le risposte sufficienti alla loro soddisfazione e la nostra esperienza infantile ha subito una carenza significativa di amore e tenerezza. Nel momento in cui mancano tali supporti affettivi, l’essere umano è spinto a cercare dentro di sé quelle risposte che il mondo circostante non è stato in grado di offrire. In queste circostanze il mondo dell’immaginazione si attiva e l’individuo comincia a prendere consapevolezza della sua dimensione interna. L’individuo cerca, inconsapevolmente, di compensare le sue frustrazioni attraverso l’utilizzo della sua fantasia creativa. I bisogni non soddisfatti suggeriscono la necessità di creare da noi stessi la soddisfazione attraverso il nostro mondo immaginario e dal nostro universo interno può scaturire la sensazione della verità e un modo che ci consente di comprendere la vita esterna attraverso la struttura psichica.

Dovremmo pensare che il contatto con la solitudine ci può consentire di evitare ogni forma di indottrinamento poiché è dalla nostra esperienza interna che nasce la conoscenza del “reale”. Ma la consapevolezza dolorosa è che il mondo esterno non ci appartiene e tutto quanto possiamo fare è di accettare noi stessi e la presenza apparente degli altri perché siamo diventati consapevoli che nei momenti avversi della nostra vita ci ritroviamo continuamente soli. Gli altri, per quanto disponibili, non hanno il potere di aiutarci, poiché vivono anche loro in una condizione solitaria, insufficienti a darci aiuto. In queste condizioni, spesso, la conquista del mondo esterno non ha più alcun interesse, non è più importante. Queste esperienze non appartengono soltanto alla vita adulta degli individui, ma possono aver origine in momenti infantili precoci e i vissuti che ne conseguono ci accompagnano per tutta la vita. La conquista dei beni materiali può essere letta come una difesa dall’angoscia della solitudine e abbandonare queste difese consolatorie ci consente di entrare in contatto con quella dimensione interiore che è portatrice di un’insopprimibile individualità.

La comprensione che la nostra solitudine non è un distacco dagli altri, ma l’accettazione di una condizione esistenziale che ci accomuna, ci consente di costruire una verità in grado di denunciare l’inganno e l’ipocrisia che circola nel mondo esterno e che si nutre di una verità di massa, di quella moltitudine indifferenziata di individui che risponde a comuni stimoli culturali in una maniera relativamente uniforme e che non serve ai singoli. Molti grandi personaggi della storia hanno attinto la loro verità nella solitudine e nel superamento dei pregiudizi e condizionamenti collettivi. La vera solitudine è quindi, quando constatiamo l’inconsistenza dei rapporti convenzionali in cui le parole sono vuote, senza potere espressivo poiché la vera comunicazione passa attraverso i sentimenti profondi. I rapporti convenzionali sono però la regola nell’esistenza umana e questo è il motivo per il quale si vive spesso nell’ipocrisia, all’interno di scambi che ci costringono in un disperato tentativo di salvare e difendere una parvenza, una facciata, un fantasma, un’immagine priva di fondamento reale, un’illusione di legame. A volte, per non dire spesso, quando nella vita ci si presenta un’occasione di vivere una relazione più vera, più autentica, siamo come impreparati e l’ansia di non essere all’altezza, adeguati ci spinge a adottare comportamenti insicuri e ipocriti. Quando veniamo a trovarci in un rapporto più autentico, l’ansia, la paura non è quella di esprimere i nostri pensieri bensì i nostri sentimenti quelli che di solito sono stati calpestati e che ci coinvolgono in una dimensione più intima dell’incontro. Noi siamo più autentici nelle parti più intime del nostro essere, ma in quelle parti siamo anche più vulnerabili e per questo motivo ne siamo particolarmente gelosi perché temiamo che la nostra sensibilità venga presa in giro, burlata e disprezzata, temiamo di esporla per il timore di non essere compresi e la nostra solitudine trova così il modo di farsi strada proprio perché non riusciamo ad esprimere ciò che di più profondo potremmo invece comunicare. I nostri sentimenti vengono repressi e non riusciamo a rendere esplicito ciò che effettivamente vorremmo dire e scegliamo così di percorrere la strada dell’ipocrisia. L’inquietudine trova la sua dimora nella paura di vivere il coinvolgimento affettivo con l’altro. Diventiamo come refrattari, duri, insensibili a lasciarci coinvolgere in una dimensione più intima come se in noi si fosse forgiata una traccia indelebile che ci spinge a vivere nel segno del panico le esperienze sentimentali ulteriori. Vivere l’esperienza di un rapporto profondo e coinvolgente ci fa sperimentare la solitudine e la nostra possibilità di salvezza può essere solo costruita in un nuovo sviluppo psichico che ci guida verso il raggiungimento di un’indipendenza psicologica.

