Non è facile correlare la struttura
zodiacale alle meraviglie del mondo moderno così come per le sette meraviglie
che la tradizione del mondo antico aveva codificato con ben altre ispirazioni e
motivazioni.
L’operazione commerciale con la
quale, proprio un anno fa, non a caso il 7/7/07, la New Open World Corporation
ha indetto un referendum mondiale per stabilire quali fossero le sette attuali
grandi meraviglie, ha ricevuto molte critiche ma nessun avvallo dall’UNESCO,
unico ente autorizzato a stilare eventuali classifiche dell’immenso patrimonio
culturale del pianeta.
Rimasero così escluse opere
architettoniche di immenso pregio e valore anche dalla iniziale lista delle
finaliste, mentre parteciparono alla discutibile competizione il complesso
megalitico di Stonehenge ed i Moai
dell’Isola di Pasqua, che certo non sono una costruzione moderna, e la Grande
Piramide d’Egitto, già compresa nella lista tradizionale.
Eppure, le sette finaliste, per
qualche incomprensibile forza naturale, potrebbero avere corrispondenza con i
sette pianeti dell’astrologia antica, se non altro per l’intrinseco significato
del numero sacro che regola e dispone ogni settenario.
È per questo motivo, che, pur con
mille perplessità e numerosi distinguo, mi accingo a trovare corrispondenze
arcane nei simboli delle sette opere architettoniche scelte a rappresentare la
summa della grandiosità dell’ingegno umano nei tempi moderni.
Le sette meraviglie scelte dal
pubblico sono Macchu Picchu in Perù, il complesso maya di Chichén Itzà nello
Yucatan, la statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il Taj Mahal di Agra,
la Grande Muraglia cinese, il Colosseo di Roma, e il complesso di Petra in
Giordania.
Se, pur con discutibili propositi e
princìpi valutativi, sono stati scelti questi monumenti e non altri, forse è
possibile cercare corrispondenze simboliche.
Ebbene, a mio giudizio, è già
possibile trovare una forte e voluta simbologia soli-lunare comune a Macchu
Picchu e Chichén Itzà. Propendo leggermente per l’attribuzione solare a Macchu Picchu, complesso figlio di una
civiltà devota al dio Sole che volle costruire una città nascosta su una “antica
montagna” a quasi 2.500 metri di altitudine, nell’ideale tentativo di
avvicinarsi all’astro radioso.
Nella perduta città degli Inca
sorgeva El Torréon, il tempio solare,
sede dei riti sacri del Solstizio d’estate, che l’estrema vicinanza del sito
all’Equatore rende poco più che un evento astronomico virtuale.
Secondo molti ricercatori la città
fu costruita in base a criteri astronomici precisi ed alla sacralità del Sole
solstiziale, che sorge e tramonta in corrispondenza degli edifici principali
perfettamente allineato con le vette dei monti che circondano l’area
archeologica.
A lungo i conquistatori spagnoli
cercarono oro (metallo solare) nella leggendaria città inca di Vilcabamba,
l’ultima capitale forse identificabile con Macchu Picchu, così come nel mitico
Eldorado.
Più a nord, nella penisola dello
Yucatan, sorge ancora un grande complesso monumentale maya chiamato Chichén Itzà, che significa
letteralmente “bocca del pozzo del popolo degli Itzà”. Gli Itzà erano conosciuti come maghi delle
acque, e giustamente si erano insediati in questa zona, ricca di cenotes, sacri e profondi pozzi naturali
che si aprono numerosi nella pietra calcarea di questa penisola messicana. Pare
che in questi luoghi si svolgessero riti purificatori delle acque in
corrispondenza simbolica con le fasi lunari ed in onore del dio della pioggia Chaac, dalla singolare proboscide
elefantina.
La zona è molto arida e l’acqua
doveva essere particolarmente preziosa anche nel passato; ciò spiega la
particolare importanza dei cenotes e
in particolare del grande pozzo della città di Chichén Itzà, detto Cenote Sagrado. I ritrovamenti
archeologici lasciano intuire che in questo pozzo venissero gettati oggetti di
valore ed eseguiti sacrifici umani.
L’acqua ed il cenote sono senza dubbio simboli lunari,
ma la piramide detta El Castillo è
sede di un particolare fenomeno ottico durante gli equinozi, con la luce solare
dell’alba e del tramonto che colpisce la scalinata in modo da simulare un grande
serpente che scende i gradini, simbolo del dio Kukulkan, il serpente piumato noto fra
gli Aztechi come Quetzalcoatl.
