La vita psicologica si può dire che prende avvio attraverso la relazione e l’amore che qualcuno instaura nei nostri confronti.
Non vi è modo di superare la prima parte dell’infanzia senza una persona amorevole che si occupi di noi e dei nostri bisogni e senza qualcuno che ci sostenga e ci nutra. E’ così che impariamo a comprendere i primi significati della parola “amore”, attraverso un corpo caldo, due mani che accolgono e proteggono ed un sorriso che rispecchia il nostro valore e il nostro “essere piacevoli”.
Su questa scia infatti, ognuno di noi cerca risposte all’esterno e nel mondo molto prima di cercarle al suo interno, ragion per cui la nostra vita inizia con il dipendere dagli altri e da qui nasce il bisogno di risultare piacevoli perché questo rende più facile essere accolti, sostenuti ed amati; non vi è dubbio che le persone “piacevoli” sono anche più amabili” e che si adatta con maggior facilità all’ambiente ha un percorso più facile nella vita.
In ogni caso, sarà proprio attraverso ciò che giunge dalle figure di accudimento che svilupperemo la capacità di proteggerci e di nutrirci imparando così a rispondere pian piano sempre meglio e in modo più preciso ai nostri bisogni. Sarà anche da questi primi passi di totale dipendenza che creeremo quelle condizioni di “sicurezza e di valore” che ci permetteranno di avviarci verso una indipendenza.
Abbiamo detto tantissime volte che uno dei bisogni primari, unitamente a quello di sopravvivere, è quello di essere amati. Chi ha difficoltà a sperimentare gratificazione rispetto a questo bisogno si può trovare senza gli strumenti necessari ad affrontare la vita poiché resta in qualche modo carente ed insicuro di sé e del mondo; senza una base sicura si andrà alla costante ricerca di qualcosa o di qualcuno che possa colmare questo vuoto.
Se non si è stati amati si ha la difficoltà a darsi “valore” e, come conseguenza, si resta vulnerabili e fragili da un punto di vista emotivo ed affettivo e la crescita psicologica sarà stentata e sarà proprio questa vulnerabilità di fondo a rendere impossibile da adulti la vera intimità che, in una relazione, è l’ingrediente più prezioso.
La vulnerabilità tende a generare due tipi di problemi che, apparentemente, possono anche sembrare opposti ma che, invece, generano profonda infelicità nella vita di tutti i giorni:
- Il primo è legato ai meccanismi di difesa che si devono costruire per proteggere una ferita narcisistica che altrimenti continua a creare dolore;
- il secondo spinge a ricercare all’esterno quelle attenzioni e quelle sicurezze che non si sono ricevute sperando che gli altri potranno compensare con la loro presenza e con la loro accettazione ciò che del passato è rimasto irrisolto.
In questo modo però la dinamica diventa schizofrenica in quanto da un lato ci si difende impedendo così di vivere veramente i sentimenti, unica cosa che potrebbe in qualche modo sanare le vecchie ferite e, dall’altro, ci si illude di trovare qualcuno che si mostri all’altezza di quell’amore incondizionato che sembra essere l’unico risarcimento alla privazione subita.
Quando si è molto vulnerabili si finisce per cercare “valore ed identità” attraverso gli altri e questo renderà le cose ancora più difficili in quanto ci si affida agli altri rischiando di sentirsi a volte forti e solidi quando si è accettati e valorizzati, ma completamente inetti ed inesistenti quando viene sottratto quel nutrimento; tutto ciò accade quando il fulcro dell’ autostima non è sistemato all’interno ma all’esterno. In pratica è come se si consegnassero tutte le risorse e il potere personale nella mani di qualcuno che potrà usarli a sua discrezione.
Un altro fattore interessante è che, dove si mette una difesa, rimangono delle sacche di immaturità destinate a dar vita a particolari dinamiche inconsce che si manifesteranno soprattutto nelle relazioni intime che, come ben sappiamo, hanno il compito di rimettere in scena le antiche “tragedie infantili”.