L’acquisizione di quest’indipendenza psicologica comporta la perdita d’ogni abbaglio e illusione sul rapporto medesimo e la maturazione di non aspettarsi più niente dagli altri. Tuttavia, all’interno di questa nuova indipendenza e consapevolezza è sufficiente un gesto affettuoso per farci sentire carichi d’energia e di fiducia proprio perché ci sentiamo pensati e sentiamo che possiamo esistere per gli altri e che gli altri si possono prendere cura di noi com’era già successo nel rapporto intimo e primario con nostra madre che si risveglia, con un sentimento di nostalgia, inconsapevolmente, nei rapporti più importanti. Non è una debolezza sentire anche da adulti il bisogno d’essere pensati, sorretti ed amati com’era accaduto, si auspica, nella relazione genitoriale, in particolar modo con la propria madre. L’essere umano dovrebbe riuscire a diventare sensibile ai propri movimenti interni e meno agli atteggiamenti degli altri, dovrebbe imparare a cercare il proprio nutrimento per vedere cadere il bisogno di continue approvazioni e di apporti affettivi dal mondo esterno che lo manterrebbero in una condizione di costante dipendenza e nella ricerca continua dell’estremo rimedio da parte degli altri. Quello che vorrei rilevare, a scanso d’equivoci, è che l’idea è quella di raggiungere un tipo di libertà che ci consente di attingere nella nostra dimensione interna, di trovare all’interno di noi stessi la forza necessaria per il proprio benessere psichico e per una più adeguata disponibilità verso i nostri simili. Mentre all’inizio della nostra esistenza il sorriso e le cure degli altri ci rendevano appagati, in un momento successivo, nella nostro divenire adulti, anche se quel sorriso e quelle attenzioni ci possono rendere soddisfatti, la nostra forza interiore e i nostri stati d’animo non possono dipendere da questo. La capacità di emancipazione dai desideri e dai bisogni inautentici passa attraverso la comprensione amara e dolorosa che la nostra dimensione più profonda, proprio perché unica ed individuale, non è comprensibile per i nostri simili. Anche nella relazione psicoterapeutica che rispecchia quanto accade nella vita, si richiede rassicurazione e protezione e si vive il desiderio di essere pensati dall’altro e quando la psicoterapia funziona in modo valido, il paziente può raggiungere la propria indipendenza emotiva.

La solitudine è il fondamento della crescita psicologica e dobbiamo diffidare di quelle società che si prodigano a spingere la gente a “socializzare”, realizzando situazioni ed occasioni che evitano alle persone di stare sole in quanto la nostra esistenza è accompagnata dall’esperienza della solitudine come linfa vitale verso la crescita psicologica e darsi l'abitudine a considerare gli altri i testimoni della nostra esistenza, si corre il rischio che, nel momento in cui non si può più contare su tale condizione, ci si senta smarriti. Gli ambienti educativi dovrebbero tener conto dell’unicità dell’individuo, ma purtroppo le necessità collettive portano ad un appiattimento di rapporti e di regole, che violentano l’unicità del singolo. La solitudine nasce dalla consapevolezza che noi non riusciremo mai ad afferrare gli altri e gli altri non riusciranno mai a comprendere a fondo i nostri più intimi stati d’animo, né noi ad esprimerli, ma dovremo costantemente mantenere un contatto vitale col nostro mondo interno come condizione psichica che ci può offrire la possibilità di reagire in modo creativo. Reagire in modo creativo non significa diventare “artisti”, lasciandoci incantare e affascinare dallo stereotipo romantico circa la creazione artistica, ma significa essere in grado di attingere a quei flussi interni vitali che ci consentono di dar vita a qualcosa che prima non esisteva in una nuova apertura al mondo. Il senso di solitudine va considerato una caratteristica sostanziale dell’esperienza umana la cui funzione propulsiva può consentire il raggiungimento di nuove conquiste. La solitudine non è una scelta esistenziale, ma una condizione umana che può diventare una possibilità di conoscere il senso di ciò che si sta vivendo e di coloro che ci vivono attorno in cui nulla può essere un punto fermo e in cui tutto può essere inganno o verità contemporaneamente. La consapevolezza della necessità di differenziarci dalle linee direttive del mondo esterno ci consente di diventare soggetti di una nuova libertà interiore in cui il nutrimento e il sostegno riguarda quello della nostra stessa interiorità.




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