A confermare la mirabile conoscenza
astronomica del popolo Maya, famoso anche per l’accuratissimo e complesso
calendario sacro, a Chichén Itzà esiste ancora una costruzione detta El Caracol (La Chiocciola) con una scala
elicoidale interna e varie aperture in corrispondenza dei momenti topici come i
solstizi e gli equinozi. Da questo osservatorio astronomico si controllavano i
moti degli astri e si determinavano così le feste rituali del calendario;
l’ipotesi della corrispondenza simbolica lunare sembra trovare una conferma
anche nelle due aperture allineate secondo i luoghi delle due massime
declinazioni, settentrionale e meridionale, della Luna.
Pur con le suddette perplessità e
dubbi, a Mercurio sembra corrispondere la statua in calcestruzzo del Cristo Redentore di Rio de
Janeiro.
Questa statua sorge sulla vetta del
Corcovado, in una splendida posizione panoramica sulla baia della famosa città
brasiliana, e rappresenta un Cristo a braccia aperte che accoglie gli abitanti e
i visitatori.
Dal 1931 le braccia aperte della
statua sono un simbolo riconosciuto nel mondo per rappresentare il calore e lo
spirito d’accoglienza del popolo brasiliano e carioca in particolare.
Queste braccia aperte ricordano
anche la croce, per altro presente nel glifo astrologico del pianeta, correlato
alla comunicazione ed alla comunicativa.
Non è certamente un caso che, sempre
nel 1931, l’illuminazione della statua fu comandata via radio da Roma con uno
dei primi esperimenti di Guglielmo Marconi.
Ho invece pochi dubbi che a Venere
ben si addica la corrispondenza con il Taj Mahal di Agra, nello stato indiano
dello Huttar Pradesh.
Tale monumentale complesso è un vero
e proprio inno architettonico all’amore.
L’imperatore moghul Shah Jahan era
così innamorato della moglie Arjumand Banu Begum, che fece costruire in sua
memoria uno dei complessi monumentali più imponenti e belli di ogni
epoca.
Il Taj Mahal fu iniziato nel 1632,
come un ricco mausoleo, presso un’ansa del fiume Yamuna ad Agra, per amore della
donna morta di parto due anni prima nel dare alla luce il quattordicesimo figlio
dell’imperatore. Circa ventimila persone lavorarono per ventidue anni, mentre
più di mille elefanti furono impiegati per il trasporto delle preziose materie
prime: marmi bianchi dal Rajastan, lapislazzuli dall’Afghanistan, giada dalla
Cina, diaspro dal Punjab, zaffiri da Ceylon, turchesi dal Tibet e corniola dalla
penisola arabica.
L’abbondanza di pietre preziose e
semipreziose in intarsi mirabili sul candido marmo resero indimenticabile la
struttura architettonica commuovendo i visitatori; il poeta Tagore scrisse che
il Taj Mahal era “una lacrima di marmo ferma sulla guancia
del tempo”, mentre Edwin Arnold disse che “la passione orgogliosa di un
imperatore si era trasformata in pietre viventi”.
Il mausoleo fu attorniato da un
complesso di giardini, canali, moschee, pinnacoli, cupole, balconi, nicchie,
mosaici, archi e minareti in perfette simmetrie architettoniche e simbolici
ottagoni che non possono non ricordare gli antichi glifi ad otto punte riferiti
al pianeta Venere.
Venusiane tubazioni di rame
rifornivano i canali e le fontane con acqua del fiume Yamuna, per rendere
gradevoli e freschi i giardini, vere e proprie allegorie del paradiso islamico a
cui tutto il complesso strutturale allude secondo quanto scritto nei testi
mistici arabi.
La Grande Muraglia cinese è una
costruzione imponente che si fa ancora ammirare nei suoi 6.350 chilometri di
lunghezza. In quanto struttura difensiva e militare, il suo pianeta di
riferimento è Marte. Gli imperatori cinesi, infatti, fin dal III secolo avanti
Cristo, cominciarono ad edificare baluardi di difesa contro le sempre più
frequenti incursioni mongole ai confini.
Purtroppo lo scopo non fu sempre
raggiunto, perché la muraglia non poteva essere completamente priva di punti
deboli, come le porte; e la sua stessa enorme lunghezza non poteva garantire
uniforme e puntuale presenza di truppe sugli spalti.
Quindi il territorio cinese, vero
colosso d’argilla come le statue del mausoleo dello stesso imperatore che ideò
la Grande Muraglia, fu invaso a più riprese, e conquistato, nonostante la
straordinaria linea difensiva.
Essa non fu quindi il simbolo di una
marziale vittoria sugli invasori, ma restò un millenario esempio di audace
ingegneria e di imponente costruzione, di cui si dice falsamente si possano
vedere tracce ad occhio nudo perfino dalla Luna.
Per il più grande e capiente
anfiteatro di Roma imperiale, chiamato non a caso “Colosseo”, ho pensato alla
corrispondenza di Giove.