In effetti quando ci si sente fragili si è anche indifesi ed impotenti e si finisce con l’identificarsi con quelle parti di noi che sembrano essere più forti proiettando sugli altri – compagni, amici, terapeuti o guru – la vulnerabilità; così, ci si sentirà bene quando si è accolti, ma terribilmente a disagio ed arrabbiati quando si viene disconfermati.
A livello astrologico, chi ha forti valori Bilancia, oppure una settima casa piena, si trova quasi sempre ad affrontare questo genere di problemi poiché, da un lato ha il compito di imparare a mettersi in relazione con gli altri e di armonizzare con il mondo e quindi si ritrova come bagaglio di base una buona capacità di mediazione che è funzionale al bisogno di piacere e di essere accettati; questa caratteristica (venusiana) conduce facilmente a mettere in sordina la propria individualità e il proprio bisogno di affermazione (Marte) che, ovviamente, creerebbero difficoltà dovute a confini e definizioni solide tra sé e gli altri; dall’altro però la Bilancia, più di altri segni zodiacali, non potrà prescindere dall’autenticità e dall’espressione della propria identità, pena l’alienazione da sé e relazioni costantemente non gratificanti.
Ed è con questo conflitto di base che dovrà imparare a mediare prima ancora che con l’esterno poiché, se non viene riconosciuto nella sua integrità, rischia di far fallire ogni genere di relazione poiché l’eccesso di mediazione che sembra inizialmente garantire l’accettazione da parte del mondo, creerà invece disagio sia in sé stessi che negli altri; in sé stessi poiché nasceranno sacche di risentimento dovute alla negazione della propria volontà ed individualità; negli altri perchè, contrariamente a quanto si pensa, sentono una “non verità” che li terrà a distanza e costantemente sulla difensiva. In pratica, il non superamento di questa dinamica favorirà la creazione di relazioni “formali” che seppur mantengono una sorta di armonia esteriore, sono però vuote, cariche di ipocrisia e di mancanza di passione.
Se il bisogno di accettazione non viene affrontato all’interno non si placherà e continuerà a spingere i soggetti verso la ricerca di un “paradiso perduto” che risulterà irraggiungibile.
Il segno della Bilancia più degli altri ha bisogno di trovare la stima di sé poiché in caso contrario si rivolgerà sempre fuori cercando nel confronto e nello specchio un modo per valutarsi; questo vale in particolare per le donne che hanno sempre un tasso di autostima inferiore agli uomini dovuto ad un maggior senso critico e ad una introspezione più profonda; inoltre, le donne puntano tantissimo anche sul loro senso estetico e sulla “bellezza fisica” che, tuttavia, è sempre riferita a canoni sanciti dall’esterno più che dall’interno.
In realtà, le difficoltà nascono dal momento in cui non ci si è sentiti accettati integralmente: la ferita è sempre sul valore personale che, laddove non c’è, mina il “concetto di sé” e rende particolarmente vulnerabili al giudizio degli altri.
La risoluzione come sempre starà nell’individuo e nel cercare dentro di sé la responsabilità del proprio valore che partirà proprio dall’accettare le parti che un tempo sono state rifiutate e che, pertanto, sono cadute nell’ombra. Chi ha valori Bilancia nel tema deve imparare a cercare nelle proprie viscere quell’amore di sé che sarà l’unico a dare quel valore che permetterà di sostenere la fatica del percorso di condivisione e di scambio di cui il segno è portatore. Dovrà quindi rivolgere lo specchio di Afrodite al suo interno in modo che possa riflettere le tante qualità che sono già presenti ma che, spesso, non si vedono perché non ci si sofferma e si aspetta che siano gli altri a metterle in luce.
Quando più un segno ha bisogno di “unire” tanto più deve confrontarsi con sé stesso e trovare quella prospettiva interna che nessuno potrà sminuire o cancellare.
In genere, la mancanza di valore nasce dalla sensazione di non essere adeguati rispetto ad un ideale troppo elevato che impedirà in seguito di accettare la parzialità, il limite e l’impossibilità. La Bilancia ha un contatto privilegiato con la “perfezione assoluta” ed è con questo che si deve confrontare per costruirsi una forza capace di portarla a cercare costantemente il miglioramento senza troppo soffrire della mancanza di “perfezione”.