Uno dei drammi fondamentali della vita umana gira attorno al rapporto tra le case prima e settima; non a caso, questo viene considerato il conflitto primordiale, quello più atavico ed anche quello che può portare ad un grandissimo dissesto interiore, se non viene superato e risolto.
Indubbiamente i primi passi che muoviamo nella nostra vita tendono a creare quegli schemi che hanno a che fare con la nostra sopravvivenza (Ia casa ed VIIIa casa) e affettività (VIIa casa e IIa casa) e, se ci sono state difficoltà nell’ottenere ciò di cui avevamo bisogno sotto entrambi i piani, possiamo mantenere difficoltà in questo ambito con la sensazione che saremo chiamati a scegliere se entrare in relazione o se difenderci ed affermarci mantenendo la nostra autonomia.
A questo livello tuttavia vi è un conflitto che porta a vivere come assolutamente inconciliabili i due poli: o si sceglie di stare soli, liberi ed autonomi a scapito ovviamente della relazione e dell’intimità con un’altra persona; oppure si accetta la relazione, rinunciando però alla propria autonomia ed affermazione.
Come tutti i conflitti, anche questo tende a riportare fuori una situazione “o…o” anziché vivere le due parti come assolutamente necessarie per la crescita.
Chi ha l’opposizione prima settima, oppure chi ha aspetti dinamici tra Luna Marte, Venere Marte o Venere Plutone tenderà quindi a vedere l’affermazione personale in contrasto con l’intimità e l’affettività e questo a causa di una difficoltà nella costruzione dell’identità e dell’affettività che risultano entrambe completamente immature giacchè anche l’autonomia non è completa se giunge a scapito di buone relazioni intime e sociali.
La prima casa è legata alla prima impressione del mondo e, successivamente, al nostro desiderio di affermazione e di visibilità; anche quando ci sono molti pianeti in questa casa può esserci una difficoltà che si configura in una certa sordità nei confronti degli altri. Margareth Malher – grande esperta di psicologia evolutiva - sostiene che appena si nasce si entra in una fase che viene chiamata “autistica primaria” il che sta a sottolineare la difficoltà per il bambino di entrare in relazione poiché tende ad essere eccessivamente interessato a sé stesso e alla sua sopravvivenza; è una fase in cui il piccolo ha un grandissimo bisogno di “autocentratura” ed è “protetto” dalle troppe stimolazioni poiché ha bisogno di tutte le sue risorse per riuscire a fare tutti quei processi che lo traghettano da una condizione fisica di unità e dipendenza dalla madre in ogni sua funzione ad una reale separazione in cui deve provvedere da sé a tutte le funzioni fisiologiche.
Avere molti pianeti in prima casa indica una sorta di svuotamento dei valori della settima casa ed una tendenza a rimanere molto fermi su sé stessi e sui propri bisogni aprendosi poco al mondo della relazione che può essere sperimentato come qualcosa che potrebbe limitare l’autonomia e l’espressione della propria personalità.
Chi ha una prima casa molto sollecitata presenta una serie di contenuti che sono stati fissati in una fase molto precoce della vita e, come tali, sono arcaici poiché affondano le loro radici in un tempo molto anteriore alla possibilità dell’uso del linguaggio che, come sappiamo, consente anche l’organizzazione delle memorie in modo che possano poi essere “evocabili”.
In questi soggetti sono spesso presenti sensazioni e stati d’animo che eruttano in modo irrazionale ed incomprensibile in quanto non sono ricollegabili a nulla di oggettivo che sia nella memoria del soggetto; in realtà sono “imprinting” che si sono sedimentati in questa prima fase della vita e che ancora inducono la psiche a sperimentare o avvertire pericoli che, con ogni probabilità, si sono fissati nella relazione con chi si è occupato per primo di noi.
Forse, è proprio per questo che i soggetti in questione presentano sempre eccessi di conflitti che nascono da una iperdifesa che, ovviamente, ha lo scopo di impedire di entrare veramente in relazione con un’altra persona. Questa è anche una fase dove le difese si organizzano su base illusoria ed onnipotente il che porta questi soggetti a pensare che per loro tutto sarà possibile, mentre il mondo attorno non esiste se non per riflettere la propria identità e soddisfare i loro bisogni.