Quello che si chiamava Anfiteatro
Flavio fu iniziato dall’imperatore Vespasiano nel 72 dopo Cristo, per essere poi
inaugurato da Tito otto anni dopo, con giochi che videro la morte di circa
duemila uomini e novemila animali. Il popolare nome attuale deriva da una vicina
colossale statua in bronzo di Nerone, oggi non più presente.
Come simbolo riconosciuto nel mondo,
il Colosseo rappresenta la città di Roma. La sua inconfondibile pianta ellittica
ha una circonferenza di più di mezzo chilometro e la struttura è ancora alta
circa 50 metri. La sua bellezza è straordinaria, malgrado l’asportazione
sistematica dei marmi, delle statue e dei blocchi di travertino nei secoli,
utilizzati anche per edificare palazzi nobiliari, come Palazzo Barberini nel
1634. Da qui viene il celebre detto romano: “Quello che non fecero i barbari fecero i
Barberini”.
Il Colosseo poteva accogliere 50.000
spettatori, chiamati ad assistere a drammi mitologici, rievocazioni di battaglie
e di caccia, scontri di gladiatori e, inizialmente, anche delle naumachie, veri
e propri scontri navali di imbarcazioni con i loro agguerriti equipaggi
armati.
La caratteristica cruenta degli
svaghi del popolo romano nel Colosseo ebbe una continuità anche nell’epoca delle
persecuzioni contro i primi cristiani, che venivano mandati a morte nell’arena
con altri prigionieri e criminali comuni.
I vari spettacoli prevedevano così
combattimenti fra gladiatori, detti munera, combattimenti fra animali, venationes, e diversi tipi di esecuzioni
di condannati a morte, noxii.
Più volte danneggiato da terremoti,
fu sempre restaurato, almeno fino al sesto secolo. La corrispondenza astrologica
con Giove è confortata da un fatto storico documentato da un’iscrizione
dell’imperatore Decio risalente al 250; anno in cui furono necessari lavori di
restauro dopo un incendio provocato da un fulmine, simbolo gioviano per
eccellenza. Un altro fulmine aveva già colpito e danneggiato il Colosseo anche
nel 217, e per questo i popolari e cruenti giochi erano stati trasferiti in
quell’occasione al Circo Massimo per cinque anni.
La parola Petra in greco significa “roccia”. Per
questo motivo mi è sembrato giusto correlarla al pianeta Saturno.
L’antica città edomita e nabatea,
una volta identificata con la biblica Sela (parola ancora una volta
traducibile con “roccia”), rimase abbandonata nel deserto giordano per più di
mille anni, per poi essere riscoperta nel 1812 dall’esploratore Burckhardt, e
tornare così ad essere una delle riconosciute meraviglie architettoniche ancora
esistenti.
Petra rimase quindi nascosta fra le
rocce con l’unico accesso dimenticato in mezzo alle montagne: il Siq, uno strettissimo canyon profondo
centinaia di metri e lungo un chilometro e mezzo.
In strategica posizione fra Aqaba e
il Mar Morto, Petra sorse e prosperò per essere sulle vie carovaniere
dell’incenso yemenita, delle spezie indiane, delle perle del Mar Rosso, della
seta cinese, ma soprattutto grazie alla possibilità di raccogliere acqua,
risorsa preziosissima nelle aree desertiche, in serbatoi di roccia
impermeabile.
Tutte le acque pluviali di una ampia
area circostante venivano incanalate e raccolte in bacini per essere utilizzate
anche nei lunghi periodi siccitosi. Un grande e complesso acquedotto e circa
duecento cisterne erano in grado di sostenere la popolazione e di servire anche
per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.
La saturniana roccia era quindi in
grado di incanalare i tumultuosi torrenti delle rare ma potenti piogge, e di
contenere a lungo l’acqua preziosa nei bacini.
Tutto a Petra è scavato nella
roccia: una arenaria facile da lavorare e plasmare, ma abbastanza resistente.
Gli agenti esogeni hanno danneggiato poco il sito, in molte parti estremamente
protetto almeno dall’azione eolica, ma i numerosi terremoti hanno modellato
molto di più la struttura, con gravi crolli avvenuti nei secoli.
La meravigliosa facciata del Khasneh al Faroun (Tesoro del Faraone),
scavata interamente nella roccia, è ancora un simbolico e straordinario luogo,
emblema di tutta l’antica città.
La corrispondenza di Petra con
Saturno può contribuire a spiegare anche la lunga e varia storia della città:
dai probabili stanziamenti neolitici all’età del ferro, dal periodo biblico
edomita a quello dei nomadi Nabatei, dai Tolomei agli Asmonei, dai romani ai
bizantini, dagli arabi ai crociati e ai turchi ottomani.