Altri, invece, soffrono del timore di essere schiacciati e resi impotenti se solo mollano le loro difese poiché, probabilmente hanno avvertito gli altri come potentissimi e, soprattutto, come nemici da cui guardarsi e difendersi tenendoli a bada.
Entrambe le situazioni sono tragiche in quanto pongono in conflitto il diritto ad esistere e a vivere la propria identità e quello a sperimentare piacere nell’ essere in relazione con il mondo.
Sia che ci si difenda troppo dagli altri, sia che ci si senta impotenti, non sarà mai possibile sviluppare una relazione sana che si basi sullo scambio e che sia in grado di dare ad entrambi il giusto riconoscimento e le giuste gratificazioni.
Tra le altre cose noi nasciamo con una sufficiente dose di aggressività, dotati di una serie di pulsioni che ci aiutano a sopravvivere, ma non nasciamo capaci di amare; anche se ne abbiamo la potenzialità, amare è qualcosa che dobbiamo apprendere; se però, all’inizio della nostra vita non abbiamo avuto la sensazione di essere stati riconosciuti e non siamo entrati dentro a quel “mondo magico”, affronteremo sempre le situazioni o difendendoci con tutti i nostri mezzi, oppure cercando di accondiscendere troppo agli altri a cui ovviamente, accorderemo un potere che in realtà non hanno e che, in ogni caso ci spaventerà.
La capacità di amare affonda le radici nella sensazione di “essere”; se non “siamo” non potremmo mai scambiare qualcosa con gli altri e, chi ha una immaturità psico-affettiva troverà sempre arduo entrare in relazione poiché non permetterà di essere avvicinato o, in alternativa, non avrà identità e si appoggerà agli altri su cui proietterà l’intera responsabilità della sua vita traendo sempre la sensazione di incompletezza.
L’amore richiede integrità e maturità e soprattutto identità poiché è con questa che si deve entrare in relazione; se lo stare con un’altra persona costituisce una seria minaccia al proprio sé, le relazioni non potranno mai consolidarsi ed anche se si formeranno, non si struttureranno perché non ci sarà quel senso di stabilità interiore a consentire un vero “avvicinamento emozionale”.
La capacità di creare relazioni stabili e durature dipende dal tipo di “relazione di attaccamento” che abbiamo potuto sviluppare; sarà proprio da ciò che abbiamo imprintato nei primissimi anni che si formerà il concetto sano di relazione oppure se saremo aggrappanti e dipendenti o, in alternativa, sfuggenti e controllanti.
Se troviamo nel nostro tema natale opposizioni e quadrature prima settima, seconda ottava o tra i pianeti signori di queste case allora possiamo pensare che ci siano esperienze precoci difficili che hanno lasciato vuoti affettivi difficili da colmare che necessitano di difese titaniche.
Problemi analoghi, anche se con maggiori possibilità di risoluzione possono nascere anche da relazioni difficili con la figura paterna (per una figlia) e con quella materna (per un maschio); in effetti queste problematiche incidono sul senso di identità, sulla stima di sé e sulla fiducia che poi si avrà nell’entrare in relazione con un’altra persona.
Dobbiamo però pensare anche al significato della settima casa e di Venere che non riduce il suo simbolismo esclusivamente alla relazione affettiva ma riguarda anche i principi cardini della socialità il che ci riporta a pensare che una buona relazione di attaccamento ed una buona relazione con i genitori favorirà anche una buona socialità che può instaurarsi solamente allorchè abbiamo una buona capacità di affermazione a cui si deve affiancare una capacità di negoziazione e di accettazione degli altri.
Tutto ciò può essersi verificato solamente se ci è sentiti veramente parte del consorzio umano che si radica nell’esperienza familiare – primo vero esempio di società – in cui si dovrebbero sperimentare le differenze, le uguaglianze, le difficoltà e il loro superamento grazie all’affettività che genera la capacità di dialogo, di riconoscimento e di negoziazione.
Se si è vissuti in contesti aggressivi, dove non esisteva mediazione ma solo sottomissione o sopraffazione, non si sarà imparato a discutere e a superare i conflitti trovando quelle mediazioni che consentano a tutti di vedere riconosciuto qualcosa di sé.
Indubbiamente perché si sviluppi la capacità di dialogare con gli altri, occorre che ci sia stima, affetto e una buona dose di disponibilità all’ascolto nonché all’interesse per la natura intrinseca del bambino.